IL PROBLEMA DEL LINGUAGGIO NELLA LINGUISTICA CONTEMPORANEA-INTERVISTA A CHOMSKY
Data: Venerdì, 07 agosto 2009 ore 00:05:00 CEST
Argomento: Rassegna stampa


Noam Chomsky

La linguistica contemporanea

 

A chi dobbiamo, Professor Chomsky, i contributi più significativi nello studio del linguaggio in epoca moderna?

All'inizio dell'Ottocento un grande linguista, Karl Wilhelm von Humboldt, osservò che il linguaggio in qualche modo ci fornisce dei mezzi finiti per usi infiniti. I mezzi che abbiamo per esprimerci sono collocati nel cervello, il che significa che sono finiti, mentre l'uso per il quale possiamo impiegarli è illimitato, sconfinato e infinito. Già Cartesio però sosteneva che per capire se un'altra creatura avesse una mente come la nostra, la migliore indicazione stesse proprio nel suo poter usare il linguaggio in quel modo creativo così caratteristico degli esseri umani. Egli intendeva un uso del linguaggio prima di tutto infinito e, in secondo luogo, evidentemente non causato da situazioni esterne né da una disposizione interna.

 

Ci può dire invece quando ci si è posti la domanda di come si sia formata questa attitudine?

La questione di come possa essersi sviluppata questa capacità creativa riguarda un altro aspetto dello stesso problema, che può essere fatto risalire, ancora più in là di Cartesio, ai dialoghi Platonici. In questo senso l'interrogativo si estende anche alla spiegazione di come sia possibile agli uomini comprendere la grande quantità di cose che di fatto comprendono, dato il carattere limitato dell'esperienza disponibile. Se si considera più da vicino il linguaggio, infatti, è possibile dimostrare facilmente che qualsiasi bambino piccolo usa quei mezzi finiti per esprimere alcuni pensieri limitati senza avere quasi nessuna esperienza pertinente. Quello che si potrebbe definire "il problema di Platone", e cioè la domanda, "Come è possibile sapere tante cose avendo esperienze così minime?" può essere trasferita nel linguaggio traducendola nella formula seguente: "Come si possono sviluppare i mezzi finiti che ci mettono in grado di esprimere pensieri illimitati in maniera creativa, non causata, ma appropriata?". Fino a circa cinquanta anni fa non è stato mai possibile affrontare in modo molto preciso tali questioni fondamentali, che pure sono state sollevate più volte nel corso del tempo. L'idea, infatti, di un uso infinito di mezzi finiti rimase una metafora fino al ventesimo secolo. Da allora questo concetto è stato chiarificato anche in altri campi quali la matematica, lo studio dei sistemi logici e la computazione.

 

Quali effetti ha prodotto in linguistica questa impostazione del problema?

Il concetto di un uso infinito di mezzi finiti divenne molto chiaro e comprensibile. Esso fornì gli strumenti intellettuali per affrontare quei problemi che Humboldt, per esempio, riuscì a discutere solo in modo metaforico e creò così le condizioni per convertire quelle domande in un programma di ricerca veramente vivo. Solo allora, infatti, fu possibile formulare un progetto di ricerca specifico, il programma di grammatica generativa, con il quale si è cercato di definire l'esatto sistema di principi e di modi di computazione usati dal cervello nell'esprimere pensieri in quel modo illimitato. Non appena si giunse a questo risultato, ci si accorse presto del fatto che il materiale disponibile nelle grammatiche tradizionali o anche, in maggior copia, nelle grammatiche strutturalistiche moderne, non si avvicinava nemmeno lontanamente alla quantità di conoscenze di cui dispone ogni persona normale o, di fatto, ogni bambino piccolo.

Dalla formulazione precisa di questi principi, che collocavano il problema su una scala diversa da quella che si poteva immaginare, si arrivò ad approfondire il "problema di Platone", il render conto di come questa capacità umana si fosse sviluppata. Le conclusioni a cui si giunse riguardo tale questione non furono poi diverse da quelle a cui giunse lo stesso Platone e cioè che questa capacità ha potuto svilupparsi sulla base dell'esperienza solo perché era già presente come parte di ciò che oggi chiameremmo la dotazione biologica o genetica. Questi concetti furono sviluppati in quella che fu definita la "rivoluzione cognitivista" degli anni '50 e che rappresentò un cambiamento di prospettiva alquanto significativo in relazione allo studio del comportamento, del pensiero e dell'intelligenza umana. Si spostò l'attenzione dai comportamenti ai meccanismi interni che rendono possibile quei comportamenti, e lo sviluppo della grammatica generativa interna rientrò in questo programma rappresentando, di fatto, un grande stimolo allo sviluppo delle moderne scienze cognitive. Da quel periodo in poi abbiamo assistito a molti sviluppi importanti nel tentativo di formulare i principi che realmente rendono conto della nostra conoscenza delle frasi espressive e di ciò che esse significano. Ci si rese conto di come la complessità di questi meccanismi andasse molto aldilà di quanto potessimo mai immaginare.

 

Professor Chomsky, secondo quali principi funziona il linguaggio nell'ottica della grammatica generativa?

