A fronte di 32 mila pensionamenti, la scuola forse assumerà in
ruolo solo 20 mila precari, cosicché invece di tagliare 32 mila
posti dell’organico di diritto e 10 mila da quello di fatto, previsti
dalla finanziaria, si passerà a poco più di 30 mila. La ministra
Gelmini sembra soddisfatta, non così tutti i sindacati che
hanno più chiaro lo sconforto dell’esercito di oltre 300 mila
professori in cerca di cattedra stabile. Per questo parlare di «tagli
dolorosi ma necessari» appare grottesco, perché finora la
scuola ha approfittato cinicamente di costoro, li ha adoperati
al momento opportuno e nei luoghi opportuni, promettendo
tacitamente una sistemazione, più o meno vicina, e inducendoli
senza pudore a sborsare fior di quattrini per ottenere titoli
e punteggi.
Questo intricato e amorale bailamme ha origini lontane e in
modo particolare nella mancata formulazione di regole pianificate,
funzionali e precise per il bene della istruzione che invece
è stata usata dalla politica per il proprio immediato vantaggio
e della cui impudenza oggi a soffrirne sono, sia i professori,
e sia la cosiddetta utenza. Infatti, come se non bastasse la
piaga dei precari, ogni anno rimbalza la notizia, confermata pure
dall’Unicef, che solo il 69,1% degli studenti delle scuole superiori
italiane, compresi quelli degli istituti professionali, approda
al diploma, mentre il restante 30,9% si disperde o abbandona.
Oltre 200 mila ragazzi, aggiunge uno studio di Tuttoscuola,
ogni anno lasciano i banchi e, considerato che in tutti i settori
produttivi sono più i licenziamenti che le assunzioni, bisognerebbe
capire dove vanno questi giovani e cosa fanno.
Se i tagli sono necessari per i conti pubblici, prioritario si conferma
il ruolo educativo e formativo della scuola che ha bisogno
di personale preparato, di investimenti e di controlli rigorosi.
E ha necessità pure di una riforma condivisa affinché nessuno,
cambiando il colore del governo, possa poi rivendicare
promesse e diritti negati. Il progetto di legge Aprea, per esempio,
ha spunti innovativi, ma altri sembrano pericolosi, come la
chiamata diretta, mentre l’accertamento della preparazione
dovrebbe essere inflessibile, perché i rischi, in una società
tanto complessa, dell’inefficacia formativa sono altissimi e i dati
Ocse-Pisa, e ora anche quelli dell’Unicef, lo dimostrano.
PASQUALE ALMIRANTE (da
www.lasicilia.it)