La nostra professione di Serafina Gnech da Professione Insegnante
Data: Marted́, 13 ottobre 2009 ore 11:42:05 CEST
Argomento: Opinioni


Professione Insegnante

 

 per

 

“rappresentare i docenti e la specificità della loro professione” 

 

“contrastare il plagio culturale ed ideologico perpetrato sui docenti”

 

(dal documento programmatico) 

 

 

 

1.   La nostra ‘professione’ 

 

Nel documento programmatico Professione Insegnante enuncia l’obiettivo primario di “rappresentare i docenti e la specificità della loro professione” e di contrastare  il plagio culturale ed ideologico perpetrato sui docenti”.

 

Le due enunciazioni richiedono una breve spiegazione: la prima perché ha il sapore di uno slogan, la seconda perché rischia di collocarsi  nella polemica sterile.

 

Partiremo dalla prima, poiché riteniamo che non si possa capire ciò che noi intendiamo per “specificità della professione” senza prendere coscienza di quale sistematica violenza culturale sia all’origine di una concezione di ‘professionalità’ che nega se stessa nel momento stesso in cui si pone.

 

E’ possibile che le finezze del tracciato politico ci sfuggano, ma,  semplicemente, ci pare che alla acquisizione di una professionalità per la docenza concorrano sostanzialmente due cose: la preparazione nell’ambito disciplinare di interesse specifico e la comprensione del mondo quale è stato, è, e potrebbe divenire. Appare ovvio, in questa ottica, che studi di carattere sociologico, pedagogico, didattico (e la filosofia? e la storia?)  debbano essere corredo naturale di coloro che si pongono l’obiettivo di insegnare. Questo in rottura con un passato gentiliano che poneva la conoscenza disciplinare come unico requisito della docenza.

 

Ma, accanto a questo, ci pare altrettanto ovvio che questi studi dovrebbero porre le condizioni per una relazione critica con il mondo e non per una sua banale accettazione.

 

Ora, la definizione di professionalità quale si è venuta delineando e consolidando nell’ultimo decennio va in tutt’altra direzione.

 

Non ad una relazione critica essa conduce ma ad una consonanza acritica, che pervicacemente  difende se stessa, insinuando il  perverso messaggio che l’errore non sia tanto nella concezione della scuola e dell’insegnamento, quanto nella sua applicazione e che, quindi, non si tratti che di completare l’opera: in una parola perfezionare il docente.

 

Il mondo politico raggiunge per questa via un duplice obiettivo: il primo è quello di confermare se stesso, il secondo di identificare una cible, ovvero un bersaglio per i possibili  fallimenti.

 

Quanti docenti si sono trovati  - in questi anni - sulle pagine di qualche quotidiano locale per aver dato troppe insufficienze? Perché, se ci sono troppe insufficienze, l’inadeguatezza è comunque e sempre dell’insegnante.

 

Abbiamo parlato di una professionalità che conduce ad una conformità acritica. Cerchiamo ora di entrare nel dettaglio.

 

Siamo tutti testimoni delle trasformazioni avvenute negli ultimi anni, sappiamo tutti come si sia operato un cambiamento sia di committenza che di mission, come si sia passati, cioè,  dalla committenza data al docente dallo Stato alla committenza delle famiglie e dal mandato di istruire e di educare istruendo, ad un mandato più ampiamente e genericamente educativo.

 

Non è questa la sede per riflettere sull’origine e le cause di tutto questo.

 

Quello che ci interessa mettere in luce qui è il fatto che la cosiddetta delega educativa non è stata conferita al docente ma all’Apparato Anonimo, nato dallo spirito antiautoritario ed egualitario del ’68 e cresciuto secondo i dettami della cultura consumistica.  Alla quale diviene perfettamente funzionale, facendo propri i criteri cardine di questa cultura:  il totale rimando all’individuo, ai suoi bisogni e alle sue scelte.

 

E predisponendo i propri strumenti : docenti preparati in consonanza con il paradigma pedagogico imposto dalla cultura consumistica ed inseriti in un apparato burocratico gerarchico che ne punisce le eventuali devianze (il docente che dà troppe insufficienze).

 

La consonanza acritica che viene posta-imposta al docente di fatto lo indebolisce fino ad annullarlo, delegittimando totalmente il suo ruolo.

 

E rendendo così di fatto difficilissima, talora quasi impossibile, l’azione educativa.

 

Si tratta quindi a questo punto di tentare di operare un’inversione di tendenza.

 

La specificità saliente della professione  consiste   per noi – e qui risiede  il tratto che ci distingue -  nel suo collocarsi all’interno di un ruolo educativo che rileva al docente.

 

Al docente culturalmente preparato  e professionalmente libero, al docente in relazione critica con la realtà  e che alla stessa relazione sappia avviare i giovani che gli sono affidati.

 


10 ottobre 2009 – Serafina Gnech - Associazione Professione Insegnante
 

 

 







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