ANTIGONE NELLA POESIA E NELLA FILOSOFIA DEL NOVECENTO
Data: Mercoledì, 17 giugno 2009 ore 00:05:00 CEST
Argomento: Rassegna stampa


Antigone nella poesia e nella filosofia di Otto e Novecento

Antigone: - L’editto era pubblico: lo conoscevo, certo.

Creonte: - E hai osato trasgredire questa legge?

Antigone: - … Non ho pensato che i tuoi decreti avessero il potere di far sì che un mortale potesse trasgredire le leggi non scritte degli dei, leggi immutabili che non sono di ieri né di oggi, ma esistono da sempre … Per timore di un uomo io non potevo subire il castigo degli dèi. (Sofocle, Antigone, vv. 488-503).

Antigone nella letteratura e nell’arte

Quando intolleranze religiose, discriminazioni razziali, conflitti su diritti fondamentali o repressioni di minoranze emergono, ricompare Antigone, l’eroina incarnante le leggi non scritte del sangue e della pietas, che sfida Creonte, icona del potere totalizzante e totalitario, capace di trasformare il familiare in 'nemico assoluto', cui va negata anche l’umana pietà.

La rivoluzione francese e i totalitarismi del Novecento segnano i due punti apicali della ripresa dell’attenzione per la tragedia di Sofocle, - “la tragedia sublime per eccellenza e da ogni punto di vista … l’opera d’arte più perfetta che lo spirito umano abbia mai prodotto” (Hegel). In particolare in Germania, a muovere da Hölderlin, la cui traduzione verrà pubblicata nel 1804 (e non a caso riproposta da Brecht nel 1947) e da Goethe (che curò una rappresentazione nel 1809, replicata con maggiore successo nel 1841, con musiche di Mendelssohn e poi rappresentata a Parigi), determinando nell’Europa della seconda metà del secolo un vero e proprio 'culto di Antigone'.

Antigone e il tragico nella filosofia

A rilanciare la riflessione su Antigone sono soprattutto i tre filosofi-amici di Tübingen: Hegel, Hölderlin, Schelling; quest'ultimo, già nel 1795, vede la tragedia classica come anticipazione immaginifica dei grandi temi metafisici quali la lotta tra libertà umana e 'prepotenza del destino'. Ma decisiva per quasi tutte le interpretazioni successive (sia per concordanza che per dissonanza: si vedano, tra le maggiori, quella di Kierkegaard in Aut-aut, quella di Heidegger, in Introduzione alla metafisica, quella di Bultmann, in Credere e comprendere, quella di Derrida, in Glas, quella di Ricoeur in Sé come un altro, quella della Irigaray, in Speculum. L’altra donna) è la lettura hegeliana che compare nella Fenomenologia (1807), tutta giocata sulla inconciliata e inconciliabile contrapposizione tra “legge del sangue o degli dei inferi, e legge della polis, o degli dei superi”, che anticipa la celeberrima contrapposizione nietzscheana tra dionisiaco e apollineo.

Solo nel Novecento compariranno letture di diversa impostazione, quali quella psicoanalitica di Lacan e quella etico-politica di M. Nussbaum (in La fragilità del bene), quest'ultima centrata sulla contrapposizione tra il carattere spaesante della contingenza della nostra situazione e la necessità della phronesis, della saggezza pratica che dovrebbe guidare il nostro agire etico-politico.

Al di là di Antigone, però, molta filosofia tra Otto e Novecento (Nietzsche e Heidegger su tutti) considera la tragedia classica come una potente evocazione poetica di quelle che la filosofia riconoscerà come 'domande fondamentali' che investono l’esserci dell’uomo, il suo 'posto nel mondo', la dialettica tra libertà e destino ecc., sforzandosi di pensare esplicitamente 'in concetti', al di là delle metafore poetiche. Se Freud si limita a rintracciare nelle metafore dei tragici i nodi profondi che aggrovigliano la psiche al di sotto della coscienza (non senza richiamare echi schopenhaueriani), Nietzsche ne ripropone la disincantata e lucida capacità di fissare lo sguardo sulla contraddittorietà dell’esistenza umana, contro gli esiti – apparentemente consolatori, in realtà nichilistici – del platonismo e del cristianesimo, fughe nevrotiche, risentite, moralistiche, di chi non sa accettare (e trasvalutare) la propria condizione terrestre e finita; infine Heidegger, che vede nella Dichtung (poesia) tragica una delle modalità del dire e del darsi originario dell’essere, disvelante l’inquietante ambiguità, la coappartenenza e la coessenzialità tra lo 'essere di casa' e lo 'essere spaesati', poli inseparabili del nostro essere nel mondo.







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