Linux e Google Chrome OS, due realtà diverse
Data: Sabato, 11 luglio 2009 ore 14:00:00 CEST
Argomento: Rassegna stampa


Fa piacere notare che anche illustri testate giornalistiche seguono eventi di rilievo come il lancio del sistema operativo made in Mountain View. Sarà (forse) grazie alla giovane età di chi ha redatto, sarà che il mercato comunque riceve forti scossoni in presenza di eventi del genere, fatto sta che secondo Luca Figini de Il Sole 24 Ore, Google OS rappresenta una «grande occasione che Linux non deve perdere».

Luca non resiste alla tentazione di citare i netbook, uno dei mercati emergenti degli ultimi tempi: talmente goloso da convincere costruttori come Asus a far marcia indietro e tornare a casa, anzi, a Redmond, lasciandosi il Pinguino alle spalle. In altre parole, dove il vento tira più forte. Ed è comprensibile: nell’ottica business is business, come costruttore, in tempi di crisi economica andrò dove i margini sono maggiori.

La vedrei un tantino diversamente sulle ragioni della singolar tenzone, per usare le stesse parole di Luca, tra Windows e Linux. Riprendendo quel che ho raccontato giusto ieri, a proposito del figlio adolescente di Cristopher Dawson, un blogger di ZDNet, dal punto di vista ad esempio di un ragazzo non c’è più molto da temere, non è più il Linux di vent’anni fa. Ubuntu, la distribuzione Linux di cui Dawson si è servito, è ad un livello tale da aver messo il ragazzo in condizione di affermare – pur con la consapevolezza dei limiti di una simile affermazione – che «tra Windows 7 e Ubuntu non c’è differenza».


La richiesta di installazione di un driver proprietario in Ubuntu 8.04 (click per ingrandire)

La richiesta di installazione di un driver proprietario in Ubuntu 8.04 (click per ingrandire)

Nello specifico vorrei evidenziare che, a differenza di quanto afferma Luca nel suo articolo, oggi Ubuntu (e non è la sola) è una distribuzione Linux da considerarsi matura, pronta per essere installata praticamente da chiunque. Non è affatto obbligatorio né quasi mai necessario aprire la shell e saper digitare comandi per installare driver. Nella Ubuntu in particolare, poi – ci sto scrivendo in questo momento e l’ho anche raccontato ieri nello stesso articolo – la gestione dei driver è integrata perfettamente nell’interfaccia grafica. Addirittura, ove sia il caso (come accade per alcune schede grafiche) di impiegare driver proprietari (ovvero basati su codice non di pubblico dominio), l’interfaccia lo propone “spontaneamente”, suggerendone l’installazione per migliorare le prestazioni della relativa periferica, pur sottolineando che “si sta installando codice non Open Source” (vedi figura).

Dunque il problema non sta tanto nell’usabilità, né nella (pardon per la parolaccia) gestibilità, in Linux ormai evolute al punto da aver poco da temere al confronto con Windows. Si trova invece, nel comprendere la differenza tra un sistema operativo Web-based ed un sistema operativo stand-alone. Per coglierla appieno occorre richiamare, tra gli altri, il concetto dell’impiego della potenza di calcolo: solo un sistema operativo stand-alone, cioè in grado di funzionare autonomamente su di un computer anche in assenza di rete, è in grado di offrire al suo utilizzatore tutta la potenza di calcolo della macchina su cui risiede, mettendolo in condizione di svolgere elaborazioni, calcoli e trattamenti di dati estremamente complessi. Se i sistemi operativi Web-based fossero la panacea, Google stesso li impiegherebbe per i suoi server, cosa che invece non può fare.

Purtroppo i limiti alla diffusione di Linux risiedono altrove. Più precisamente, nella ben precisa volontà industriale di molti produttori di hardware di non rilasciare al pubblico alcuna specifica per la scrittura di driver idonei a far funzionare le proprie periferiche, stringendo accordi vincolanti solo con “produttori in carne ed ossa”. Poiché Linux non è prodotto da alcuna “azienda in carne ed ossa”, si ritrova automaticamente tagliato fuori, mentre Microsoft e Apple, essendo dotate di una struttura reale e tangibile, possono interagire.

Vorrei da ultimo far notare che spessissimo il circoscrivere i driver all’alveo di produttori di sistemi operativi “dotati” di azienda in carne ed ossa comprende entrambi i big, sia Microsoft che Apple. Ma vorrei anche far notare che Mac OSX, il sistema operativo dei computer Apple, è nient’altro che una variante customizzata e reingegnerizzata di Linux. Dunque, quando un’azienda produttrice di hardware rilascia driver per Windows e Apple ma non per Linux, non lo fa perché il proprio dispositivo non funzionerebbe con Linux, ma perché non vuole che ci funzioni.

Lo dimostrano iniziative come SANE, il backend di Linux sorto per far funzionare gli scanner (SANE = Scanner Access Now Easy, l’accesso allo scanner ora è facile), dove orde di sviluppatori si indignano e, a testa bassa, debug e trace alla mano, cercano di comprendere autonomamente come pilotare gli scanner su cui i produttori tengono la bocca rigorosamente cucita (per esempio, Hewlett Packard). Prima o poi ci si riesce, ma questo al produttore di hardware non interessa, perché sa perfettamente che occorre del tempo, durante il quale la propria periferica sarà già divenuta obsoleta e fuori mercato, sostituita da un nuovo modello, su cui gli sviluppatori dovranno ricominciare daccapo. In pratica, la lotta del gatto col topo, come la cifratura: non esiste cifratura non forzabile, è solo questione di tempi, basta che per forzarla occorra più tempo di quanto sia richiesto che le informazioni cifrate restino non decifrate.

Il sistema Web-based di Google, dunque, è tutt’altra cosa. Se vive/vivrà, è grazie ad altri sistemi operativi non-Web-based che ha alle spalle. Il che mi suggerisce di ribadire ancora una volta che, oggi più che mai e molto più di prima, Linux è usabile, è gestibile. Il vero problema sta nel rimuovere un’antico, quasi atavico e radicato concetto, tanto forte quanto errato, presente nelle menti dei “detrattori”: quello che Linux sia “il sistema operativo dei pirati, degli anarchici e dei rivoluzionari”.

È troppo riflettere su questo?

Marco Valerio Principato







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