lettera aperta alla gelmini: Dante e Verga? Basta. Mi son de Trieste
Data: Venerd́, 07 agosto 2009 ore 08:45:45 CEST Argomento: Rassegna stampa
lettera aperta alla gelmini: Dante e Verga?
Basta. Mi son de Trieste
Ministro,
cambiamo i programmi: «El moroso della Nona» al posto della
Divina Commedia
Signor
ministro, mi permetto di scriverLe per suggerirLe l'opportunità
di ispirare pure la politica del Ministero da Lei diretto, ovvero
l'Istruzione — a ogni livello, dalla scuola elementare
all'università — e la cultura del nostro Paese, ai criteri che
ispirano la proposta della Lega di rivedere l'art. 12 della
Costituzione, ridimensionando il Tricolore quale simbolo
dell'unità del Paese, affiancandogli bandiere e inni regionali.
Programma peraltro moderato, visto che già l'unità
regionale assomiglia troppo a quella dell'Italia che si vuole
disgregare.
Ci sono le
province, i comuni, le città, con i loro gonfaloni e le loro
incontaminate identità; ci sono anche i rioni, con le
loro osterie e le loro canzonacce, scurrili ma espressione di
un’identità ancor più compatta e pura. Penso ad esempio
che a Trieste l'Inno di Mameli dovrebbe venir sostituito, anche e
soprattutto in occasione di visite ufficiali (ad esempio del presidente
del Consiglio o del ministro per la Semplificazione) dall’Inno
«No go le ciave del portòn», triestino doc.
Ma bandiere e
inni sono soltanto simboli, sia pur importanti, validi solo
se esprimono un'autentica realtà culturale del Paese.
È dunque opportuno che il Ministero da Lei diretto si adoperi
per promuovere un'istruzione e una cultura capaci di creare una
vera, compatta, pura, identità locale.
La letteratura
dovrebbe ad esempio essere insegnata soltanto su base regionale:
nel Veneto, Dante, Leopardi, Manzoni, Svevo, Verga devono essere
assolutamente sostituiti dalla conoscenza approfondita del
Moroso de la nona di Giacinto Gallina e questo vale per ogni
regione, provincia, comune, frazione e rione. Anche la scienza deve
essere insegnata secondo questo criterio; l'opera di Galileo,
doverosamente obbligatoria nei programmi in vigore in Toscana, deve
essere esclusa da quelli vigenti in Lombardia e in Sicilia.
Tutt'al più la sua fisica potrebbe costituire materia di
studio anche in altre regioni, ma debitamente tradotta; ad esempio, a
Udine, nel friulano dei miei avi. Le ronde, costituite notoriamente da
profondi studiosi di storia locale, potrebbero essere adibite al
controllo e alla requisizione dei libri indebitamente presenti in
una provincia, ad esempio eventuali esemplari del Cantico delle
creature di San Francesco illecitamente infiltrati in una biblioteca
scolastica di Alessandria o di Caserta.
Per quel che
riguarda la Storia dell’Arte, che Michelangelo e Leonardo se lo tengano
i maledetti toscani, noi di Trieste cosa c’entriamo con il
Giudizio Universale? E per la musica, massimo rispetto per Verdi,
Mozart o Wagner, che come gli immigrati vanno bene a casa loro, ma
noi ci riconosciamo di più nella Mula de Parenzo, che «ga
messo su botega / de tuto la vendeva / fora che bacalà».
Come ho
già detto, non solo l’Italia, ma già la regione, la
provincia e il comune rappresentano una unità coatta e
prevaricatrice, un brutto retaggio dei giacobini e di quei
mazziniani, garibaldini e liberali che hanno fatto l'Italia. Bisogna
rivalutare il rione, cellula dell'identità. Io, per
esempio, sono cresciuto nel rione triestino di Via del Ronco e nel
quartiere che lo comprende; perché dovrei leggere Saba, che
andava invece sempre in Viale XX Settembre o in Via San
Nicolò e oltretutto scriveva in italiano? Neanche Giotti e Marin
vanno bene, perché è vero che scrivono in dialetto, ma
pretendono di parlare a tutti; cantano l’amore, la
fraternità, la luce della sera, l’ombra della morte e
non «quel buso in mia contrada»; si rivolgono a tutti
— non solo agli italiani, che sarebbe già troppo, ma a tutti.
Insomma, sono rinnegati.
Ma non occorre
che indichi a Lei, Signor Ministro, esempi concreti di come meglio
distruggere quello che resta dell’unità d’Italia.
Finora abbiamo creduto che il senso profondo di quell’unità
non fosse in alcuna contraddizione con l'amore altrettanto
profondo che ognuno di noi porta alla propria città,
al proprio dialetto, parlato ogni giorno ma spontaneamente e senza
alcuna posa ideologica che lo falsifica. Proprio chi è
profondamente legato alla propria terra natale, alla propria casa,
a quel paesaggio in cui da bambino ha scoperto il mondo, si sente
profondamente offeso da queste falsificazioni ideologiche che
mutilano non solo e non tanto l’Italia, quanto soprattutto i suoi
innumerevoli, diversi e incantevoli volti che concorrono a
formare la sua realtà. Ci riconoscevamo in quella frase di
Dante in cui egli dice che, a furia di bere l'acqua dell’Arno, aveva
imparato ad amare fortemente Firenze, aggiungendo però che
la nostra patria è il mondo come per i pesci il mare. Sbagliava?
Oggi certo sembrano più attuali altri suoi versi: «Ahi
serva Italia, di dolore ostello, / nave sanza nocchiere in gran
tempesta, / non donna di province, ma bordello!».
Con
osservanza
Claudio Magris
Fonte: Corriere
della Sera
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