LA CRISI DEGLI ANNI TRENTA: PERCORSO DIDATTICO
Data: Martedì, 26 maggio 2009 ore 00:05:00 CEST
Argomento: Rassegna stampa


La crisi degli anni Trenta: spunti per un percorso didattico

di Vincenzo Guanci*

La crisi dei nostri giorni

“A settembre, avevamo visto, nelle vie di Manhattan, i brocker della Lehman Brothers, con l’occhio sperso nel vuoto e le braccia che circondavano i cartoni, pieni delle carte, degli oggetti, delle fotografie, che avevano riempito le loro scrivanie, mentre abbandonavano gli uffici, dopo il crack del gigante della finanza... Un anno prima avevamo visto la fila di inglesi reclamare i loro depositi fuori dalle vetrine della Northern Rock e, qualche mese dopo, quella degli americani fuori dagli uffici californiani di Countrywide…”.

Così inizia l’ennesimo articolo di quotidiano (“La Repubblica”, 30 aprile 2009, p. 37) sulla crisi economica che dallo scorso anno ha invaso e pervaso la nostra vita quotidiana peggiorando di molto, in gradi ovviamente differenti secondo il reddito di ciascuno, il nostro tenore di vita. Così un evento di natura economica è diventato un fatto politico, e ormai da mesi sta agendo come potente fattore di trasformazione dell’intera società italiana. E non solo.

Ciò che caratterizza la crisi attuale è, infatti, la sua dimensione planetaria: nessun paese è escluso. Quando, vent’anni fa, il crollo dell’U.R.S.S. pose fine al bipolarismo, si creò il “mercato globale”; da allora in misura sempre maggiore l’intera popolazione mondiale partecipa alla produzione e commercializzazione delle merci. Tutto si vende e si compra dappertutto. La produzione è nazionale e multinazionale: le scarpe original Clarcks hanno marchio inglese, sono made in Vietnam, e vengono vendute in ogni paese dove esista un congruo numero di compratori.

Un’altra specificità di questa crisi è il fatto che inizia come crisi finanziaria: le prime aziende che licenziano i propri dipendenti e, addirittura, falliscono, sono banche, assicurazioni, agenzie finanziarie. Solo dopo, hanno chiuso molte aziende manifatturiere, le fabbriche, con un vistoso calo della produzione e conseguente diminuzione della ricchezza nazionale, misurata con l’indicatore macroeconomico del Prodotto Interno Lordo. Oggi, praticamente l’intero pianeta attraversa una fase di “recessione” o “depressione” economica.

La crisi del ’29: contesto spaziale e temporale

Nella memoria collettiva dei popoli d’America e d’Europa è fissato da tempo un evento simile: la cosiddetta “crisi del ‘29” e la conseguente “grande depressione”. In effetti, lo studio del mondo capitalistico degli anni trenta del secolo scorso può aiutarci a comprendere meglio la crisi attuale; così proponiamo alcune indicazioni di massima per un percorso didattico. Va detto subito, per amore di verità, che ci siamo ispirati all’unità d’apprendimento Il sistema economico internazionale tra il 1914 e il 1939, pubblicata da Bernardo Draghi nel 1998 presso Polaris, Faenza (Ra), nell’ambito del Progetto Clio curato dall’associazione Clio’92.

Il percorso inizierà naturalmente dando conto agli studenti delle motivazioni alla base della scelta della crisi del ’29 come tema di studio. Subito dopo, un breve brain storming in classe ci darà la misura della quantità e qualità delle loro conoscenze pregresse intorno al tema, derivanti da studi precedenti, programmi televisivi, film, romanzi, e quant’altro.

Prima comunque di andare avanti dobbiamo essere avvertiti che, trattandosi di un tema di storia economica, seppure con forti implicazioni sociali e politiche, sarà nostro compito, mano a mano che procederemo nello svolgimento della nostra unità didattica, accertarci che gli studenti abbiano la padronanza dei concetti e delle nozioni di economia che utilizzeremo.

