Censura, Pechino minaccia di «bloccare» Google
Data: Sabato, 20 giugno 2009 ore 08:44:38 CEST
Argomento: Comunicati


Passa per la lotta alla pornografia online il controllo del governo cinese sulla libertà d’espressione e il dissenso. Complice l’Occidente. L’organo addetto alla censura della Rete in Cina, il “Centro per il controllo delle informazioni illegali”, ha ammonito pesantemente i responsabili di Google China di chiudere i «numerosi collegamenti con siti pornografici e filtrare in modo più efficace i link ad articoli, video e foto volgari». Se non lo faranno, il motore di ricerca è a rischio di una «sospensione». Che il seppur generico provvedimento minacciato da Pechino intimorisca non poco il colosso Google lo si nota dalla risposta pronta che è arrivata ieri dalla filiale dell’azienda in Cina: siamo continuamente impegnati a lavorare per contenere il materiale pornografico o comunque dannoso per i minori; rinnoviamo gli sforzi per mantenere pulita la Rete in Cina. Les affaires sont les affaires. Google non ha nessuna intenzione di bruciarsi un mercato da record come quello cinese (oltre 298 milioni di utenti, la più numerosa popolazione di internauti al mondo) dove già sono ben radicati concorrenti locali come Baidu e Sohu.com. E d’altra parte fin dal suo ingresso nell’ex Celeste Impero, Google ha dovuto accettare regole ferree. Una per tutte, l’omissione dai suoi servizi di ogni informazione «politicamente sensibile». Le ricerche con parole chiave come piazza Tienanmen, Falun Gong, Dalai Lama, Taiwan e democrazia, non danno nessun risultato.

Il problema è che da anni il governo cinese dice di voler combattere la pornografia online, ma poi colpisce in modo sistematico siti che offrono solo informazioni e idee non in linea con i diktakt del Partito comunista. All'inizio di quest’anno il portale statale China.com.cn ha annunciato l'oscuramento di «91 siti web pornografici o con contenuto volgare». Tra questi, guarda caso, anche il blog Bullog.cn, dove scrivono alcuni dei firmatari di “Carta 08”, il documento in cui 303 cittadini cinesi (da intellettuali a semplici contadini) chiedono a Pechino democrazia e rispetto dei diritti umani.

L’attacco contro la Google China, arriva dopo le polemiche che hanno bloccato il tentativo della censura cinese di imporre a tutti i produttori di pc che vendono i loro prodotti in Cina l’uso di un «filtro» chiamato Green Dam. Propagandato come strumento contro la pornografia, Green Dam si è rivelato efficace solo nel ritardare e complicare tutte le operazioni sulla Rete, secondo gli esperti che l’hanno provato.

È che il governo cinese vede il web come un pericoloso nemico. La gente non ha più fiducia nell’informazione ufficiale e così va a cercare notizie su Internet. Qui si verifica un continuo scambio di idee, foto, opinioni e Pechino teme che possa convogliare posizioni critiche verso delicate questioni politiche (leggi Tibet o il massacro a Tienanmen) e i più scottanti fatti di cronaca, dall’inquinamento alla sicurezza alimentare o alla corruzione nel Partito.

E proprio come in una guerra bisogna schierare il proprio esercito. Ieri le autorità hanno annunciato che entro la fine del 2009, migliaia di volontari saranno reclutati per verificare l’«oscenità» in Rete. Nella categoria del materiale da controllare, anche «informazioni private, diffamazioni o contenuti violenti, che violano gli standard della decenza pubblica».







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