OMAGGIO A GIUSEPPE BONAVIRI
Data: Domenica, 17 maggio 2009 ore 09:43:57 CEST
Argomento: Rassegna stampa


La mia infanzia, essendo io nato nel 1924, si è snodata dal 1928 al ‘ 36 circa. Pochi anni dopo divampava la follia antiebraica di Stalin e di Hitler. A quel tempo, la presenza del buio, prima che arrivasse la corrente elettrica, nel 1931 circa, a Mineo era così intensa da dar luogo a delle curiose circostanze. Ricordo, per esempio, che una volta mia madre mi aveva mandato a comprare dell’ aceto fra i vicoli oscuri delle ultime case del quartiere di Santa Maria in cui abitavamo; al ritorno lei, sentendomi parlare e non vedendomi, mi aveva detto: o figlio, ti ha risucchiato il buio dato che non riesco a vederti? Purtroppo, l’ agire degli uomini e di converso i giochi dei bambini, che ai miei tempi erano turbati da varie malattie oggi scomparse, infastidivano le fantasie che nascevano in noi bambini. Tra le varie malattie c’ era la malaria, che, per la rottura dei globuli rossi ripieni di plasmodi, immetteva sostanze tossiche nel circolo sanguigno dando luogo a un grande brivido di freddo. Personalmente ho una chiara memoria della sensazione sgradevolissima che dava questo grande brivido. Io stavo seduto sul piccolo ballatoio di casa nostra, e quando sentivo questo grande freddo mi coprivo con due mantelli di mio nonno materno, Salvatore Casaccio, padre di ventiquattro figli di cui l’ ultima era mia madre. Lì, piccolo e infreddolito, guardavo salire per il viottolo delle mura decine e decine di contadini a cavallo degli asini, spesso sotto una pioggerella ottobrina, che passavano accanto a un immondezzaio dove, essendo caduti dei semi, nascevano rachitici come bonsai alberelli nani di albicocco, pero, mandorlo, ecc. Ricordo che questa malattia turbava enormemente i giochi di noi bambini. Tra i nostri giochi preferiti vi era quello di prendere della creta bagnata e buttarla sul nudo suolo o sul marciapiede della strada vicina per sentire il rumore di leggero scoppiettio che ne scaturiva. Quando veniva sera, con le sue mille ombre e si accendevano i sette lampioni che esistevano in tutto il paese, noi stavamo ad annoverare le stelle che nascevano via via nel cielo; chi riusciva a contarne di più aveva in regalo dei sassolini luccicanti per l’ intrusione di piccolissimi granuli di corindone, zaffiro, smeraldo. Un altro gioco era quello di cercare Iddio tra le ombre che la sera apportava tra i vicoli del paese; e una quantità di riflessi paurosi si creava nel nostro animo. Andavamo a villeggiare sull’ altopiano di Camuti, dove mia madre, di ritorno da New York, con i risparmi accumulati come emigrante, era riuscita a comprare un pezzo di terra e una casetta. Accadde una sera che a causa di un forte mulinello di vento che ci chiuse nel suo circolare moto, lei, spaventata, ci chiese: «O figli, dove siete? Siete scomparsi?». Insomma, la mia infanzia è legata a delle vicende imprevedibili e direi quasi fantastiche. Più di tutto ci facevano paura, anche se stavamo svegli a letto, i cento colpi di campana che venivano suonati all’ arrivo della mezzanotte. Mio padre, ossia il sarto della Stradalunga, scrivendo come era suo uso, in una delle sue poesie ebbe a dire: «Terribile la notte oscura ed infinita mentre l’ orologio batte l’ ora più sciagurata». Io ho raccolto le poche poesie vergate da mio padre sul retro degli avvisi delle tasse che doveva pagare e le ho fatte stampare con il titolo L’ Arcano; una copia si trova nella biblioteca nazionale di Roma nella zona detta dei Pretoriani. Ormai, con l’ enorme sviluppo della linea mediatico-strumentale in cui dominano sia Internet sia i cellulari, si è venuto a creare il volto più pensoso che mai la civiltà del gioco abbia avuto. Noi nonni difficilmente riusciamo a penetrarvi e l’ immenso bagaglio cultural-ludico del nostro tempo a poco a poco andrà a perdersi.
Giuseppe Bonaviri

(da “Corriere della Sera” - 22 gennaio 2008)






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