''RICREAZIONE'': PROF, NOI NON POSSIAMO AVERE SOGNI
Data: Venerd́, 01 maggio 2009 ore 09:40:18 CEST
Argomento: Opinioni


La gioventù! Età di sogni e di belle speranze, diceva il buon Leopardi, la favola della vita tutta ancora nel cuore, un vago avvenir nella mente e sogni, tanti sogni da coltivare.
Ma di quale gioventù farnetichiamo? Di quella dei secoli e decenni scorsi, quando il futuro era, malgrado le enormi tragedie storiche, un’ipotesi allettante e promettente.
Ma oggi, se osate chiedere ai vostri alunni di quinta classe, ormai prossimi alla maturità, come vedono il loro domani, cosa faranno, dove si iscriveranno, succede una cosa strana: non vi sanno rispondere. E non parlo di quelli che arrancano, che studiano malvolentieri; mi riferisco anche a quelli bravi, bravissimi, che hanno dinanzi a loro un teorico prospero avvenire. Anche loro, malinconicamente, vi dicono, con lo sguardo quasi assente: “ Cosa farò? Quale facoltà sceglierò? Boh, è tutto così confuso.”
Ma Sant’Iddio, e forse vi ricordate di voi alla loro età, di quella piacevole confusione degli anni verdi che poi si tramutava in delirante certezza, ma non avete un sogno, qualcosa che vi piacerebbe fare davvero, qualcuno che vi piacerebbe diventare?
E vi sembra di leggere i loro pensieri. Sì, prof, i sogni ce li abbiamo: ma quel che piace a me, a che mi serve studiarlo? Per andare ad ingrossare le file dei disoccupati? Noi saremo i disoccupati di domani, quelli fregati da questa rutilante società del consumismo e del benessere. A meno di diventare per pura fortuna veline o showman, noi saremo quelli che, molto probabilmente, mendicheremo il pane tozzo a tozzo, dopo anni e anni di sacrifici. E chiuderemo le nostre passioni nel cassetto per lavorare, dopo mille e mille costosi master, in un caotico call center a pochi spiccioli al mese.
Io non ho sogni, cara prof. Non posso averne. Per avere sogni bisogna crederci e il mondo intorno li deve, in qualche modo, alimentare. Farò quel che mi conviene e speriamo bene.
E’ triste ammetterlo, ma è così. Questa società, che ha dato loro l’i-pod più tecnologico e la macchinina più colorata, gli ha tolto poi, subdolamente, la cosa più bella della bella gioventù: i semplici sogni, quel vago avvenir di un tempo che adesso è nero, muto, freddo. Non si possono avere sogni oggi. E la favola della vita, a vent’anni, è, per molti, già conclusa.

SILVANA LA PORTA






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