NIETZSCHE E LA RISCOPERTA DEL CORPO
Data: Lunedì, 03 agosto 2009 ore 00:05:00 CEST
Argomento: Rassegna stampa


NIETZSCHE E LA RISCOPERTA DEL CORPO

La corporeità in Umano Troppo Umano

Nelle opere giovanili il “primo filosofo tragico” aveva messo in crisi il dualismo platonico-cristiano-cartesiano con la sua scissione di corpo vs anima per ricondurlo all’unità vitale e organica del corpo in cui si dispiega la lotta tra istinti, ragione, passioni.

Nelle opere della maturità Nietzsche pare concentrarsi sempre più sulla tematica del corpo che farà tutt’uno con la rivalutazione della terra contro tutti quei “mondi dietro il mondo” fantasticamente immaginati nel passato.

Già in Umano Troppo umano opera che è una “chimica delle idee e dei sentimenti, morali, religiosi, estetici”, N. parla di sé come uno che “è felice di albergare in sé non un’unica anima immortale, bensì molte anime mortali”. In quest’opera appartenente al periodo in cui N. adotta una visione del mondo vicina al metodo scientifico vi si trova la critica al dualismo che si incardina nella disamina del rapporto tra religioni e natura e nello smascheramento della realtà profonda dell’uomo. Ad esempio la scissione di anima-corpo è ricondotta da N. al fraintendimento del sogno che nel passato di un’ umanità infantile era visto come fosse realtà, la fede negli dèi deriva così da un’interpretazione erronea dell’esperienza onirica, errore che è alla base delle religioni. Tuttavia N. distingue tra le religioni pagane in cui vi è una nobilitazione dell’uomo, un’armonia delle forme, un legame organico con la natura e la religione cristiana in cui invece l’uomo vi è umiliato, Dio vi è sublimato e in cui avviene una rottura metafisica tra uomo-dio:

“Uno degli artifici della religione e di quei metafisici che vogliono l’uomo per natura cattivo e macchiato di peccato, è quello di rendergli sospetta la natura e di far diventare, così, lui stesso cattivo; giacchè, così, egli impara a considerarsi cattivo, dato che non può svestire l’abito della natura.” (Umano Troppo Umano)

Il cristianesimo insiste infatti sulla colpevolezza mirando ad avvilire l’uomo, accasciandolo sotto il peso della colpa, che diventa massima nell’ascetismo cristiano: l’asceta o il santo è quell’uomo che tiranneggia parti della sua natura, e tutti quei pensatori che professano “vedute di ascesi, umiltà e santità” e che imbruttiscono la propria immagine in realtà vengono smascherati da N. come vanitosi:

“l’uomo prova una vera voluttà nel farsi violenza con pretese eccessive e nel divinizzare poi nella sua anima questo qualcosa che tirannicamente esige – In ogni morale ascetica, l’uomo adora una parte di sé come dio, e a tale scopo è costretto a render diabolica la parte che resta" (Umano Troppo Umano)

Nella lotta alla sensualità i santi cristiani facevano un loro punto fondamentale ma tanto più la lotta verso la sensualità era forte tanto più potevano meritare l’ammirazione e partecipazione dei profani, la lora aura di esseri incomprensibili e soprannaturali ne guadagnava in considerazione e ammirazione. La continua autoflagellazione spirituale e la crocifissione degli istinti sono ciò che caratterizza il cristianesimo che basava la sua incisività sulle masse sull’idea di colpevolezza che però era del tutto immaginaria:

“Si scorrano le singole enunciazioni morali dei documenti del Cristianesimo,e in tutte sui troverà che le pretese sono esagerate, affinché l’uomo non possa soddisfarle: l’intenzione non è che egli diventi morale, ma che si senta il più possibile in stato di peccato.” (Umano Troppo Umano)

In questo fardello del peccato che pesa sugli uomini la figura del santo doveva così spronarli a seguire quel modello, il santo veniva considerato come sovrumano:

“l’elemento eccentrico e morboso della sua natura, quella commistione di povertà spirituale, cattivo sapere, salute rovinata, nervi sovraeccitati, rimase nascosto allo sguardo suo e di chi lo osservava. Non fu un uomo particolarmente buono, e tanto meno particolarmente saggio: ma significava qualcosa che, in saggezza e bontà, oltrepassava la misura umana. La fede in lui sosteneva la fede nel divino e nel miracoloso, nel senso religioso di tutta l’esistenza, nell’imminente giorno del giudizio. Nella luce crepuscolare di un sole da fine del mondo, quale risplendeva sui popoli cristiani, l’ombra del santo crebbe sino a diventare enorme: tanto alta, diremmo anzi, che persino nel nostro tempo, che non crede più in un Dio, esistono ancora pensatori che credono nel santo”. (Umano Troppo Umano)

Unica eccezione sembra che N. faccia per Gesù il quale col ritenersi immune di ogni peccato perché figlio di Dio, raggiunse quella consapevolezza di piena innocenza e irresponsabilità che oggi è acquisibile mediante il sapere.

La corporeità nella Gaia Scienza

L’analisi "psicologica" di N. in Umano troppo umano continua con più forza e rigore nella sua successiva La Gaia Scienza, opera che si configura come una battaglia per una ragione nuova immune dall’istinto all’autoglorificazione e contraria alla sottomissione a qualsiasi tipo di etica: una ragione libera da ogni dovere, sacro o profano che sia; sorretta e guidata dal piacere per la conoscenza sperimentale.

