Demetrio Stratos
Data: Venerd́, 24 luglio 2009 ore 00:05:00 CEST
Argomento: Rassegna stampa


Figura carismatica e centrale negli Area, Demetrio Stratos ha avuto un’importanza fondamentale anche nella personale ricerca musicale individuale, fino a diventare il più grande artista musicale italiano di tutti i tempi, lui che italiano non era. Efstratios Demetriou è difatti nato nel 1945 ad Alessandria d’Egitto da genitori greci. E’ lì che Demetrio trascorse i primi tredici e fondamentali anni della sua vita, frequentando il Conservatoire National d’Athènes, dove studiò fisarmonica e pianoforte. Come sosterrà lui stesso in seguito, il fatto di essere nato ad Alessandria lo farà sentire una specie di ‘portiere’ privilegiato, destinato a vivere l’esperienza del passaggio dei popoli e ad assistere al vero ‘traffico’ della cultura mediterranea, con le sue diverse etnie e le intense pratiche musicali. Appartenendo ad una famiglia greco ortodossa, Stratos ebbe modo di ascoltare durante l’infanzia i canti religiosi bizantini, così come la musica araba tradizionale e solo successivamente (e quindi in controtendenza con il percorso musicale di un individuo della sua generazione) entrò a contatto con i primi accordi del rock’n’roll, sonorità che lo influenzarono per tutta la vita. Dopo un breve soggiorno a Cipro, durante il quale terminò gli studi medio superiori, si trasferì nel 1962 in Italia per iscriversi alla facoltà di architettura del Politecnico di Milano. Già nell’anno successivo formò un gruppo musicale studentesco che, muovendo dalle feste della casa dello studente, iniziò presto ad esibirsi in locali da ballo. Prima ancora che come cantante, Demetrio si fece notare nell’éntourage milanese per il suo modo di suonare l’organo hammond: in pochi avevano un approccio allo strumento come il suo, specialmente nell’era dei primi vagiti del movimento beat, in cui l’approssimazione e il dilettantismo la facevano da padroni. Fu per caso che, dovendo sostituire il cantante del gruppo bloccato da un banale incidente d’auto, da organista Stratos iniziò a cantare, continuando comunque la sua opera di turnista in diversi studi di registrazione e per diversi artisti. Nel 1967 si unì al gruppo beat I Ribelli affiliati al Clan di Celentano in qualità di organista e cantante. Con I Ribelli, Stratos divenne famoso al grande pubblico in particolare per la sua inedita, per l’epoca, interpretazione vocale di “Pugni Chiusi”, una canzone simbolo della seconda metà degli anni sessanta scritta per lui da Ricky Gianco. Proprio grazie a “Pugni Chiusi”, venne notato dal jazzista Giorgio Gaslini che avrebbe voluto quella voce, ancora senza volto, come protagonista della sua opera teatral-musicale che affrontava l'epopea della cultura beat in Italia; motivi organizzativi impedirono la partecipazione di Dementrio al melodramma. Nel 1970 lasciò I Ribelli, si sposò ed ebbe una figlia, Anastassia, grazie alla quale cominciò a dedicarsi alla ricerca musicale e vocale in particolare. Lo spunto gli venne dall’osservazione della ‘fase di lallazione’, ovvero si accorse che la bambina inizialmente giocava e sperimentava con la propria voce, ma poi la ricchezza delle sonorità vocali andavano perdute con l’acquisizione del linguaggio: “il bambino perde il suono per organizzare la parola”. Questa osservazione di Stratos sarà il filo rosso che attraverserà per intero il suo percorso artistico.

Nel 1972, dopo una fugacissima collaborazione con la Numero Uno di Mogol per la quale incise il singolo “Daddy’s Dream”, unico episodio di produzione musicale di tipo commerciale, si lanciò nell’avventura degli Area. Nell’ambito della ricerca di quegli anni del rock progressivo e sperimentale della band milanese, si liberò dai codici e dagli stereotipi improvvisando e di fatto contrapponendosi alla vocalità vuota e ripetitiva della pop star. Con gli Area iniziò il periodo di maggiore creatività per il rock italiano, un rock che seppur non possa essere definito tale in virtù di termini sonori, fu senza dubbio il miglior rock mai prodotto nel nostro paese: creativo e libero, impegnato e passionale, scientifico ed affascinante. Una musica che già al suo nascere si pose al di fuori dei generi codificati, un rock estremista, violento, politicizzato, che riusciva ad essere sia canzone che avanguardia.