Innanzitutto il tema va contestualizzato nel tempo e nello spazio.

Per quanto riguarda quest’ultimo ricordiamo che la “grande depressione” colpì all’inizio gli Stati Uniti e l’Europa industrializzata e sviluppata, ma poi si propagò rapidamente nei paesi agricoli dell’Europa meridionale, nei paesi in via di sviluppo in America Latina, Africa, Asia e nei paesi di recente industrializzazione quali il Giappone, il Canada, l’Australia e la Nuova Zelanda.

Circa il contesto temporale ci pare sufficiente inserire la “grande depressione” in una periodizzazione di questo tipo:

- l’economia mondiale all’inizio del Novecento;

- la I Guerra Mondiale (1914-1918);

- l’assetto economico mondiale nel dopoguerra (1918-1929);

- la crisi del 1929 e la grande depressione (1929-1934);

- la parziale ripresa del 1934-37;

- la II Guerra Mondiale (1939-1945);

- il boom economico del dopoguerra (1946-1973).

Sarà cura del docente occuparsi di fornire il quadro generale delle conoscenze necessarie a inquadrare il tema studiatotra la situazione del mondo prima e dopo la crisi del 1929 e la grande depressione. In questa sede focalizzeremo la nostra attenzione solo sulla crisi e le sue conseguenze.

Descrizione della crisi

Paul Bairoch in suo sintetico ma illuminante scritto (Le grandi cesure economiche e sociali, in P. Ciocca, L’economia mondiale del Novecento, Il Mulino, Bologna, 1998) definisce la crisi del ’29 come “la più grave, e generalizzata, della storia del mondo industrializzato occidentale”, beninteso prima di quella che stiamo attraversando in questi anni, la cui gravità e estensione non siamo ancora di in grado di valutare completamente, e la descrive in questi termini:

“… la crisi [interessò] praticamente tutti i paesi industrializzati occidentali, raggiungendo la massima intensità negli Stati Uniti. Il tasso di disoccupazione nelle industrie [passò] dal 5% del 1929 al 38% del 1933, in un paese in cui le indennità di disoccupazione non esistevano ancora. Il tenore di vita medio si [abbassò] di un terzo. In Europa la crisi [fu] ugualmente profonda, soprattutto in Germania, dove [rappresentò] uno dei fattori che spiegano la vittoria del nazismo. Nel mese precedente le elezioni del 1931 i disoccupati (totali e parziali) raggiungevano il 50 per cento della forza di lavoro. Hitler, forte del fatto che il suo fosse il maggior partito pur senza disporre della maggioranza, salì al potere due anni più tardi. Insomma una sconfitta economica del mondo ricco che [aprì] la strada ad una catastrofe umana ben maggiore.

In ambito internazionale la crisi provocò un vero e proprio crollo del commercio. Si toccò il fondo nel 1932, con un calo delle esportazioni mondiali del 72 per cento in valore e di circa il 60 in volume (rispetto al 1929). Contemporaneamente si verificò un forte riflusso degli investimenti internazionali, diminuiti di circa la metà tra il 1929 e il 1932. Secondo alcuni economisti il riflusso degli investimenti internazionali costituirebbe una delle chiavi di lettura dell’ampiezza e della durata della crisi. Comunque sia il fenomeno si protrasse negli anni Trenta, accompagnato da un aumento del protezionismo. Si spiega così la cosiddetta depressione degli anni Trenta …” (pp. 106-107).

Di qui si può partire per un’indagine a tutto campo con opzioni di approfondimento fatte sulla base delle ore di scuola e di studio disponibili e che il docente intende investire nell’analisi del tema. Non dovrebbe comunque mancare, a nostro avviso, un’analisi comparativa tra la crisi del ’29 e quella dei nostri giorni che si può chiedere agli allievi di condurre anche sul web, sulla base degli indicatori utilizzati da Bairoch.

