La rivincita di Giordano Bruno nella piazza del suo rogo
Data: Venerd́, 16 ottobre 2009 ore 10:00:00 CEST
Argomento: Rassegna stampa


PIERO BIANUCCI
Giordano Bruno non fu il primo a immaginare l’esistenza altri pianeti abitati simili alla Terra. Ci avevano già pensato filosofi greci come Epicuro e poeti-filosofi come il latino Lucrezio. Certamente però Giordano Bruno (nel ritratto) fu il primo a teorizzare l’idea della pluralità dei mondi abitati fino al limite di considerarli numericamente infiniti. E fu anche il primo a pagare con la vita questa (e altre) sue convinzioni considerate eretiche dalla Chiesa cattolica (e non solo).

Oltre alla detronizzazione della Terra e dell’uomo da centro dell’universo, fu in particolare proprio il “diabolico” concetto di infinito, a creare problemi: troppo vicino all’”infinito” di Dio, così vicino da metterlo in crisi, tanto più in un tempo nel quale i matematici non avevano ancora affrontato il tema della stessa pluralità degli infiniti mostrando che possono essere di diverso grado.

Per adesso non abbiamo ancora prove dirette dell’esistenza di forme di vita aliena, intelligente o non intelligente. Dal 1995 abbiamo però, grazie agli astronomi Michel Mayor e Didiez Queloz, la prova che esistono molti pianeti intorno ad altre stelle. Ormai se ne conoscono più di trecento, scoperti con tecniche diverse, dalle piccole accelerazioni impresse alla stella dai pianeti rilevate per effetto Doppler, al sistema dei transiti che rileva piccole attenuazioni della luce stellare, fino allo sfruttamento del fenomeno delle microlenti gravitazionali.

La pluralità dei mondi paragonabili alla Terra, una delle affermazioni che il 17 febbraio del 1600 portarono Giordano Bruno sul rogo dell’Inquisizione, si è dunque oggi rivelata scientificamente corretta. E ha fatto bene il Planetario di Roma a mettere in scena per il pubblico, proprio sulla piazza di Campo dei Fiori, già teatro del rogo di Giordano Bruno, l’osservazione del passaggio di un pianeta extrasolare davanti alla sua stella. L’originale iniziativa, organizzata nell’ambito dell’Anno internazionale dell’Astronomia, si è svolta giovedì 8 ottobre. Lo staff del Planetario di Roma, che è diretto con passione e competenza da Vincenzo Vomero, ha condotto la serata utilizzando alcuni telescopi sistemati nella piazza oscurata e rievocando la figura del grande filosofo originario di Nola.

Come dimostra l’evento costruito intorno alla drammatica vicenda di Giordano Bruno, l’Anno internazionale dell’Astronomia, pur essendo ancorato al 1609, cioè al quarto centenario delle prime osservazioni del cielo fatte da Galileo Galilei con il suo cannocchiale, in realtà deve guardare non a un singolo fatto puntuale ma all’intero periodo d’oro in cui nasce l’astronomia moderna. E questo periodo va all’incirca dal 1570 al 1630, comprendendo le precise misure di Tycho Brahe, le intuizioni di Giordano Bruno, i contributi innovativi di Keplero e, naturalmente, la rivoluzionaria opera di Galileo.

A proposito del grande scienziato pisano, c’è una interessante notizia di questi giorni: un autografo di Galileo ancora sconosciuto agli storici è emerso dalle collezioni del Seminario vescovile di Padova. Sono annotazioni trovate in una edizione cinquecentesca dell’”Ottica” di Euclide, testo che Galileo Galilei studiò in modo approfondito per i suoi interessi di fisica e geometria e forse più ancora per affinare la sua preparazione artistica e gli studi di prospettiva. Da giovane, infatti, Galileo aveva frequentato l’Accademia di disegno, e i risultati si vedono negli schizzi del 1609- 1610 in cui rappresenta con grande efficacia impressionistica e insieme realistica la Luna vista con il suo cannocchiale.

L’edizione dell’”Ottica” di Euclide annotata da Galileo è la prima che sia comparsa in traduzione italiana, portava il titolo di “Prospettiva” e fu pubblicata a Firenze nel 1573 da Egnazio Danti, cosmografo del Granduca di Toscana Cosimo I e costruttore della meridiana a camera oscura di Santa Maria del Fiore.

L’annuncio della scoperta del manoscritto galileiano è comparso sul quotidiano dello stato pontificio “L’Osservatore romano” e ha avuto larga eco al convegno su Galileo che si è concluso il 3 ottobre a Venezia, organizzato dalla International Astronomical Union.

Nel fervore di nuovi studi su Galileo è da segnalare anche il libro “Galilei e l’abisso” di Enrico Bellone che attribuisce allo scienziato pisano l’anonimo “Dialogo de Cecco di Ronchitti da Bruzene. In propuosito de la Stella Nova” (1605), un testo dialogato in dialetto padovano sulla “Supernova di Keplero” apparsa nel 1604. A livello divulgativo è appena uscito il saggio “Hai vinto Galileo!” di Piergiorgio Odifreddi (Mondadori).

E’ interessante la nuova prospettiva nella quale Bellone mette la controversia tra la Chiesa cattolica e Galileo.

“Dal punto di vista della scienza odierna – scrive Bellone – è completamente irrilevante chiederci se la Terra si muove attorno al Sole immobile, o se invece è il Sole a muoversi attorno a una Terra ferma nel centro dell’universo”. Ciò che conta è ben altro: non un dato scientifico, ma un diritto, un dato di libertà, la tutela della persona umana nel suo pensiero. A Galileo, dice Bellone, dobbiamo essere vicini perché egli è stato “un pover’uomo la cui bocca fu ieri tappata con la violenza, perché difendendolo si difende oggi la libertà degli esseri umani dagli attacchi di chi ritiene di possedere verità rivelate da un dio che sta in alto, o di una metafisica che – sempre dall’alto – scruta le pratiche umane e le giudica”.

E’, se volete, un messaggio che si può applicare anche alla lettura dell’attuale lotta politica in Italia, a quel potere che pretende di annientare l’avversario, insultando chi la pensa diversamente e calpestando quella Costituzione che, mentre sancisce il diritto a governare di chi ha la maggioranza dei consensi, tutela come cosa sacra l’espressione del pensiero di tutti, e in particolare dell’opposizione e dei più deboli. Un filo tenace collega l’arroganza del potere da Giordano Bruno a Galileo Galilei fino ai tempi che stiamo vivendo.







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