Attraverso le vicende di tre generazioni di una famiglia
di Bagheria, il film racconta un secolo di storia italiana,
con le Guerre Mondiali e l'avvicendarsi, sulla
scena politica, di Fascismo, Comunismo, Democrazia
Cristiana e Socialisti. La storia di una famiglia siciliana
che prende le mosse dal ventennio fascista in cui
Cicco, sin da bambino apertamente contestatore, è un
pastore che ha la passione per la letteratura epica.
Suo figlio Peppino, cresciuto durante la guerra,
entrerà nelle file del Partito Comunista divenendone
un esponente di spicco sul piano locale e riuscendo a
sposare, nonostante la più assoluta opposizione della
famiglia di lei, Mannina che diventerà madre dei loro
numerosi figli che saranno comunque considerati da
alcuni sempre e comunque ‘figli del comunista'.
Tornatore riprende a narrare della terra che ama, la
Sicilia, e lo fa con un affresco collettivo che abbraccia
numerosi decenni della storia del secolo scorso. Lo fa
con quel piglio che a tratti travalica nell'enfasi che
ormai gli è proprio quando torna cinematograficamente
a varcare lo Stretto di Messina (e che gli procura
tante critiche) ma anche con la sincera voglia di fare
cinema a tutto campo. Fare cinema si traduce per lui
in un omaggio consapevole e dichiarato a quanti lo
hanno preceduto (qui in modo particolare a Sergio
Leone ma non solo) senza però rinunciare a un proprio
stile narrativo che procede per accumulo di immagini
e di situazioni. È una corsa contro il tempo quella
che ci viene proposta sin dall'inizio con la figura del
bambino che apre il film. Corsa contro il tempo che
cancella una memoria collettiva che sembra progressivamente
non esistere più e che Tornatore vuole
restituirci scegliendo la via della spettacolarità rivolta
al pubblico più vasto possibile. C'è una scena in cui
Peppino torna a Bagheria dopo essere emigrato per
lavoro a Parigi. Ha ancora in mano la valigia e un
gruppo di suoi conoscenti, incontrandolo, gli chiede
per dove stia partendo. Nessuno di loro si è accorto
della sua assenza. Oggi ben pochi sembrano accorgersi
della perdita della conoscenza di un passato
recente in cui umiliazioni, lotte e parziali vittorie lasciavano
segni profondi nella collettività. Segni che, come
l'affresco sulla volta della chiesa, 'dovevano' essere
cancellati. Ma
ciò che al regista
sembra premere
ancor di più è il
mostrare come il
retaggio di un
passato di tradizioni
ormai
i n c a n c r e n i t e
nella società non
sia stato ancora
superato nella
realtà sociale
siciliana e non
solo. La sequenza
dell'assessore
all'urbanistica
non vedente che
si fa portare i
piani regolatori in
plastico e li
apprezza solo
dopo aver intascato
l'ineludibile
mazzetta è di quelle che si ricordano. Così come (pur
nel caleidoscopio a tratti pensoso e a tratti decisamente
macchiettistico della miriade di personaggi che
attraversano la scena) resta presente, nello scorrere
degli anni e delle vicende, la pessimistica sensazione
di una sorta di atavica maledizione a causa della
quale le uova rotte e i serpenti neri finiscono col far
parte del passato, del presente e del futuro di una
terra che ha bisogno di una frattura traumatica per
poter liberare una volta per tutte una vitalità creativa
che certo non le manca.
Giancarlo Zappalà
da AKIS