Conseguenze sociali della depressione

La depressione degli anni Trenta ebbe forti e drammatiche ripercussioni sulla struttura della società impoverendo praticamente tutte le classi sociali e aggravando molto le diseguaglianze tra i cittadini.

I proprietari di grandi capitali subirono grosse perdite dal crollo in borsa del valore delle loro azioni, ma dopo due o tre anni il sistema riprese vigore pur a prezzo della chiusura di molte piccole e medie imprese.

Fu quest’ultima la principale causa dell’improvviso peggioramento delle condizioni di vita della classe media, comprendente artigiani, piccoli commercianti, piccoli e medi industriali, che da imprenditori autonomi diventarono spesso lavoratori dipendenti o restarono addirittura senza lavoro.

Anche la situazione dei liberi professionisti peggiorò con la diminuzione della clientela; la reazione corporativa delle associazioni di notai, farmacisti, avvocati, ecc. rese peraltro difficilissimo ai giovani l’accesso alle professioni liberali.

In agricoltura la situazione diventò grave a causa del crollo dei prezzi, che rese la vita impossibile ai contadini poveri, privi sia della capacità finanziaria sufficiente ad acquistare i beni strumentali necessari ad accrescere la produzione, sia della forza contrattuale e organizzativa per commercializzare il loro prodotti su un mercato più vasto di quello interno.

Ma la condizione di gran lunga peggiore, ai limiti della sopravvivenza, fu quella degli operai delle industrie e dei braccianti agricoli. Il crollo del potere d’acquisto dei salari unito alla disoccupazione di massa mise la classe operaia nella completa impossibilità di contrattare con gli industriali salari e condizioni di lavoro, riducendoli spesso alla mendicità.

Nel complesso, insomma, la crisi portò ad un peggioramento delle condizioni di vita sia nelle città che nelle campagne. In particolare, nelle grandi metropoli aumentò molto l’accattonaggio, la prostituzione, la criminalità.

Il racconto

Tutto iniziò con il crollo del valore delle azioni a Wall Street nell’ottobre del 1929. Il mercato delle azioni era finanziato dal sistema delle banche: il valore delle azioni aumentava o diminuiva a prescindere dal valore reale delle imprese che esse rappresentavano. Gli speculatori rendevano “vivace” la Borsa di New York provocando facili arricchimenti, ma quando i prestiti con i quali erano state acquistate le azioni non poterono più essere rimborsati attraverso la vendita delle azioni medesime, molti operatori finanziari furono rovinati.

Il racconto della “grande depressione” può essere presentato agli studenti in modo efficace attraverso la lettura di brani letterari e/o film diventati famosi per la loro forza espressiva; oltre a Furore – romanzo del 1936 di John Steinbeck e film del 1940 di John Ford – ci piace ricordare E adesso pover’uomo? pubblicato nel 1932 da Hans Fallada e Non si uccidono così anche i cavalli?, film girato in anni lontani da quella crisi, nel 1970.

La spiegazione

Per quanto riguarda le “cause” della crisi, premesso che come per ogni fenomeno storico è corretto parlare non tanto di “cause” certe e definite bensì di “fattori” che, seppure in misura differente, possono aver contribuito allo scoppio della crisi e poi alla lunga depressione degli anni Trenta, va detto che l’intera questione è stata ed è ancora oggetto di riflessione e dibattito storiografico. Con questa avvertenza, se non si ha il tempo-scuola necessario per l’analisi delle posizioni di almeno due-tre studiosi si potrebbe proporre in modo schematico la spiegazione fornita dall’economista John K. Galbraith nel suo Il grande crollo, che la casa editrice Bollati Boringhieri di Torino pubblicò nel 1991. Secondo lui, fino ad un certo punto la crisi del ’29 non era differente da altre minori che fino ad allora avevano colpito il sistema economico statunitense e mondiale. Il crollo dell’ottobre 1929, invece, fu l’inizio di una depressione durata parecchi anni. Secondo lui i fattori principali di tale depressione vanno cercati soprattutto in cinque punti:

