Dottrina Sarkozy, l’Italia non impari dalla Francia
Data: Giovedì, 28 maggio 2009 ore 14:00:00 CEST
Argomento: Rassegna stampa


Si è appreso la scorsa settimana che in Francia la dottrina Sarkozy, appellata in italiano come la legge dei tre schiaffi, è «passata». Sono contento che, una volta tanto, a finire nel mirino della stampa estera - in particolare quella statunitense, cioè di quel paese dove Internet è nata - non sia l’Italia ma la Francia. Non poteva che andare così, del resto.

Non mi consolerei troppo nel pensare che l’ostacolo - per così dire - del Consiglio Costituzionale deve ancora essere superato: è vero che ha il potere di rigettarla qualora lo ritenga oppurtuno, ma cose del genere sono accadute piuttosto raramente. Oltre tutto, l’U.M.P. è il partito di maggioranza di Sarkozy e anche questo ha il suo peso.

Quel che mi preoccupa, invece, sono proprio le reazioni italiane alla bravata di Sarkozy e del suo Ministro della Cultura Christine Albanel. Quest’ultima, ricordava la scorsa settimana il New York Times, ha sospeso per un mese un impiegato, che ha ricevuto l’ordine di inviare una email da parte di Jérôme Bourreau-Guggenheim (ex capo divisione Web Innovation di TF1, emittente TV francese e ora funzionario al Ministero della Cultura) agli altri dirigenti dell’emittente, annunciando le proprie dimissioni per via del suo orientamento, in forte dissenso con la Dottrina Sarkozy.

Leggere testi come quello inviato dall’Associazione per la difesa per il diritto d’autore mi lascia perplesso: può costituire un pericolosissimo precedente, una presa di posizione che legittima meccanismi di asservimento alle dinamiche delle major, che fa polpette di uno strumento dove nessuno afferma che non ci debbano essere regole, ma che è obbiettivamente difficile da governare senza pestare i piedi a nessuno. Uno strumento conquistato con il tempo, con la pazienza e con le lunghe attese di chi - ancora oggi - pena per avere una connessione decente.

Nel terzo millennio, un provvedimento come la Dottrina Sarkozy è un comportamento a mio avviso inqualificabile, degno solo di chi è prono alle pressioni lobbystiche ed ai relativi ritorni economici: la Rete - ha scritto il Financial Times a bocce ferme dopo l’annuncio - “è più di un semplice elettrodomestico. Piuttosto è uno stile di vita. È lo spazio dove l’uomo del 21mo secolo vive, ama, acquista e socializza. Se questo è vero, proibire a qualcuno l’accesso alla Rete è come spedirlo in esilio. Può costargli il suo lavoro o la sua cerchia di amici. La perdita del privilegio di Internet somiglia molto alla privazione di un diritto umano, una risposta di proporzioni largamente surdimensionate rispetto all’offesa”.

L’inverno scorso, ricorda il quotidiano, anche la Nuova Zelanda aveva varato una legge simil-Hadopi con effetti sanzionatori simili. Che però è stata abrogata di fronte all’opposizione popolare.

Inutile ricordare che l’Unione Europea ha - fortunatamente - un punto di vista non coincidente con quello francese. I segnali da cogliere, invece, sono altri: sono quelli come la possibilità che il Partito Pirata svedese sieda a Bruxelles, magari accanto alla Francia. Sono quelli che vengono da realtà come The Pirate Bay, che nonostante tutto il baccano messo in piedi, funziona perfettamente e ha dalla sua il maggiore provider Internet del paese.

Infine, la ciliegina, che dà ragione piena al Financial Times quando afferma che la reazione è spropositata rispetto all’offesa: a rifletterci è Alessandro Bottoni, e qui non è questione né di essere di destra né di sinistra, ma di razionalità. Alessandro si chiede dove sbaglia Sarkozy, anzi, la Francia.

Sicuramente sbaglia nell’efficiacia, visti i molteplici mezzi di cui la cosiddetta pirateria può servirsi oggi, ricadenti totalmene al di fuori della sfera di efficiacia della legge dei tre schiaffi, sostanzialmente mirata a E-mule e BitTorrent. Alessandro offre più di un’indicazione che lo dimostra. Senza contare gli effetti collaterali che egli stesso descrive, assolutamente non trascurabili.

E allora, se nell’efficiacia la Francia sbaglia, se il provvedimento produce troppi effetti collaterali, se l’Unione Europea la vede diversamente, se è evidente - a questo punto - che non si tratta affatto di tutelare gli interessi della proprietà intellettuale bensì di difendere il castello delle tangenti e gli interessi privati delle lobby, era proprio il caso per l’Italia di prendere posizione difendendo uno scenario del genere?

Io credo proprio di no. Italia, non imparare dalla Francia. Mobìlitati, piuttosto, per evitare che simili castronerie possano infangare ulteriormente questo paese, già abbastanza sporco di suo.

Marco Valerio Principato







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