In questa opera si fa sempre più manifesto lo sguardo disincantato del filosofo che è ormai pienamente consapevole del legame tra corpo e filosofia, quest’ultima non più vista come uscita da uno stato di innocenza ma come forma di ricerca della quiete e della salvezza dalla sofferenza e dal dolore. Tutte le teorie e visioni del mondo non sono altro che seduzioni per spiriti sofferenti e per corpi sofferenti. Questo rapporto di filosofia-salute vuole sottolineare che anche la filosofia è lo sbocco necessario più di malessere che di salute, che la filosofia scaturisce da uno stato di necessità, quindi il corpo è il sostrato nascosto di ogni filosofia. E’ necessaria perciò un’ermeneutica radicale della filosofia che faccia leva sul corpo.

N. si rivolge a tutte quelle filosofie che non accettano la realtà tragica degli istinti e della corporeità e invece sembrano rifugiarsi in ripari tranquilli e ingannevoli, le teorie dei metafisici e dei filosofi consolatori sono solo il tentativo di guarigione dalla loro malattia.

Ma il filosofo tragico con cui N. si identifica vive fino in fondo la malattia, la sostanza tragica del conoscere essendone consapevole fino in fondo, N. avanza l’ipotesi sperimentale che la filosofia sia quindi “interpretazione del corpo” e travestimento di necessità fisiologiche:

“…abbastanza spesso mi sono chiesto se la filosofia, in un calcolo complessivo, non sia stata fino a oggi principalmente soltanto un’interpretazione del corpo e un fraintendimento del corpo. Dietro i supremi giudizi di valore, da cui fino a oggi è stata guidata la storia del pensiero, sono nascosti fraintendimenti della condizione corporea sia da parte di individui che di classi o di razze intere” (La Gaia Scienza)

Si auspica perciò un’ermeneutica delle filosofie, delle metafisiche, delle morali, dei sistemi di valori che parta dalla corporeità e le smascheri tutte riconducendole alla loro matrice originaria.

La nuova concezione del corpo non permette di prevedere innocenti le teorie per se stesse in quanto il pensiero sorge da nostre sofferenze e tensioni, da dolori e vicissitudini, per questo non vi può essere oggettività nel senso tradizionale della parola. N. è così il primo pensatore a giungere alla consapevolezza che la storia del corpo è la storia del mondo. Gettando quindi all’umanità il grande sospetto su tutta la cultura, sulla morale, sui sistemi di valore, su tutte le filosofie, N. distrugge l’idea di un rispecchiamento oggettivo. La scoperta del tessuto emotivo-corporeo dietro l’intelaiatura della logica e dei concetti getta una luce straniante che rende in bilico ogni teoria e visione umana. N. non risparmia niente e nessuno, nemmeno se stesso, la “gaia scienza” e la “psicologia” (intesa come analisi filosofica della natura umana) consentono di rimettere in discussione anche i vecchi concetti di verità che cade sotto gli ultimi colpi della spietata ma rigorosa critica: la verità non è la realtà oggettiva, ciò porta a un nuovo modo di intendere la conoscenza ora vista nel senso di espressione dell’interiorità tragica dell’uomo e manifestazione dell’essenza tragica e dionisiaca del mondo. L’intricata realtà del corpo che non è più visto nell’ottica di N. come dominio della ragione ma invece pervaso dalla lotta tra gli istinti mette in crisi per questo il ruolo della ragione che nella tradizione occidentale era valorizzata come centro fondativo dell’uomo. Invece con N. la ragione perde la sua centralità, la critica all’”io” vuole evidenziare la lotta interna dell’organismo il quale è un complesso di stimoli e istinti. Contro la falsificazione della morale intellettualistica del pensiero occidentale, l’uomo deve ritornare ad avere quelle qualità dell’organismo che vanno considerate essenziali per liberarsi dai condizionamenti dei grandi organismi fagocitanti (società, stato, ecc…) e per uscire dalla situazione del gregge. Diventare uomo libero presuppone riappropriarsi delle dinamiche del corpo al fine di consentire la rinascita dell’individualità e la nobilitazione dell’uomo. Precorrendo in modo straordinario Freud la visione di N. scalza il ruolo della coscienza: la volontà di potenza, la lotta degli istinti e dei sentimenti ha nell’organismo la sua prima manifestazione, la coscienza è solo la sublimazione di un istinto sugli altri istinti. La visione dell’uomo diventa così con N. profondamente dinamica. Interessante è anche il parallelo che nella Gaia Scienza viene fatto tra l’organismo corporeo e gli organismi superiori (popoli, stati, società). La coscienza è proprio il legame tra corpi e stati e permette l’incorporazione di organismi singoli in organismi superindividuali ma proprio per questo inibisce la realizzazione dello “spirito libero”. L’emergere della coscienza è l’emergere del processo fisiologico dell’inconscio la cui dinamica è a noi ancora sconosciuta. In questo contesto qual è invece il ruolo delle passioni? L’uomo è intessuto di istinti e passioni (le quali non sono estirpabili in quanto connaturate all’uomo), e il corpo essendo un groviglio di istinti, ogni negazione degli istinti è quindi la negazione del corpo e negazione dell’uomo stesso.

Eppure dopo tutta questa disamina N. sembra più che conscio che questo è solo lo stadio iniziale di uno smascheramento che la filosofia deve far proprio, tenendo conto che la conoscenza fisiologica è ancora limitata e incompiuta (soprattutto all’epoca di N.). Ma tale conoscenza è stata sempre ostacolata dalla ripugnanza dell’uomo per l’interno del corpo, forse proprio questo ripudio ha portato all’illusoria distinzione di anima e corpo.

Allargando la prospettiva, per N. come la razionalità dipende dalla corporeità e dagli istinti e come l’intelletto è organo del corpo, così anche la morale e l’insieme dei valori sono espressioni del corpo. Anche se noi cerchiamo quindi di mascherare la realtà fisiologica che sta alla base dei giudizi morali, la realtà corporea è comunque a fondamento di essi.







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