Irregolari e presidi sceriffi. E San Giovanni Bosco?
Data: Mercoledì, 06 maggio 2009 ore 15:03:26 CEST
Argomento: Opinioni


Chi riuscirebbe a immaginare Giovanni Bosco chiedere ai bambini del suo oratorio la tessera di identità o il codice fiscale per risalire alla famiglia di provenienza? E ancora. Immaginare per un momento don Lorenzo Milani, a Barbiana, spiare il colore della pelle dei suoi ragazzi, cercando di individuare quello più abbronzato, e poi espellerlo, perché extracomunitario, con l’intervento dei carabinieri. Una ricerca simile, facendo abbassare i pantaloni a scuola, lo facevano i nazisti per identificare i maschietti ebrei circoncisi per poi risalire alle famiglie in modo da deportarli con un solo carico verso uno dei tanti campi di concentramento.

La scuola, con l’emendamento, poi eliminato, sull’obbligo da parte dei presidi di denunciare i figli degli immigrati senza permesso di soggiorno, si stava rivelando per quello che molti vorrebbero che fosse: filtro di tutto ciò che si intende depurare dalla società. Già, ricordiamo, da parte della Lega di Bossi è stato proposto, per i bambini che non conoscono l’italiano, le classi di transizione da dove avrebbero accesso alle scuole normali, solo dopo un test di valutazione; e oggi anche quest’altro affondo che rischiava di mettere in croce i dirigenti e gli insegnanti. Ma questa proposta, fortunosamente fallita, sarebbe stata una crocifissione, non solo degli operatori, ma anche della scuola nella sua interezza perché si sarebbe trattato di negare uno dei diritti fondamentali dell’uomo: quello alla istruzione e alla cittadinanza, sanciti, sia dalla nostra costituzione, e sia dalla carta dei diritti dell’uomo. Una doppia violazione che non doveva essere nemmeno immaginabile in una società che ha come bicentenaria figlia la rivoluzione francese, insieme a un retaggio straordinario di pensiero egualitario e democratico che poi sono le fondamenta su cui la scuola italiana poggia e prepara i cittadini di domani. Se da un lato dunque sui banchi si portano come modelli i patrioti (ma pure il carroccio contro l’imperatore Barbarossa) che preferirono la forca austriaca alla delazione o le lotte partigiane contro le dittature che negavano la libera espressione, dall’altro si stava tentando di obbligare le istituzioni scolastiche a denunciare gli irregolari, negando loro uno dei più inalienabili diritti: quello alla istruzione. Non si trattava dunque di dare una ulteriore patente al preside, quella di spia, si trattava di ghettizzare, umiliare, impoverire ancora di più un essere umano che cerca invece di migliorare se stesso e i propri figli mandandoli a scuola. Anche per questo meraviglia cha da parte del Miur, e della Gelmini in particolare, non ci sia stata una presa di posizione netta, come è stata quella nobilissima del presidente dalla Camera, Fini, contro questa proposta che rischiava di gettare una luce sinistra nei confronti della scuola che, da luogo di crescita egualitario e di confronto fra culture e idealità diverse, si sarebbe trasformata in terreno di sospetto, di delazione e pure di possibili rappresaglie contro presidi o docenti obiettori. Ma si è colto pure una evidente contraddizione, che declama a questo punto ipocrisia, fra le circolari ministeriali che finanziano le cosiddette “Giornate della memoria” contro i razzismi, le mafie, lo sfruttamento e questa proposta di legge che invece avrebbe diroccato in un sol colpo il lavoro di decenni, realizzato in classe dai professori per debellare questi tumori dalla coscienza di chi bivacca fra i bullismi e le prevaricazioni. E non sarebbe stato un atto di prepotenza intollerabile quello di negare al più debole, perché povero e privato del diritto di cittadinanza, perfino il sogno di migliorarsi attraverso la scuola?
PASQUALE ALMIRANTE  (p.almirante@alice.it)







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