IL ''CANDIDO'' DI SCIASCIA
Data: Sabato, 12 settembre 2009 ore 12:04:27 CEST
Argomento: Rassegna stampa



Candido Munafò è scomodo per la società siciliana. “Piccolo mostro” per i genitori, troppo o troppo poco (a seconda delle necessità del momento) comunista per il PCI, eccessivamente onesto per la politica Siciliana. Nella Sicilia di Sciascia non c’è posto per chi vede le cose semplici e che va sempre al cuore dei problemi. Romanzo leggero e ironico. La forma del conte philosophique, particolarmente congeniale a Sciascia, gli permette di prendere la giusta distanza – e dà un passo leggero, aereo a questo libro, che per altro è forse il più intimo e segreto fra tutti i suoi romanzi. “Le cose sono sempre semplici” mormora talvolta Candido. E sarà appunto il suo desiderio di nominare le cose con il loro nome a procurargli varie disavventure. Questo giovane mite,testardo e iflessivo finisce per apparire, agli occhi del mondo,come un “piccolo mostro”.«Non ho, lo riconosco, il dono dell’opportunità e della prudenza ma si è come si è».Questa è stata la vita di Leonardo Sciascia. Candido Munafò nacque in una grotta, in Sicilia, dopo un mitragliamento degli alleati, che, durante l’ultimo conflitto, quasi distrusse il paese dei suoi, Maria Grazia e Francesco Munafò. Il nonno materno, Arturo Cressi, si era compromesso col regime sicchè la figlia, per evitargli il confino e la rovina politica, corteggia il capitano americano John H.Dykes che, in effetti, aiuta tanto la famiglia da suscitare la gelosia dell’avvocato. Da quì una serie di litigi che inducono i due coniugi alla separazione, tanto più che John H.Dykes si innamora sul serio di Maria Grazia e la convince a partire con lui in America. Candido rimane, affidato al nonno materno, alla governante Concetta e al padre. Il piccolo cresce particolarmente quieto, docile e riflessivo.


Candido ovvero un sogno fatto in Sicilia, ad una lettura immediata, appare come il romanzo della perdita di una fede comunista
. Non in chiave tragica, magniloquente o piagnona, come altri ci hanno abituato a sopportare, ma ironicamente -essendosi la ferita tramutata nel suo contrario e cioè in tagliente punta. Come la vecchia, la nuova religione è una illusione e Sciascia diventa il suo Voltaire. Di lì l'importanza del costante riferimento al Candido settecentesco, dove, sarcasticamente, veniva deriso il finalismo ottimistico alla Leibniz e alla Pope. Tale dottrina, dal suo Maestro Pangloss, era stata insegnata all'ingenuo Candido che, nelle sue concrete esperienze del mondo, tra guerre e catastrofi naturali, personali disavventure e narrazioni di casi altrui, scopriva la anti-illustrazione di quell'ideologia. Ma don Antonio - così viene chiamato l'ex-arciprete Lepanto - non è un nuovo Pangloss. Anzi, qui, maestro e discepolo vivono una reciproca dialettica della illuminazione dell'uno attraverso l'esperienza dell'altro. La loro presa di coscienza è progressiva, lunga liberazione dalla ideologia che porta al ricupero della vera religiosità: quella di un inquieto godersi ed esperire l'esistenza (sensi, sentimento, cultura). Un pieno ricupero, tuttavia, don Antonio non lo raggiunge. In lui permangono antiche incrostazioni: un che di pretesco che, egli stesso, nei confronti della donna, per esempio, percepisce. Ideologicamente, pure. Vogliamo vedere in questo tratto del personaggio la volontà, da parte di Sciascia, di non disgiungere la storicizzazione dalla concreta finitezza cui l'individuo sottostà. Libero, liberato è invece Candido. Il buon prete ha provveduto a proteggerlo dal cattolicesimo, con la immagine di se stesso, anche con un viaggio a Lourdes, durante il quale il giovane fa la sua prima esperienza amorosa. P, ancora in seguito a questo secondo viaggio (già ci era andato, circa una ventina d'anni prima) che don Antonio prende la decisione di spretarsi, definitivamente preso dalla ripugnanza... “ non per quei corpi, per quelle piaghe, per quegli occhi acquosi o bianchi, per quelle bave; ma per quella speranza organizzata, convogliata ” (e qui, si capisce che, nella mente di Sciascia, il santuario francese, con i suoi pellegrinaggi di vittime della divina creazione, ha una specie di valore paradigmatico e rimanda ai vari sotto Lourdes verso cui viene convogliata la miseria delle plebi meridionali).

