Sui precari: tutti i responsabili
Data: Sabato, 05 settembre 2009 ore 12:07:10 CEST
Argomento: Opinioni


Quando la ministra Gelmini per prendersi l’abilitazione a procuratore legale si trasferì in Calabria, si giustificò candidamente dicendo che fu quasi obbligata perché aveva bisogno di lavorare e di non pesare più sulle magre risorse del padre contadino. Non mettiamo in discussione il peso della sua abilitazione rispetto a quella dei suoi colleghi rimasti in Lombardia, né il suo affettivo bisogno di lavoro, riflettiamo semplicemente per capire se i bisogni dei 131.145 (fonte Tuttoscuola) insegnanti che l’anno scorso tra contratti annuali e supplenze temporanee lavorarono nella scuola portando l’evangelica pagnottella del cardinale Dusmet a casa, siano uguali ai suoi quando era disoccupata. E siccome il pane e il lavoro, al di là di essere categorie sociologiche comuniste (ma anche cristiane), sono le basi primarie per la vita occorrerebbe che la politica, non la pietà cristiana, se ne facesse carico per garantirli. Dentro lo tsunami precari della scuola di questi giorni stanno vendo a galla questioni alquanto strane per cui si addossa la responsabilità solo a Gelmini e Tremonti, dimenticando quella similare di alcuni loro alleati politici, di parte del sindacato e degli stessi docenti troppo distratti dal dialetto, dal grembiule e dal voto. Che a cominciare da quest’anno ci fossero 140 mila tagli complessivi di cattedre è notizia già dell’anno scorso e la finanziaria che lo decretava fu votata con la fiducia da tutti gli alleati del governo, Mpa siciliano compreso che non pensò di studiare la faccenda e di intervenire. E non solo. Ma è stata fatta una capillare propaganda ideologica volta proprio allo scopo di delegittimare l’istruzione, a cominciare dal concetto di insegnanti fannulloni e ignoranti, a finire con la scuola ancora sessantottina, ammortizzatore sociale, piegata ai sindacati e accompagnando il tutto con la lotta agli sprechi e al commento spesso non corretto dei dati Ocse-pisa che davano scadenti i nostri alunni. Con ogni probabilità queste idee continueranno ancora a camminare, ma il dramma dei precari rimane perché comunque la loro solo colpa è stata quella di essersi fidati dello Stato e dei Governi che hanno votato e di cui ora sono ampiamente traditi. Sicuramente fra qualche mese di precariato non si parlerà più, nonostante decine di migliaia di questi docenti non potranno più avere diritto a quella felicità sancita dalla costituzione americana, ma l’unica possibilità loro rimasta sembra quella che il Miur ripristini i vecchi organici, allarghi di nuovo l’offerta formativa e assuma nei posti liberi o lasciati liberi dai pensionamenti. E’ vero che tutto ha un suo inizio e una fine, ma è anche vero che da 60 anni la scuola ha sempre funzionato in questo modo e che il Governo Prodi, nonostante avesse ben chiara la complessa questione che documentò sul quaderno bianco, aveva capito che non si possono dall’oggi al domani lasciare a casa migliaia di insegnanti, né che si possa riformare la scuola a colpi di mannaia. Nacque da qui la graduatoria a esaurimento e la proposta di assumere sull’effettivo fabbisogno delle scuole di cui pure l’Aprea (pdl) è apparsa sempre disponibile benché il suo disegno di legge pare stia per naufragare. Anche il contratto di disponibilità sembra assai indistinto e soprattutto macchinoso (inps, regioni, stato, sindacato), come quell’altro di consentire in Sicilia il lavoro a circa 1800 insegnanti utilizzati in attività progettuali per sostenere l’insegnamento della matematica, delle scienze, della tecnologia. A parte il fatto che ancora non si capisce se possano essere attività curricolari o corsi obbligatorie o più semplicemente opzionali di pomeriggio (chi verrebbe?), rimane l’incerta posizione del sindacato che, pur sapendo in largo anticipo dei tagli, non ha sbattuto i pugni in tempo, non ha convocato i possibili perdenti posto, non ha chiesto garanzie al governo, spaccandosi perfino sul contratto di lavoro e sui salari.
PASQUALE ALMIRANTE







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