Gli Stati Uniti ricordano l'11 settembre
Data: Venerd́, 11 settembre 2009 ore 16:14:17 CEST
Argomento: Comunicati




Sarà dedicato allo spirito di servizio l’ottavo anniversario del crollo delle Torri Gemelle, il primo da quando Obama è alla Casa Bianca. Un modo per cambiare volto alla ricorrenza e guardare alle difficoltà del presente e alla possibilità del futuro più che alle paure del passato, almeno nelle intenzioni dell’amministrazione. Quanto alla destra, buona parte è già insorta, accusando il presidente di voler svuotare l’11 settembre del suo spirito patriottico. Obama, infatti, con una legge voluta dal senatore Ted Kennedy, ha proclamato che l’anniversario del peggior attacco terroristico su suolo americano, sarà d’ora in poi una Giornata nazionale del ricordo e del volontariato. Lo slogan è diventato: “uniti, serviamo”. Per commemorare gli attentati Obama sarà al Pentagono; a New York verranno letti, invece, come sempre gli elenchi dei caduti nello schianto delle torri, ma quest’anno a leggerli saranno squadre di volontari che poi si sparpaglieranno per la città. Intanto 250 mila americani in tutti i 50 Stati si sono impegnati a offrire il loro tempo a favore di programmi di solidarietà, dall’assistenza medica alla pulizia dei parchi. A Washington, ad esempio, 2000 mila persone aiuteranno i veterani ricoverati in ospedale e metteranno a posto i campi sportivi.

Gli attentati al World Trade Center e al Pentagono hanno avuto pesanti ripercussioni sulla politica estera internazionale, causando la guerra globale contro il terrorismo, e gli attacchi in Afghanistan e Iraq. Ma cosa è rimasto oggi dell’11 settembre 2001? Salvatore Sabatino lo ha chiesto a Giuseppe Mammarella, docente di Relazioni internazionali presso la Stanford University di Bologna:

R. – E’ rimasta un’eredità pesante che la nuova amministrazione, quella di Obama, cercherà di assorbire e anche di far dimenticare. Non c’è dubbio che in questi anni sono cambiate molte cose: i rapporti, intanto, fra gli Stati Uniti e gli alleati europei. Non ci dimentichiamo che alla vigilia dell’attacco americano all’Iraq, l’Europa si è divisa. C’è stato l’indebolimento dell’immagine dell’America nel mondo, davanti ad episodi come quello di Abu Ghraib e di Guantanamo. La questione israelo-palestinese non ha fatto un passo avanti in questi anni. Poi c’è stato il deterioramento dei rapporti fra l’America e la Russia, che negli anni ’90 erano indirizzati verso una certa collaborazione. C’è stato un deterioramento generale della politica estera americana. Credo che il motivo di tutto questo sia stata la reazione eccessiva a seguito dell’attacco alle torri.


D. – Tra le prime conseguenze dell’11 settembre, ricordiamo l’attacco degli Stati Uniti contro l’Afghanistan, che ancora oggi resta una spina nel fianco dell’amministrazione americana...


R. – Quell’attacco sarebbe stato in un certo senso giustificato, se si fosse limitato ad una operazione punitiva. Poi gli americani hanno dimenticato per vari anni la situazione afghana, che naturalmente andava trattata a quel punto con strumenti diversi da quelli militari, quegli strumenti che oggi si invocano come soluzione di un problema che, però, si presenta molto più complesso: quello del miglioramento della condizione di vita, nella rivoluzione, direi, culturale e sociale del Paese, che, naturalmente, doveva essere condotta gradualmente, con rispetto anche di quelli che erano i valori locali. Ecco, tutto questo non c’è stato. C’è stato invece l’Iraq. Evidentemente la vicenda irachena, che oggi tutti quanti riconoscono come un drammatico errore, ha sottratto all’Afghanistan attenzione e soprattutto risorse.

Ed ecco la drammatica testimonianza di padre Alfonso Aguilar, ex cappellano della Croce Rossa di New York, che ha vissuto in prima persona quella tragica giornata. L’intervista è sempre di Salvatore Sabatino:

R. – Io andavo con un gruppo di seminaristi verso Philadelphia ed eravamo lì al nord di Manhattan, quando abbiamo visto le Torri Gemelle cadere. All’inizio tutti eravamo sconvolti e tutta la gente non sapeva cosa stesse succedendo. Sembrava addirittura ci fosse stato un gravissimo incidente, ma nessuno pensava naturalmente ad un attacco terroristico. Sembrava un film horror.


D. – La Croce Rossa fu immediatamente coinvolta negli aiuti...


R. – Sì, effettivamente la Croce Rossa è arrivata subito. In quel momento, dopo gli attacchi, hanno chiuso tutte le strade d’accesso a New York, naturalmente, per permettere di aiutare i sopravvissuti e per motivi di sicurezza. Poi, il giorno successivo, sono arrivato sul luogo della tragedia, come cappellano della Croce Rossa, mi hanno fatto fare un allenamento veloce - eravamo una decina di sacerdoti – per aiutare i parenti delle vittime. C’era sempre la speranza di trovare qualche sopravvissuto, anche se poi abbiamo visto che solo cinque sono stati ritrovati vivi il giorno successivo, mercoledì, e nessun altro.

D. – Secondo lei, negli americani, è ancora viva l’emozione per quegli attacchi oppure oggi si sta un po’ dimenticando?


R. – No, penso che sia ancora vivo il ricordo, perché non soltanto c’è stato questo shock storico, ma le immagini che abbiamo visto tutti, sono rimaste stampate nel nostro cuore, nella nostra memoria. Penso che saranno per sempre indimenticabili. La gente ha reagito con molta religiosità, oltre che con molta solidarietà. Tante persone sono venute ad offrire pranzi, cibo, soldi ai parenti, spontaneamente, e ci sono stati anche molti servizi funebri, molti servizi religiosi, molte persone che hanno pregato in pubblico. La gente ha sofferto con molta pazienza, con molta calma. Io mi aspettavo reazioni blasfeme contro Dio o contro i musulmani e invece no: c’è stato soprattutto silenzio, silenzio sereno, ma molto doloroso. Penso che ci sia sempre qualche grazia speciale che Dio dà a queste persone, per sopportare queste sofferenze terribili.






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