''PERCHE' L'AMAVO? PERCHE' ERA LUI; PERCHE' ERO IO'' di MICHEL DE MONTAIGNE
Data: Sabato, 11 luglio 2009 ore 00:05:00 CEST
Argomento: Rassegna stampa


“Perchè l’amavo? Perchè’ era lui; perchè’ ero io”: l’amicizia tra Michel de Montaigne ed Etienne de La Boètie…

“...un’amicizia così completa e perfetta che certo non si legge ne sia esistita un’altra simile e, fra i nostri contemporanei, non se ne trova traccia alcuna. Per costruirne di simili è necessario il concorso di tante cose che è già molto se la fortuna ci arriva una volta in tre secoli…

…quelli che chiamiamo abitualmente amici o amicizie sono soltanto dimestichezze e familiarità annodate per qualche circostanza o vantaggio, per mezzo di cui le nostre anime si tengono unite.

Nell’amicizia di cui parlo, esse si mescolano e si confondono l’una nell’altra con un connubio così totale da cancellare e non ritrovar più la commessura che le ha unite. Se mi si chiede di dire perché l’amavo, sento che questo non si può esprimere che rispondendo: “Perché era lui; perché ero io”.

C’è, al di là di tutto il mio discorso, e di tutto ciò che posso dirne in particolare, non so quale forza inesplicabile e fatale, mediatrice di questa unione.

Ci cercavamo prima di esserci visti e per quel che sentivamo dire l’uno dell’altro, il che produceva sulla nostra sensibilità un effetto maggiore di quel che produca secondo ragione quello che si sente dire, credo per qualche volontà celeste: ci abbracciavamo attraverso i nostri nomi. E al nostro primo incontro, che avvenne per caso, in occasione di una grande festa e riunione cittadina, ci trovammo tanto uniti, conosciuti e legati l’uno all’altro che da allora niente fu a noi tanto vicino quanto l’una all’altro…

Le nostre anime hanno camminato così unite, si sono considerate con affetto tanto ardente, e con pari affetto si sono scoperte l’una all’altra fin nel più profondo delle viscere, che non solo io conoscevo la sua come la mia, ma certo mi sarei più volentieri affidato a lui che a me stesso…

La perfetta amicizia di cui parlo io è indivisibile: ciascuno si dà al proprio amico tanto interamente che non gli resta nulla da spartire con altri; al contrario, si duole di non essere doppio, triplo o quadruplo, e di non aver più anime e più volontà per consacrarle tutte a quell’unico oggetto.

Le amicizie ordinarie si possono distribuire: si può amare in questo la bellezza, in quello la dolcezza dei costumi, nell’altro la liberalità, nell’altro il sentimento di paternità, in un altro ancora il sentimento di fraternità e così via: ma quell’amicizia che possiede l’anima e la domina con sovranità assoluta è impossibile che sia duplice. Se due vi domandassero contemporaneamente di essere aiutati, da quale correreste? Se vi domandassero due servizi contrari, che ordine seguireste? Se uno affidasse al vostro silenzio una cosa che all’altro fosse utile sapere, come ve la cavereste? L’unica e suprema amicizia esclude tutti gli altri obblighi. Il segreto che ho giurato di non svelare a nessun altro posso, senza spergiuro, comunicarlo a chi non è un altro: è me. E’ un grandissimo miracolo il raddoppiarsi: e non ne conoscono la grandezza quelli che parlano di triplicarsi. Nullo è estremo se esiste un suo simile. E chi supporrà che, fra due, io ami l’uno come l’altro, e che essi si amino fra loro e mi amino quanto io li amo, moltiplica in confraternita la cosa più unica e unita che esista, e di cui è già rarissimo trovare al mondo un solo esempio…

Se confronto tutto il resto della mia vita, che pure per grazia di Dio, mi è trascorsa dolce, facile e, salvo la perdita di un tale amico, esente da gravi dolori, piena di tranquillità di spirito, essendomi accontentato dei miei agi naturali e originari senza cercarne altri; se la confronto, dico, tutta quanta ai quattro anni in cui mi è stato dato di godere della dolce compagnia e familiarità di quell’uomo, essa non è che fumo, non è che una notte oscura e noiosa. Da quando lo persi, non faccio che trascinarmi languente; e perfino i piaceri che mi si offrono, invece di consolarmi, mi raddoppiano il dolore della sua perdita. Di ogni cosa facevamo a metà; mi sembra di sottrargli la sua parte…

Ero già così assuefatto e abituato ad essere in due dappertutto, che mi sembra di non essere più che a metà…

Non c’è azione o pensiero in cui non senta la sua mancanza come egli avrebbe sentito la mia. Infatti, come mi superava di gran lunga in ogni altra dottrina e virtù, così faceva nel dovere dell’amicizia…”

Tratto dall’opera “Saggi”







Questo Articolo proviene da AetnaNet
http://www.aetnanet.org

L'URL per questa storia è:
http://www.aetnanet.org/scuola-news-16407.html