Qualsiasi sia l'aspetto del linguaggio che noi consideriamo, si tratti del significato delle parole o del modo in cui le parole si combinano in frasi, del modo in cui si possano formare certe costruzioni, come nel caso delle domande o anche delle relazioni semantiche tra parole, oppure si tratti delle relazioni tra un pronome e un antecedente o un nome, ci si affaccia subito su un vasto orizzonte di complessità. Alle questioni tradizionali - come quelle citate - sono connessi, inoltre, una serie di paradossi. Uno è quello per cui sembra di essere costretti a creare sistemi di regole estremamente intricati e complessi, in parte condivisi dalle varie lingue, e in parte differenti da lingua a lingua. I tentativi comunque di affrontare gli interrogativi connessi al "problema di Platone", di come si faccia ad acquisire il sapere, solo nel corso degli ultimi quarant'anni sono andati avanti seguendo un percorso naturale e abbastanza proficuo, cioè secondo un'idea di base che era quella di cercare di dimostrare che le regole semplici erano quelle veramente giuste. Lo sforzo è consistito nel mostrare l'esistenza di una regola elementare e di una semplice relazione strutturale tra i vari fattori, che sono universali e fissati in modo semplice nella natura del linguaggio, per cui questi interagiscono in svariate maniere in modo da rendere il ventaglio delle complessità fenomeniche. Questo, si dimostrò un programma di ricerca molto proficuo, col quale si proseguì per circa venticinque anni in modo attivo, su una varietà crescente di lingue, a partire dagli anni '50. Attorno al 1980, questo indirizzo giunse a una sorta di punto di svolta evidenziando un nuovo quadro che indicava una rottura davvero radicale rispetto alla tradizione dei duemila e cinquecento anni precedenti.

 

Secondo questi nuovi orientamenti quali erano gli elementi innati e quali quelli da acquisire nell'apprendimento del linguaggio?

I bambini possiedono già disponibili i concetti, come parte della loro natura interna e, pur con una quantità limitata di esperienza, sono in grado di legare questi concetti con suoni particolari. Essi, nei periodi di più intenso apprendimento acquisiscono circa dieci nuove parole al giorno nel loro ambiente; il che significa che stanno acquisendo parole sulla base di una singola esposizione e che perciò alla base devono già avere fissi il concetto e la struttura sonora. Ciò che invece imparano è il legare le due cose tra loro, acquisiscono cioè il legame tra concetto e struttura sonora. C'è un aspetto per il quale le lingue variano ma, al di fuori di questo aspetto, sembra che le loro variazioni esistano soltanto nei tratti periferici delle parti non sostantive del lessico.

 

Quali sono propriamente gli aspetti del significato per cui le lingue differiscono e quelli per i quali invece si assomigliano?

Come per i sistemi computazionali, le diverse lingue non differiscono affatto, se non per alcune variazioni marginali, come per esempio il caso delle parole "house" e "home" in inglese. Per spostare una "house" da New York a Boston è necessario spostare un oggetto fisico, mentre per spostare una "home" non c'è affatto bisogno di spostare alcun oggetto fisico, pur essendo anche "home", in inglese, un oggetto fisico. La differenza tra "house" e "home" è una differenza che il bambino deve acquisire. In altre lingue l'equivalente della parola "home" è di fatto un avverbio, come nel caso del francese "chez moi" o come nel caso dell'italiano, "vado a casa" dove, in quest'espressione, all'oggetto concreto viene data un'interpretazione astratta.

Nella lingua, secondo il concetto saussuriano di arbitrarietà, Z3:0 "house" può avere un certo suono in inglese e un diverso suono nella lingua vicina e le strutture sonore possono variare in un certo margine. Le parole possono essere imparate molto rapidamente, perché essenzialmente esse sono già note mentre la sola cosa che va conosciuta è come i concetti si legano ai suoni e il modo di sistemare il ventaglio di variazioni esistenti, per quanto ridotto. Posto dunque che il sistema computazionale è fissato e la variazione pare essere così come essa si manifesta nella sua articolazione in suoni e posto che anche nella mente le cose paiono procedere nello stesso modo è possibile, partendo da queste premesse, affrontare quello che è stato definito "il problema di Platone" che è lo stesso problema sollevato da Humboldt. A questa domanda si risponde essenzialmente con la natura del sistema computazionale che ha precisamente la proprietà di generare una serie illimitata di pensieri che possono essere espressi con un meccanismo finito.

Al problema posto da Cartesio circa la creatività dell'uso linguistico è più difficile rispondere. E' possibile, infatti, parlare del tempo, di ciò che si mangia a cena e di qualsiasi cosa senza che ci sia nulla nello stato interno di chi parla che possa determinare ciò che si sta per dire. Da ciò deriva un comportamento fondamentalmente libero e non casuale appropriato però alle situazioni. Un comportamento tale da evocare nelle menti di chi ascolta pensieri che egli, prima di allora, non avrebbe mai avuto ma che può adesso pensare e che avrebbe potuto esprimere nello stesso modo. Per Cartesio questa collezione di proprietà diventò l'indicazione dell'esistenza di una mente distinta da un meccanismo. La domanda su come ciò sia possibile resta oggi misteriosa quanto allora e si può semplicemente osservare che queste sono le proprietà di cui evidentemente gode il linguaggio. Per il momento, rimane ancora un mistero il modo in cui un meccanismo biologico possa avere simili proprietà.

 

 

 







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