"… a Candido avvenne di scoprire, un pensiero dietro l’altro che la morte è terribile non per il non esserci più ma, al contrario, per l’esserci ancora e in balìa dei mutevoli ricordi, dei mutevoli sentimenti, dei mutevoli pensieri di coloro che restavano … Doveva essere una fatica, per il morto, aggirarsi ancora in quello che i vivi ricordavano, sentivano e pensavano; e persino in quello che sognavano …"
Per un incidente, l’avvocato Munafò muore suicida. Per un attimo, si pensa che Candido possa andare in America, ma poi, visto le sue proteste, lo si lascia dal nonno, onorevole democristiano, che lo affida alle cure dell’arciprete Lepanto. Candido è ricco, l’arciprete è povero; Candido ha un’onestà e una curiosità intellettuale che attira e avvince; l’arciprete è un uomo dalle poche illusioni e dall’intelligenza acuta. Tra i due nasce un’amicizia, che è affetto, attrazione, differenza.

La ricchezza io l’ho desiderata tanto che persino il mio voler essere prete veniva da quel desiderio … Ma la ricchezza è morta ma bella, bella ma morta … E credo che gli uomini che sanno qualcosa di sè, che vivono e si vedono vivere, si dividono in due grandi categorie: quelli che sanno che la ricchezza è morta ma bella, e quelli che sanno che è bella ma morta.

Un piccolo giallo in paese, risolto dall’arciprete e da Candido, getta nell’impopolarità entrambi. L’arciprete è costretto a dimettersi e finira col lasciare definitivamente l’abito: sarà da quì in avanti Don Antonio. Candido, intanto, conosce l’amore: la giovane Paola, governante e amante del nonno, si innamora di lui e lui di lei. Scoperti dall’onorevole, decidono di vivere felicemente insieme. Don Antonio e Candido, che si frequentano più assiduamente di prima, entrano insieme nel partito comunista, dove sono accolti con qualche diffidenza.

Per Candido l’essere comunista era un fatto semplice come l’aver sete e voler bere… Per Don Antonio era una faccenda molto complicata, tutta puntualizzata in un apparato di richiamo ai testi, di chiose … Essere comunista era insomma, per Candido, un fatto quasi di natura: il capitalismo portava l’uomo alla dissoluzione, alla fine; l’istinto della conservazione, la volontà di sopravvivere, ecco che avevano trovato forma nel comunismo. Il comunismo era insomma qualcosa che aveva a che fare con l’amore … Don Antonio … riguardo a sè, al suo essere comunista, aveva idea diversa. - Un prete che non è più prete - diceva - o si sposa o diventa comunista. In un modo o nell’altro deve continuare a stare dalla parte della speranza…

Lo scandalo della convivenza di Candido e Paola provoca comunque tanto trambusto che la ragazza, alla fine, finisce con l’abbandonarlo e andare via.

Che Paola se ne fosse andata sacrificando il suo amore per lui o liberandosene, non aveva importanza. Il fatto è che se ne era andata: soltanto i fatti contano, soltanto i fatti debbono contare. Noi siamo quel che facciamo. Le intenzioni, specialmente se buone, e i rimorsi, specialmente se giusti, ognuno, dentro di sè, può giocarseli come vuole … E’ l’anima che mente, non il corpo.Candido è espulso dal partito e i suoi parenti intentano una causa per farlo interdire e impadronirsi di tutti i suoi beni, Ci riescono, grazie anche all’indifferente collaborazione dal giovane. Candido conosce, in quest’occasione, una cugina, Francesca, che finirà col partire insieme a lui e dividerne la vita, in un amore quieto e appagante. A Parigi, città amatissima, i due ospitano Don Antonio.

