"I fiori blu" di Raymond Queneau nella traduzione di Italo Calvino
Data: Mercoledì, 24 giugno 2009 ore 12:49:10 CEST
Argomento: Rassegna stampa


 Un intervallo di 175 anni separa le sue apparizioni nella storia. Nel 1264 incontra San Luigi, nel 1439 compra cannoni, nel 1614 scopre un alchimista, nel 1789 si dedica a una strana attività pittorica nelle caverne del Périgord e, finalmente, nel 1964 avviene l’incontro con quel Cidrolin che egli aveva più volte visto in sogno. L’estro della scrittura, una fantasia scintillante e la capacità di tener sotto controllo il più piccolo degli elementi narrativi fanno di questo romanzo una sintesi perfetta dell’ideale letterario, di forma e sostanza. ‘Chi sogna chi’, l’eroe che risale il corso del tempo e l’antieroe immobile nello spazio che si danno appuntamento nel presente senza sogni, la fine della Storia, l’esaltazione dell’attività onirica e la necrosi del ‘cogito ergo sum’, non ultima (per noi italiani) la domanda più che lecita sul dove finisca Calvino e inizi Queneau: tutto va bene, il romanzo ha le spalle larghe. “I fiori blu”, di cui son state date interpretazioni molteplici (psicanalitiche, antropologiche, storiografiche), è forse soprattutto questo: una macchina scagliata a velocità impressionante lungo i sentieri della letteratura di fine novecento, capace di descrivere con apparente noncuranza parabole sorprendenti e curve impossibili.
I fiori blu è un romanzo sul tempo, e sulla storia. Così esilarante e strampalato, che si è trascinati da Queneau senza diffidenza dietro i suoi giochi di parole geniali e balordi e nel suo medioevo di cartapesta. I protagonisti della storia sono due, separati da alcuni secoli. Cidrolin, nullafacente, vive nel 1964 in scientifica indolenza su un barcone sempre ammarato a riva. Si dedica volentieri alla siesta, e sorge allora frenetico, dal fondo del Medioevo, il duca d'Auge. Quando anche il duca si addormenta, ricompare Cidrolin. Chi sta sognando chi? Dice l'apologo cinese: Chuang-tzé sogna di essere una farfalla; ma chi dice che non sia la farfalla a sognare di essere Chuang-tzé?
Da questo romanzo divertentissimo e ricco di critiche alla storia dell’uomo e alle sue etnicità sono state tratte varie interpretazioni (psicanalitiche, antropologiche, sociologiche e storiografiche). Si pensi solo alle figure femminili che attraversano il romanzo, dai calci nel sedere che si prendono le figlie del duca all’emancipazione di quelle di Cidrolin, ai comportamenti dei generi dei due protagonisti. Ogni episodio, anche apparentemente marginale, ha il pregio, oltre di suscitare ilarità, di contenere una critica delle ragioni umane, come nel caso di personaggi secondari, per esempio il giustiziere che pensa sempre e non sogna mai, il quale muore per il crollo di un edificio in costruzione (come il pensiero raziocinante). Se si tiene conto dell’assunto della filosofia di Cartesio, fondatore del razionalismo seicentesco (Je pense, donc je suis: Penso, dunque sono), appare evidente il giudizio negativo indirizzato da Queneau a chi, ritenendo di esistere nella misura in cui pensa, si trova a lasciare campo alla vita di chi sogna, in un romanzo dedicato al sogno e all’immaginazione come costituto fondamentale d’ogni realtà duratura e d’ogni conquista e innovazione tecnica, artistica, tecnologica e giuridica futura.
Ne I fiori blu ci sono alcune pagine di dialoghi che rimandano in un modo molto gustoso e, appunto, identitario, ad una memoria collettiva, trasmessa essenzialmente dal cinema, che non può che riguardare il carattere francese, o, più esattamente, forse addirittura il carattere parigino.
Prendiamo questo dialoghetto fra Cidrolin e Lamelia (p. 41 dell'edizione Einaudi tradotta da Calvino):
E' Cidrolin che comincia.
- E' venuto l'ispettore delle imposte immobiliari galleggianti.
- Ho preso l'autobus, - gli si rispose.
- Ha ispezionato tutto.
- Il bigliettaio, un tipo.
- Mi son meritato le congratulazioni.
- Per ogni passeggero aveva una battuta.
- Ha trovato che l'Arca merita 2 ancora nella categoria A.
- Pure a me, m'ha parlato.
- Tre àncore non ancòra [...]
- Ma lo sa che lei è molleggiata più di una tessera a validità settimanale, mi fa, e più ben messa di un libretto da dodici corse?
- Pagherò un po' più di imposte [...]
- Oh, adesso, lei, faccia un po' il piacere...

O anche l'incontro fra Cidrolin e Lamelia (p. 135):
- A proposito, c'è la tv?
- Non c'è.
- E allora, io, il teleromanzo?
- Cosa vuole che le dica.
- Questo rimette tutto in questione.
- Capi
sco. Albert non l'aveva avvertita?
- Non mi venga a dire che lei non ha i mezzi per pagarsi la tv.
- Non è obbligata e restare. Le porto su la valigia?
- Lasci stare. Peggio per il teleromanzo. In fondo era una menata. Ma sa cos'è. L'abitudine...

Le battute dei due personaggi femminili suggeriscono una domanda:
Si tratta solo di una caratterizzazione, della descrizione di un tipo... O c'è dell'altro? (la definizione di un carattere epocale).
“Sta attento con le storie inventate.Rivelano cosa c'è sotto.Tal quale come i sogni”
Questa battuta di Cidrolin contiene una grande verità tantoper la psicanalisi quanto per la letteratura.

Maria Allo






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