Ora di religione islamica e ora di religione cattolica
Data: Giovedì, 22 ottobre 2009 ore 16:25:57 CEST
Argomento: Opinioni


Dopo lo stucchevole dibattito sul dialetto a scuola, spunta un altro affaire con l’ora di islamico alternativa a quella di religione cattolica. Partita come proposta seria per promuovere la conoscenza della cultura e della religione islamica ai ragazzi e alle famiglie, ha sortito per lo più l’effetto della polemica, tralasciando però sempre il senso del problema che è la pari opportunità per tutti gli alunni della nostre scuole.
La prima questione riguarda i professori. Si dice che dovrebbero essere docenti riconosciuti che parlano italiano o perfino imam ma reclutati con criteri pubblici da un elenco apposito. Chiediamo: perché un elenco e perché reclutati con criteri pubblici? E poi: chi li dovrebbe reclutare e con quali parametri? Diciamo questo sulla base di quanto avviene coi docenti di religione cattolica che vengono nominati su segnalazione della Curia. Chi dovrebbe segnalare invece questi professori di Islam? La precisazione sul loro “riconoscimento ufficiale” non ha il fumus della speciosità pelosa? Ma non è solo questo che lascia perplessi: perché ai musulmani sarebbe consentita l’ora alternativa e non pure ai valdesi, ai luterani e così via? La Costituzione non garantisce a tutte le fedi religiose pari dignità? Ma andiamo oltre, chiedendo ancora: perché nessuno si fa carico dei tanti ragazzi (di famiglie atee o di altre confessioni) che non si avvalgono dell’ora di religione cattolica e vengono lasciati a se stessi, a bighellonare tra i corridoi delle scuola, mentre i loro compagni stanno in classe? Questi non solo perdono un’ora di lezione, ma addirittura, con le nuove disposizioni della ministra Gelmini, anche una ulteriore possibilità di credito scolastico e di valutazione complessiva dei loro saperi. Che parità politica, morale e civile è questa, quando non si danno pari alternative e opportunità a tutti gli alunni? Ma non finisce qui. Un ministro della Repubblica, qualche ora dopo l’uscita della notizia, ha dichiarato:“Il vero tema è obbligare gli islamici a studiare la nostra religione perché serve a far capire loro perché noi siamo così”. Che dire? Possiamo solo ricordare che ai nostri emigrati in tutto il mondo mai fu chiesto una cosa simile; e quando nella Russia comunista i fedeli furono obbligati all’ateismo si alzarono da tutto il mondo, giustamente, grida di sdegno e in primo luogo ci furono quelle del Papato. Costringerli dunque e come? Con la sferza, col bastone? Oppure tenendoli in ginocchio dietro la lavagna? Anche il principio di reciprocità fra Paesi, secondo il quale “dove c’é una moschea ci deve essere una chiesa”, appare quantomeno discutibile e per la semplice ragione: se costruiamo una moschea agli afgani pretendiamo una chiesa a Kabul? A parte ogni altra considerazione di carattere storico-politico, come si possono pretendere chiese cattoliche dove l’integralismo arabo uccide senza distinzione di razza e di religione, di opinione politica e di sesso? A parte la puerilità (do ut des) del paragone, come è possibile pretendere da qualcuno ciò di cui non ha nemmeno idea e conoscenza, come è appunto la libertà di culto?
Ma la questione più delicata tuttavia non è neanche affrontata: come pagare? Se la parola d’ordine del Miur è risparmiare, come si pensa di coprire tante nuove spese derivanti da tanti nuovi professori? Insieme alla questione dell’introduzione del dialetto, anche quest’altra introduzione dell’islamico nelle scuole appare più un modo per sviare l’attenzione da altri e più gravi problemi che di effettiva volontà di risolverne un altro della scuola. Restiamo tuttavia fermi nell’idea che l’ora di religione, cattolica o islamica, si possa con più proficuità assegnare alla storia delle arti (cinema, musica ecc.) perché solo il linguaggio dell’arte è appunto universale.
PASQUALE ALMIRANTE






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