PIERRE ZWEIACKER: MORTI DI SCIENZA
Data: Domenica, 26 luglio 2009 ore 00:05:00 CEST
Argomento: Rassegna stampa


Pierre Zweiacker

Morti di scienza. Crimini, scienziati e scoperte

Roma, 2009, DeriveApprodi

 

Morti di scienza è una storia della scienza dall’Antichità ai giorni nostri raccontata in modo molto insolito. Una raccolta di gialli con protagonisti di alto livello, certamente dal punto di vista della materia grigia: scienziati e inventori geniali, uomini e donne che, spesso vittime di astuti “impresari della ricerca” o di sfortunati incidenti di percorso, sono stati coinvolti in crimini, omicidi, suicidi che hanno segnato le loro vite sulla strada del progresso scientifico.

 

Il romanzo della scienza prende corpo così, nelle pagine di Zweiacker, come la storia di una lunga battaglia, con le sue vittime più o meno illustri: “Il fatto è che durante il percorso la battaglia ha lasciato qualche cadavere ai bordi del progresso”, scrive l’autore, fisico e professore all’Università di Losanna. “Alcuni esperimenti sono andati per il verso sbagliato e gli autori non sono sopravvissuti. Si sono accese polemiche così violente che hanno spinto questo o quel protagonista a un’incontenibile violenza. La «verità» è stata manipolata con scarso rispetto per la gratitudine che gli autori del dibattito avrebbero potuto aspettarsi ed è così che la disperazione prende il sopravvento, spingendo l’interessato a preferire la morte all’indifferenza”.

Un quadro fosco, si direbbe. E invece Zweiacker - anche grazie a una buona dose di ironia – rende la narrazione intrigante e avvincente. Il paesaggio descritto ne risulta quanto meno “asettico” si possa immaginare e al contrario, umano, troppo umano, come è, a conti fatti, anche la scienza. Per citare alcuni dei personaggi che il libro ritrae, veniamo toccati dalla storia di Ipazia, filosofa e matematica di Alessandria assassinata nel 415 d.C. da fanatici cristiani per aver osato ricercare la verità nelle scienze anziché nelle Sacre scritture. Ipazia era figlia di Teone, autore dei Commentari agli Elementi di Euclide, il libro di matematica più conosciuto in Occidente almeno fino al ‘700, quando cominciarono a circolare ipotesi su una geometria diversa da quella di Euclide. L’opera fu scritta a quattro mani e due di queste erano della fanciulla. L’orribile assassinio, di cui fu protagonista una folla inferocita aizzata contro gli “infedeli”, contribuì a determinare il declino del prestigio intellettuale della metropoli egiziana.

Più avanti nel libro scopriamo poi come uno dei più grandi filosofi e matematici di tutti i tempi, vissuto a cavallo tra Seicento e Settecento, Leibniz, sia morto forse nel peggiore dei modi possibili a causa di un “ciarlatano”, un presunto “guaritore” che gli rifilò una pozione per la gotta, malattia di cui Leibniz soffriva in modo cronico negli ultimi anni di vita: un’ora dopo averla presa Leibniz era morto. Del resto, “il grande filosofo si occupava quasi esclusivamente dei suoi amati studi e molto poco della sua salute”, scrive Zweiacker citando la sua fonte, un divulgatore di teorie scientifiche dell’epoca, condite con dettagli sullo stile di vita dei personaggi. Aveva quindi ragione Voltaire, diremmo noi, nel criticare l’ottimismo leibniziano? Il nostro mondo è davvero il migliore dei mondi possibili se si può morire per una pozione magica? Umano, troppo umano. Ci sono però “ciarlatani” e “ciarlatani”.

È probabile per esempio che Pierre de la Poterie, chimico nato nel 1581 e morto tragicamente nel 1643, non fosse affatto un impostore, date le gelosie che si attirò per i successi nella cura di malattie come la peste o la sifilide. Contrariamente ai medici del suo tempo, di cui Molière descriverà con umorismo l’arte limitata in gran parte all’uso esclusivo del salasso e del clistere, Pierre de la Poterie utilizza farmaci a base di prodotti chimici, di cui, da bravo scienziato, descrive con precisione i dettagli delle preparazioni. Fu i primi inoltre a credere nell’influenza dello stato psicologico del paziente sul suo stato fisico, tanto che la Poterie si considera il precursore della medicina psicosomatica. Troppi meriti, anche lui, per vivere a lungo: fu assassinato la notte tra il 17 e il 18 gennaio del 1643. I sospetti cadono tutti su un decano della Facoltà di medicina di Parigi, Guy Patin, che accusò la Poterie di essere un “grande ciarlatano e un grande imbroglione che s’intrometteva nel nostro mestiere”. “Allora diteci, signor Patin”, conclude Zweiacker, “che avete fatto la notte tra il 17 e il 18 gennaio 1643”? Una domanda che non risulterà peregrina in molti altri dei “morti di scienza” descritti.

 

 

 

 

 

 

 

 

 







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