In questi anni aumenta la frequenza dei suoi viaggi a Parigi e si intensificano i contatti con la cultura francese, da lui sempre tenuta come essenziale punto di riferimento. Nel 1979 accetta la proposta dei radicali e si candida sia al Parlamento europeo sia alla Camera. Eletto in entrambe le sedi istituzionali opta per Montecitorio, dove rimarrà fino al 1983 occupandosi quasi esclusivamente dei lavori della commissione d’inchiesta sul rapimento Moro. In seguito a nuovi contrasti con il PCI di Berlinguer Sciascia abbandona l’attività politica, ma non rinuncia all’osservazione delle vicende politico-giudiziarie dell’Italia, in particolare per quanto riguarda la mafia. In un articolo sul «Corriere della sera» dal titolo I professionisti dell'antimafia nel 1987 Leonardo Sciascia afferma che in Sicilia, per far carriera nella magistratura, nulla vale più del prender parte a processi di stampo mafioso.
  Gli ultimi anni di vita dello scrittore sono segnati dalla malattia che lo costringe a frequenti trasferimenti a Milano per curarsi. Sia pure a fatica prosegue la sua attività di scrittore, mentre i continui attacchi di una sinistra opportunista e ideologizzata lo impegnano in sempre più taglienti e ironiche reazioni. Carichi di dolenti inflessioni autobiografiche sono i brevi racconti gialli Porte aperteIl cavaliere e la morte (1988) e Una storia semplice (in libreria il giorno stesso della sua morte), in cui si scorgono tracce di una ricerca narrativa all’altezza della difficile e confusa situazione italiana di quegli anni. (1987),
Pochi mesi prima di morire pubblica Alfabeto pirandelliano, A futura memoria (pubblicato postumo), e Fatti diversi di storia letteraria e civile edito da Sellerio. Opere nelle quali si ritrovano le principali tematiche della produzione sciasciana, dalla “sicilitudine” a quell’impegno civile che lo aveva caratterizzato lungo tutta la sua vita intellettuale, di cui rimane una testimonianza anche nelle numerose interviste rilasciate durante tre decenni della storia nazionale italiana.

Si rivela qui un altro aspetto della polemica di Sciascia: la critica al PCI. Egli dipinge il partito come una Chiesa all’inverso, con le sue gerarchie, le sue rigidità, i suoi moralismi, i suoi interessi da difendere, la sua omertà anche. Tanto che Candido, considerato un provocatore e un rompiscatole, viene “processato” ed espulso dal partito per una sua storia d’amore risaputa nella zona e per il suo essere non allineato.
La famiglia è un’altra struttura criticata impietosamente dall’autore, corrosa da ipocrisie e moralismi di facciata che contribuiscono alla problematica del familismo – così vivo proprio nel Sud vissuto e descritto da Sciascia. Invece di essere un porto sicuro di fronte a un mondo in subbuglio, è una delle concause dei problemi sociali e politici descritti. Infatti, Candido è sostanzialmente un uomo senza famiglia, sradicato da tutto e tutti. La famiglia ha qualche interesse nei suoi confronti solo perché ha ereditato un patrimonio considerevole: tanto che il nonno, durante un paio di sfuriate contro Candido, lo definì «spia, spione, delatore, traditore dei congiunti, fin dalla nascita spia e delatore» e «lo insultò in nome della lealtà, dell’omertà, dell’amore alla famiglia che lui rappresentava e che Candido non conosceva né, da verme qual era, avrebbe mai conosciuto».
Passano gli anni Sessanta e Settanta, mentre si consuma la grande trasformazione del comunismo italiano, il suo rapporto sempre più organico col cattolicesimo sociale, il loro reciproco mescolarsi: ma tutto per Candido è distante, i turbamenti e le contraddizioni di questo processo gli arrivano come echi lontani e vani dalle lettere del suo ormai vecchio amico ex prete, rimasto nonostante tutto nella sua nuova “Chiesa”. I fili della storia torneranno a intrecciarsi e congiungersi di nuovo in una sera del 1977, a Parigi: alla fine Candido è, a suo modo, felice.
Gli ultimi anni di vita dello scrittore sono segnati dalla malattia che lo costringe a frequenti trasferimenti a Milano per curarsi. Sia pure a fatica prosegue la sua attività di scrittore, mentre i continui attacchi di una sinistra opportunista e ideologizzata lo impegnano in sempre più taglienti e ironiche reazioni. Carichi di dolenti inflessioni autobiografiche sono i brevi racconti gialli Porte aperteIl cavaliere e la morte (1988) e Una storia semplice (in libreria il giorno stesso della sua morte), in cui si scorgono tracce di una ricerca narrativa all’altezza della difficile e confusa situazione italiana di quegli anni. (1987),
Pochi mesi prima di morire pubblica Alfabeto pirandelliano, A futura memoria (pubblicato postumo), e Fatti diversi di storia letteraria e civile edito da Sellerio. Opere nelle quali si ritrovano le principali tematiche della produzione sciasciana, dalla “sicilitudine” a quell’impegno civile che lo aveva caratterizzato lungo tutta la sua vita intellettuale, di cui rimane una testimonianza anche nelle numerose interviste rilasciate durante tre decenni della storia nazionale italiana.
Sciascia muore a Palermo il 20 novembre 1989, salutato da numerose parole di stima, fra cui quelle del grande amico Gesualdo Bufalino. Il suo corpo riposa all’ingresso del cimitero di Racalmuto.
Maria Allo







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