IL PENSIERO LIBERO DELL'ITALIA MODERNA
Data: Venerdì, 14 agosto 2009 ore 00:00:00 CEST
Argomento: Rassegna stampa


Michele Ciliberto (a cura di)

Biblioteca laica. Il pensiero libero dell'Italia moderna

Bari-Laterza

Negli ultimi tempi si parla molto di ‘laicità’ nel nostro paese, e non per caso, naturalmente: l’accendersi della discussione intorno a questo tema è connesso anzitutto al nuovo ruolo che la Chiesa di Roma è venuta assumendo in Italia dopo la crisi e la fine dei grandi partiti di massa che hanno segnato il ’900. Senza più il filtro del ‘partito dei cattolici’, la Chiesa è scesa in prima persona sul piano della lotta politica e sociale sostenendo con vigore e intransigenza le proprie posizioni in tutti i campi, a cominciare da quello dei cosiddetti temi ‘eticamente sensibili’. Del resto, anche nel campo ‘laico’ appare oggi più diffusa, anche se non generalmente acquisita, la tesi secondo cui la fede, e la religione, non sono un fatto privato, e che esse, legittimamente, possono aspirare a svolgere una funzione e un ruolo pubblico significativi. Rispetto alle posizioni affermate dal Concilio Vaticano II – e al clima generale da esso suscitato – c’è stato dunque un profondo mutamento di prospettiva, che ha rimesso in discussione vecchie posizioni, sgretolando antichi schieramenti e creandone di nuovi.

Si tratta di una novità di grande portata; né stupisce che di fronte ad essa le forze culturalmente e storicamente avverse alla Chiesa romana siano scese in campo per sostenere con altrettanta energia le loro ragioni, sollecitate in questo – e quasi forzate – anche dalla figura e dalla personalità dell’attuale pontefice, un teologo impegnato in primo piano, e da molto tempo, proprio sui temi sui quali la discussione si è accesa in modo più intenso e più bruciante.

Ma non si tratta di una questione circoscrivibile nei nostri confini nazionali, anche se da noi assume toni più netti e più duri per i caratteri specifici della storia nazionale italiana. Basta pensare a quello che è avvenuto, e continua ad avvenire, in Spagna, e al durissimo scontro che in questo ultimo periodo ha visto contrapposti governo e gerarchie ecclesiastiche di quel paese. Né il problema è riducibile ai confini dell’Europa, e al nuovo protagonismo della Chiesa di Roma. Il dato fondamentale – che segna in maniera impetuosa questi anni – è la nuova sporgenza, sul piano mondiale, delle religioni, e il nuovo ruolo che esse hanno assunto in termini planetari condizionando in modo diretto, e spesso intransigente, la sfera politica e mettendo in profonda crisi le classi dirigenti che, in Occidente come in Oriente, avevano scelto consapevolmente di muoversi secondo una prospettiva di carattere ‘laico’, diventata ormai, in molti casi, nettamente minoritaria (come è avvenuto, per fare un solo – e tragico – esempio, in Palestina).

La previsione di un progressivo affievolirsi della dimensione confessionale e religiosa è stata duramente smentita dalla storia; così come si è rivelata fallace la tesi secondo cui sarebbero venute meno le dinamiche, e le funzioni, degli Stati nazionali di matrice moderna. Sono, anche questi, processi intrecciati. Sul piano religioso, ci troviamo di fronte a nuovi, e violentissimi, fondamentalismi, disposti a tutto – compreso il sacrificio della vita dei seguaci – pur di affermarsi; mentre sul piano politico si sono imposti nuovi nazionalismi che, intrecciandosi a componenti di tipo religioso, sono sfociati in posizioni di carattere addirittura razzistico, riportando all’ordine del giorno obiettivi tragici come quello della ‘pulizia etnica’.

Né si tratta di processi destinati a declinare e a finire in breve tempo; essi tendono, piuttosto, a configurarsi come caratteri morfologici della lotta politica e religiosa nel millennio che è appena iniziato, mettendo in questione vecchie e nuove certezze e costringendo tutti a fare nuovamente i conti anche con la propria storia per cercare di non essere travolti dal mare che si è dischiuso di fronte a noi.