1. la fortissima sperequazione nella distribuzione del reddito negli U.S.A., con pochi ricchissimi e molti poverissimi;

2. uno scarso senso della legalità nelle imprese americane: la composizione del management delle “società per azioni” era inquinata da speculatori, truffatori, imbroglioni;

3. una cattiva struttura del sistema bancario: troppe piccole banche destinate a fallire alle prime difficoltà finanziarie;

4. lo stato traballante della bilancia dei pagamenti degli Stati Uniti.

A rendere inevitabile il crollo si aggiungeva il basso livello della cultura economica degli imprenditori e degli operatori finanziari, nessuno dei quali aveva lontanamente intravisto il baratro verso cui si stava precipitando.

La reazione alla crisi

La reazione positiva alla crisi è simboleggiata nella memoria storica dal New Deal del presidente degli U.S.A. Franklin D. Roosevelt che governò dal 1933 al 1945. Sidney Pollard, nella sua Storia economica del Novecento, pubblicata nel 1999 dalla casa editrice Il Mulino di Bologna, così lo racconta:

“ … nei ‘cento giorni’ del primo mandato Roosevelt furono avviati dei programmi per la risoluzione di numerosi problemi interni. Il National Recovery Act del giugno 1933 introdusse norme sulla produzione e sui prezzi industriali nonché una nuova normativa a tutela del lavoro. Nel maggio 1933 fu istituita la Tennessee Valley Authority mediante la quale il governo assunse il controllo della diga e delle fabbriche di nitrati di Muscle Shoals sul fiume Tennessee, nonché l’assetto idrogeologico del fiume e della navigazione commerciale fluviale. Furono istituite nuove agenzie per la gestione dell’assistenza pubblica. I disoccupati trovarono impiego nelle opere pubbliche, mentre furono previsti sussidi diretti agli agricoltori per contenere la produzione e alzare il livello dei prezzi. Fu consolidata la posizione giuridica dei sindacati che furono messi in condizione di pretendere salari più elevati e di rafforzare il potere d’acquisto dei ceti operai. La crisi delle banche fu affrontata con l’introduzione delle assicurazioni sui depositi bancari…“ (p. 133).

Nella sostanza va messo ben in evidenza come la reazione dei governi alla crisi fu l’intervento massiccio dello Stato in economia, capovolgendo la politica fino ad allora condotta, improntata ad un liberismo puro fondato sulla convinzione che le leggi del mercato avrebbero da sole, di per sé, regolato e risolto le crisi economiche.

E oggi?

La conclusione del percorso didattico potrebbe essere una discussione in classe intorno alla reazione dei governi alla crisi attuale, cercando di analizzare, da un lato, le misure prese e quelle previste dal presidente americano Barack Obama e, dall’altro, le decisioni assunte dai governi europei e dalla Banca Centrale Europea. In particolare sarebbe interessante soffermarsi sul ruolo che sta svolgendo nell’attuale fase economica mondiale l’Unione Europea con le sue istituzioni, approfittando dell’occasione per fare anche “educazione all’Europa”.

*Fa parte della segreteria nazionale di Clio ’92, Associazione di insegnanti e ricercatori sulla didattica della storia. Ha insegnato Storia e ricoperto il ruolo di dirigente scolastico nella scuola secondaria di II grado. Recentemente ha curato, assieme a Carla Santini, il volume Capire il Novecento, FrancoAngeli editore, Milano, 2008. Svolge attività di formazione, ricerca e aggiornamento sulla didattica della storia.







Questo Articolo proviene da AetnaNet
http://www.aetnanet.org

L'URL per questa storia è:
http://www.aetnanet.org/scuola-news-15704.html