Nel 1974 Stratos si avvicinò al pensiero ed all’opera del compositore statunitense John Cage, interpretando i suoi “Sixty-Two Mesostics Re Merce Cunningham” per voce non accompagnata da microfono, parzialmente inclusi nel disco dedicato alla musica di Cage dalla Cramps Records che inaugurava la collana ‘Nova Musicha’. Fu il primo contatto tra il musicista pop e la musica colta. Il contatto con Cage lo spinse ad approfondire gli studi sulla vocalità, contaminandoli di quella critica marxista che l’esperienza con gli Area ed il contatto con la tumultuosa realtà italiana del periodo avevano evidentemente sollecitato.

Tra il 1976 ed il 1979 si intensificarono i suoi studi sulla voce: pubblicò “Metrodora”, il suo primo disco solista di sperimentazioni vocali; tenne corsi e seminari di semiologia della musica contemporanea in scuole ed università e venne invitato presso il Centro di Musica Sperimentale dell’Università di San Diego, in California, programmato per il 1979 ed al quale non potrà partecipare a causa della prematura morte. Oltre che musicista, Demetrio fu anche un colto e raffinato intellettuale: grazie ai suoi studi di etnomusicologia, soprattutto sul ruolo della voce presso alcune culture extraeuropee, egli capì che dalla nostra voce si potevano ottenere più suoni contemporaneamente. Applicando particolari metodologie intuì e dimostrò personalmente che si potevano ottenere anche delle ‘triplofonie’ e con un certo studio addirittura ‘quadrifonie’, realizzate fino a quel momento solo dai monaci tibetani e da alcuni cavalieri nomadi della Mongolia. Tutte le sue teorizzazioni e la rilevanza dei contributi dati dal cantante nell’ambito del rock, della fonologia, della linguistica, della psicanalisi, dell’antropologia e della musica sperimentale ebbero come laboratorio il suo stesso corpo.

Introdusse il concetto di voce-musica: una voce considerata nella sua individualità e non vincolata unicamente ed esclusivamente alla parola e al suo discorso di significato verbale. Si ribellava alla ‘voce bell’e pronta’ dei giorni nostri, combattendola con una strategia ed una pratica liberatorie. Come egli stesso sosteneva nel suo saggio ‘Diplofonie ed altro’: “La voce è oggi nella musica un canale di trasmissione che non trasmette più nulla”. Affermava con decisione che si stesse vivendo un periodo di appiattimento, di distanziamento e indifferenza rispetto al senso della voce umana: la voce come veicolo della parola rubava spazio alla voce-musica, privandola delle sue sfumature istintive, grezze, rumorose, man mano che ci si avvicinava all’età adulta e ad una vocalità dominata dai meccanismi culturali di controllo e dagli imperativi della società di mercato. La voce era, d’altronde, da secoli subordinata agli imperativi della ‘buona tecnica’: considerata come uno strumento, una macchina perfettamente addomesticabile al servizio di un’estetica armoniosa e in nessun momento anarchica. Il rumore e la stonatura dovevano essere banditi da un mondo che aveva stabilito una particolare ‘morale’ della voce. Demetrio Stratos arrivò a scardinare questi ben oliati meccanismi con la sua voce pronta ad essere emessa nella sua materialità, nella sua esecrabile sgradevolezza e rivoluzionaria indecorosità, portando avanti una sua personale critica, in un contesto rivoluzionario come quello di allora in cui la vocalità assumeva un profondo ruolo contestatore. La voce soffocata nella musica rappresentava per lui il proletariato sfruttato che cercava la sua forza liberatrice; con la voce egli sapeva fare cose inimmaginabili al punto che giustamente è stato definito artista/strumento umano irripetibile. Liberare la naturalità nascosta della gola e delle corde vocali, per lui significava elaborare ed esprimere pensieri contro il potere, deridendo e intrattenendo, insegnando ed imparando sempre dalle emozioni del pubblico. Si dice che il termine esatto delle situazioni di avanguardia presentate da Demetrio Stratos fosse ‘performance’, perché con questo termine si intendeva dare una corporeità plurale alle arti che innescava nei suoi spettacoli: fusione di mimo e voce, canto e recitazione, recitazione di un corpo in grado di dare dimensioni difficilmente collocabili nelle normali geografie artistiche.