È discutendo di questi temi, e in modo specifico del nuovo protagonismo della Chiesa di Roma, che l’Editore mi ha proposto di svolgere una riflessione sul significato e l’incidenza del motivo ‘laico’ nella cultura e nell’ethos nazionale: in altre parole, sulla ‘laicità’ quale carattere costitutivo della identità moderna italiana. È un tema vasto ed impervio, che si può svolgere da una pluralità di punti di vista: politico, filosofico, storico. Ho scelto, in questo libro, l’ultimo tipo di approccio non perché sia convinto che per conoscere qualcosa bisogna farne la storia (è da tempo, ormai, che non penso più questo); ma perché nella situazione attuale questa mi è sembrata la via più adatta per rappresentare sine ira et studio (come si sarebbe detto una volta) il significato e il valore di una tendenza della cultura nazionale nella quale si è raccolto quanto di meglio la nostra storia ha generato lungo i secoli moderni, su cui vale la pena di dire subito qualche parola, anche per delineare al lettore gli obiettivi che il libro si prefigge.

«Tendenza», ho scritto, ma è un termine debole, insufficiente. La ‘laicità’ – questa la tesi che si sostiene nel volume – è una concezione dell’uomo e della società che – per quanto riguarda l’Italia – si svolge con motivi omogenei lungo un ampio arco di tempo compreso tra la metà del ’300 e l’800, quando si costituisce lo Stato nazionale unitario e muta, con tutto il resto, anche il problema della ‘laicità’ e del suo significato. Essa è incentrata, fin dall’inizio, sulla consapevolezza del limite costitutivo, e insuperabile, della ‘condizione umana’, colto, e sottolineato, con occhio disincantatissimo e con toni spesso affini, da pensatori di prima grandezza quali Alberti, Machiavelli, Sarpi, o lo stesso Leopardi, il quale – a conferma della forza e della continuità di una lunga tradizione – suona spesso tasti critici che riecheggiano, in modo immediato, le Intercenali albertiane. Ma, ed è un altro punto che conviene subito sottolineare, l’insistenza di questa cultura sul ‘limite’ dell’uomo – sul ‘buio’ nel quale egli è sommerso, e dal quale non può uscire – non si risolve mai in un atteggiamento rassegnato, passivo o inerte. È vero precisamente il contrario. Essa, fin dall’inizio, individua nell’agire il carattere proprio dell’uomo, a tutti i livelli – compreso il sogno, l’illusione, l’utopia –, cui non rinuncia mai, pur nella consapevolezza della potenza inesorabile della ‘fortuna’ (nella varia, e complessa, serie di significati che assume nelle pagine di questi autori). Perciò questa cultura si batte con forza ed intransigenza sulla libertas philosophandi intesa come predicato specifico e irrinunciabile dell’indagine umana, su tutti i piani, dal ‘libro della natura’ al ‘libro sacro’, il quale, come testimoniano le pagine eccezionali di Bruno (erede consapevole degli ‘eretici’ italiani), di Campanella, dello stesso Galileo, deve essere sottoposto a una esegesi in grado di individuare con precisione gli scopi che il divino Legislatore si è proposto con la Scrittura, senza confondere piano della ‘legge’ e piano della ‘filosofia’.

Né la natura, né la religione possono, infatti, sottrarsi a un’indagine di tipo ‘razionale’ e ‘scientifico’, che ha il compito specifico di definire con esattezza i caratteri propri sia dei fenomeni naturali che di quelli religiosi, analizzati, questi ultimi, nell’ampio spettro delle loro manifestazioni, compresa quella – delicatissima – dei miracoli. Le pagine ad essi dedicate da Pomponazzi e da Bruno e lo sforzo ‘scientifico’ che l’uno e l’altro fanno per spiegarli sono uno dei vertici più alti raggiunti da questi autori.

