''IL RAGAZZO CHE ERA IN ME'' di CESARE PAVESE
Data: Domenica, 28 giugno 2009 ore 00:05:00 CEST
Argomento: Rassegna stampa


Va' a sapere perché fossi là quella sera nei prati.

 Forse mi ero lasciato cadere stremato di sole,

 e fingevo l'indiano ferito. Il ragazzo a queí tempi

 scollinava da solo cercando bisonti

 e tirava le frecce dipinte e vibrava la lancia.

 Quella sera ero tutto tatuato a colori di guerra.

 Ora, l'aria era fresca e la medica pure

 vellutata profonda, spruzzata dei fiori

 rossogrigi e le nuvole e il cielo

 s'accendevano in mezzo agli steli. Il ragazzo riverso

 che alla villa sentiva lodarlo, fissava quel cielo.

 Ma il tramonto stordiva. Era meglio socchiudere gli occhi

 e godere l'abbraccio dell'erba. Avvolgeva come acqua.

 Ad un tratto mi giunse una voce arrochita dal sole:

 il padrone del prato, un nemico di casa,

 che fermato a vedere la pozza dov'ero sommerso

 mi conobbe per quel della villa e mi disse irritato

 di guastar roba mia, che potevo, e lavarmi la faccia.

 Saltai mezzo dall'erba. E rimasi, poggiato le mani,

 a fissare tremando quel volto offuscato.

 Oh la bella occasione di dare una freccia nel petto di un uomo!

 Se il ragazzo non ebbe il coraggio, m'illudo a pensare

 che sia stato per l'aria di duro comando che aveva quell'uomo.

 lo che anche oggi mi illudo di agire impassibile e saldo

 me ne andai quella sera in silenzio e stringevo le frecce

 borbottando, gridando parole d'eroe moribondo.

 Forse fu avvilimento dinanzi allo sguardo pesante

 di chi avrebbe potuto picchiarmi. O piuttosto vergogna

 come quando si passa ridendo dinanzi a un facchino.

 Ma ho il terrore che fosse paura. Fuggire, fuggii.

 E, la notte, le lacrime e i morsi al guanciale

 mi lasciarono in bocca sapore di sangue.

 L'uomo è morto. La medica è stata diverta, erpicata

 ma mi vedo chiarissimo il prato dinanzi

 e, curioso, cammino e mi parlo, impassibile

 come l'uomo alto e cotto dal sole parlò quella sera.

Cesare Pavese





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