Desideroso di scoprire anche la condizioni meccaniche per mezzo delle quali si realizza un suono, Demetrio Stratos entrò in contatto nel 1977 con Franco Ferrero, noto studioso di foniatria e ricercatore presso il C.N.R. dell’Università di Padova. Egli aveva l’assoluta esigenza personale di scoprire come venivano realizzati determinati vocalizzi, poco usuali nella nostra cultura occidentale. Gli esperimenti tenuti da lui e da Ferrero misero in luce le straordinarie capacità vocali di Stratos. Egli emetteva suoni che, realizzati attraverso vibrazione delle corde vocali, in diverse posizioni articolatorie riuscivano a creare risonanze che sembravano bitonali. Con le corde vocali poteva ottenere vibrazioni acustiche simili a quelle dello scacciapensieri, ma senza alcuno strumento e senza alcuna variazione di frequenza. Riusciva inoltre, con la bocca aperta e con grande sforzo, ad emettere fischi senza far vibrare le corde vocali: la frequenza rilevata era molto elevata, Demetrio raggiunse i 6000 Hz, quando in media le corde vocali non riescono a superare la frequenza di 1000-1200 Hz. Come afferma lo stesso Ferrero in una recente intervista, Stratos riuscì a raggiungere un tale grado di sviluppo vocale perché aveva una gran voglia di capirsi e controllare determinate strutture che noi utilizziamo automaticamente. Nonostante l’abbandono degli Area, la pubblicazione nel 1978 di un nuovo disco solista sperimentale, “Cantare la voce”, e l’interpetazione nell’anno successivo di “Le Milleluna”, con testo di Nanni Balestrini, Demetrio non dimenticò il rock’n’roll. Proprio nel 1979 progettò con grande divertimento assieme Paolo Tofani, il polistrumentista Mauro Pagani ed altri lo spettacolo, poi trasposto su disco, “Rock’n’roll Exhibition”, per riportare alla luce i grandi musicisti americani dal 1955 al 1961. Questo a dimostrare il dualismo musicale di Demetrio: un cuore semplice per accordi di tutti i giorni e un’attenzione nascosta per la novità e la ricerca. Era un conflitto in cui le due culture a cui apparteneva tentavano di convivere con la sua vita: due mondi, quello occidentale e quello orientale, sollecitavano continuamente cittadinanza nei suoi comportamenti artistici.

Il tour del Rock’n’roll Exhibition dovette però interrompersi presto. Lunedì 2 aprile 1979 Demetrio Stratos venne ricoverato nel reparto ematologico dell’Istituto Granelli del Policlinico di Milano per un’aplasia midollare di cui non si conoscevano le cause. Mercoledì 25 aprile la situazione fisica sembrò precipitare al punto da rendere necessario il trasferimento al Memorial Hospital di New York, unico posto attrezzato per affrontare le cure della malattia. Venne organizzato a Milano un grande concerto al fine di raccogliere fondi per la costosa degenza newyorkese, il giorno prima del concerto, il 13 giugno 1979, Demetrio morì stroncato da un collasso cardiocircolatorio.

Il suo decesso ebbe un’eco fortissima tanto che dovettero occuparsi di lui anche i media istituzionali, ideologicamente e culturalmente lontani dal ‘circuito alternativo’ : da Arbore in ‘L’altra domenica’ a Mario Luzzatto Fegiz sul Corriere della Sera. Venne a mancare da un momento all’altro la ‘bandiera’ del rock e della sperimentazione italiani, gettando nello sgomento tutta quella schiera di musicisti, tra cui l’addolorato Eugenio Finardi, che vedevano in Stratos un modello e una sorta di faro artistico.

Rimaneva la grandezza del lavoro di Demetrio, la sua incredibile volontà di ricerca, di sperimentazione, la sua ricerca spasmodica di nuovi ed inediti codici espresivi.

Gli anni ottanta erano però alle porte, pronti ad invadere con lustrini, laser e videoclip un mercato sempre più globale ed indifferenziato ed a spazzare via il periodo più frenetico ed esaltante della storia della musica italiana, di cui Demetrio fu protagonista, rappresentate e simbolo indiscusso.






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