Ridurre posizioni di questo tipo a pulsioni polemiche di carattere anticlericale, come molto spesso è stato fatto, specie nel secondo ’800, sarebbe una forzatura, anzi un errore. Esse si situano, a pieno diritto, nel processo di costituzione dell’idea moderna di ‘natura’, e anche di ‘religione’, dischiudendo linee di ricerca che saranno fruttuosamente riprese nei secoli successivi, specie nel ’700. Ma a questo proposito si può dire di più. Molti dei più autorevoli rappresentanti di questa cultura – a cominciare da Machiavelli fino allo stesso Sarpi, che pure ipotizza la possibilità di una società senza «Torà» – hanno saputo comprendere la funzione ‘civile’ della religione e il ruolo positivo che essa può svolgere – se è basata su giusti fondamenti – nella vita di un popolo che ambisca alla forza, alla potenza. Machiavelli è tutt’altro che un pensatore libertino; né è disposto in alcun modo ad accettare la distinzione fra ‘rozzi’ e ‘sapienti’ su cui quella cultura è fondata. Il che non significa che nelle sue pagine, o in quelle di Guicciardini, non vi siano posizioni di netta, e aspra, critica nei confronti della Chiesa romana. Anzi, costituiscono una parte assai ampia della loro opera, e hanno precise, e dichiarate, motivazioni di carattere politico. Infatti, almeno in parte, esse sono anche effetto delle posizioni assunte dalla ‘monarchia pontificia’ nella storia italiana; delle prevaricazioni che essa compie sia sul piano politico che su quello religioso; del rifiuto della Chiesa romana di pensarsi – ieri come oggi – come parte tra le parti, come soggetto tra altri soggetti; della sua pulsione a voler imporre a tutti – indiscriminatamente e con tutti i mezzi – le proprie leggi e i propri princìpi, senza averne spesso i titoli né morali, né religiosi, né giuridici (come in pagine eccezionali scrivono Marsilio da Padova, Lorenzo Valla, Paolo Sarpi, Antonio Genovesi, lo stesso Gaetano Filangieri, che spiega, addirittura, come «pubblicare» una nuova religione, alternativa a quella antica: tutti autori, peraltro, messi rigorosamente all’Indice).

Ma conviene ribadirlo: se la polemica anticlericale rappresenta un aspetto strutturale di questa cultura, è un errore identificare il termine ‘laico’ con il termine ‘anticlericale’, come spesso è accaduto nel nostro paese, nel fuoco di una polemica assai aspra nei confronti della Chiesa romana, acuitasi specie dopo la costituzione dello Stato nazionale. È una semplificazione tanto dura quanto inconsistente: il motivo dell’anticlericalismo è un aspetto – e una conseguenza naturale – di un atteggiamento di carattere ‘laico’: e lo si vede bene sul piano della analisi storica, tenendo anche conto della funzione svolta dalla ‘monarchia pontificia’ nel nostro paese. Ma la ‘laicità’ è qualcosa di molto più vasto di una polemica, per quanto aspra, nei confronti della Chiesa di Roma (e di qualsiasi altra Chiesa). Nella ‘laicità’ – ed è soprattutto su ciò che si è voluto insistere nel libro – si è espressa una vera e propria concezione della sapienza – quella mondana, civile che appare in modo luminoso dai testi qui adunati. Se si vanno a leggere i capisaldi di tale cultura, ci imbattiamo in concetti decisivi come quelli di legge, di conflitto, di eguaglianza, di dissimulazione, di bisogno, di libertà di stampa, di opinione pubblica, fino all’argomentazione del rifiuto della tortura e della pena di morte svolta nelle pagine memorabili di Cesare Beccaria pubblicate nel lontano 1764...

Princìpi, ieri come oggi, di una sapienza mondana, civile, che in Italia ha trovato uno dei suoi luoghi di nascita e di maggior sviluppo, come potrà agevolmente constatare chi leggerà il volume, che si conclude, volutamente, con la costituzione dello Stato nazionale e con due grandi discorsi di Cavour e di Silvio Spaventa, entrambi figli diretti di questa lunga storia: il primo sul principio della ‘libera Chiesa in libero Stato’; il secondo sulla rottura definitiva di qualunque rapporto tra Stato moderno e ogni forma di potere temporale della Chiesa. Si conclude con il 1861 perché dopo – come sopra si è detto – nel nostro paese tutto cambia: anche il problema della ‘laicità’.

Del volume – e della sua validità – giudicherà naturalmente il lettore. A me resta però il compito di fare una osservazione finale: l’Italia – e questa è una delle sue ‘miserie’ più grandi – ha avuto spesso una autorappresentazione inferiore alla sua ‘grandezza’, a quello che essa effettivamente è stata e ha significato, anche fuori dei nostri confini. Varrebbe la pena di comprendere le ragioni di questo atteggiamento, e forse anche qui bisognerebbe fare i conti con la lunga influenza della Chiesa di Roma nel nostro paese.

Ma dal libro due dati, in ogni caso, appaiono chiari e inoppugnabili: con questi autori l’Italia è stata all’avanguardia nella storia civile dell’Europa moderna; il pensiero ‘laico’ di matrice rinascimentale e moderna – sia esso una tendenza, una cultura o una concezione del mondo – è stato il terreno privilegiato su cui tutto questo è avvenuto. Vale la pena di conoscerlo.







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