LA GENIALITA' NARRATIVA DI MARINELLA FIUME
Data: Venerd́, 24 aprile 2009 ore 23:36:24 CEST
Argomento: Rassegna stampa


CELESTE AIDA UNA STORIA SICILIANA di Marinella Fiume, Rubbettino 2009

Recensione di Anna Ruggieri

Ho letto più di una volta l’ultimo libro di Marinella Fiume. Una prima lettura è stata “immediata”, spinta dal pathos da tragedia greca,anche se ambientata nel contemporaneo, o nell’immediato passato che dir si voglia. Ma non ho potuto fare a meno delle letture successive,per non perdermi tutta la cultura che contiene questa enciclopedia preziosa della lingua siciliana parlata nella zona ionica che il tessuto narrativo di Celeste Aida. Per meglio dire, enciclopedia preziosa di quella variabile dialettale,frutto della storia, della geografia, delle tradizioni, del clima, delle inclinazioni, dei caratteri e dei mutamenti in un’area della Sicilia. Giovanni Ruffino nel suo esemplificativo e fondamentale, Profili linguistici delle regioni (Laterza 2001) scrive : “Sono state più volte sottolineate le condizioni di grande variabilità del dialetto e,più in generale, delle lingue parlate. Ma perché esiste questa variabilità? Da quali cause sono prodotti i cambiamenti linguistici? …Si tratta di cause storiche, geografiche, economiche, sociali: invasioni o migrazioni interne,anche temporanee,possono determinare contatti e mescolanze di popoli diversi; la costruzione di nuove strade può anche trasformare antichi assetti territoriali e urbani, favorendo o limitando la circolazione di individui, e quindi di parole; eventi sconvolgenti (terremoti,alluvioni,carestie) possono disintegrare la vita comunitaria;l’acquisizione di nuovi oggetti,tecniche,abitudini,mode (e dunque di nuove forme linguistiche) provenienti da altri territori e comunità,influiscono anche sugli antichi linguaggi,impoverendoli da una parte,arricchendoli dall’altra. ”(Da Leluminarie)a cura di M.Allo

 

La lingua usata da Marinella Fiume in Celeste Aida, e parlata dai personaggi del libro, raccoglie, grazie alla levità del grande narratore, parole consuete ed ancora in uso costante,e parole il cui uso si è affievolito, salvandone così la memoria ed accarezzandone la nostalgia.
Ma Celeste Aida è soprattutto il racconto di una tragedia, ove l’ondeggiare dei sentimenti e dei propositi è nella descrizione di persone e di fatti. Esemplare è la descrizione del pugile Primo Carnera sulla spalletta del ponte detto “delle forche”,inquietante premonizione di una condanna a morte inesorabile. Tragedia senza fine è il corpo della bimba, appena dissepolto e “…coperto con una coperta militare”.Ed ha l’andamento scenico e lo strazio della tragedia greca il vagare della nonna Lucia,di porta in porta,alla ricerca di Iduzza che non ha fatto ritorno a casa. Accanto a lei ondeggiano, come un coro dolente, le vicine di casa, il parroco Don Mariano, gli altri bambini,le torce di deda di pino accese per continuare le ricerche della povera bimba nella “notte illune”, come la chiama Marinella Fiume. Anche l’assassino mentitore partecipa senza rispetto alle ricerche della bimba che ha già ucciso. E nel coro ondeggiano preghiere e sospetti,parole di speranza ed accuse, in un brusio pieno di angosce. I personaggi della tragedia sono la povera Iduzza (Aida),vittima predestinata del disinteresse materno e dell’idiozia banale dell’assassino. Ed il suo assassino,che qualcuno,con una metafora felice,ha paragonato a Giufà. Del resto,solo Giufà,poteva farsi fucilare alle spalle per un paio di scopate con la suocera! Il mito si capovolge: il “disamorato” Giàsone è l’esecutore materiale del delitto di una novella Medea siciliana. Infatti altra protagonista del libro è la madre di Iduzza, Giuseppina, giudiziariamente assolta dall’accusa di complicità nell’assassinio della figlioletta e dai reati di adulterio e di aborto. All’assoluzione di Giuseppina, madre della bambina uccisa ed amante del genero (l’assassino), giovarono l’abilità del suo avvocato, il grande Luigi Castiglione, e la retorica fascista del tempo,che non mancò di sottolineare gli indiscussi valori della “madre rurale”. Giuseppina era un esempio anagrafico delle “madri prolifiche” che il Duce aveva a cuore, come affermato anche dal parroco Don Vito. Eppure Giuseppina aveva, come dicono i giuristi, “rafforzato il proposito omicidiario” nel genero-assassino: “…Giovannino,a questa bambina la dobbiamo levare di qua attorno…, …Quella non è come gli altri bambini,come i suoi fratelli. Ha la fantasia troppo sviluppata, è troppo sveglia, ma è anche imbrogliona,gli piace inventarsi le cose…”. La vicina di casa Concetta Nicotra ricostruisce la dinamica dei complici nel delitto e l’assassino accusa la suocera di averlo istigato al delitto. Anche l’assassino Giovanni Scandurra era difeso da un “ Principe del Foro”, l’avvocato Vito Reina , nato a Mascalucia nel 1894, laureatosi a Roma nel 1915, ufficiale dell’esercito, insignito, nella prima guerra mondiale, della prestigiosa “Military Cross” inglese e della Croce di guerra,allievo del grande avvocato catanese Gigi Macchi. Vito Reina diresse lungamente la rivista “Rassegna Giudiziaria”, con Luigi Castiglione, Luigi La Pergola e Gioacchino Vasquez e fu il rappresentante del Sindacato Fascista Avvocati e Procuratori, in seno alla Commissione Reale Avvocati. Ma nemmeno la bravura dell’avvocato Vito Reina riuscì ad evitare a Giovanni Scandurra la condanna a morte, eseguita mediante fucilazione nella spianata di Bicocca, ove oggi sorge il “supercarcere”.
Luoghi predestinati? “Genius loci” anche in senso tragico, come supponevano gli antichi. Gli altri personaggi sono Lucia, disarmata nonna di Iduzza, che non riuscì ad evitare la tragedia, la zia Felicia (sorella di Giuseppina), affogata nel risentimento, la giovane Pinuccia, sciocca ed imbambolata, sposa dell’assassino e sorella della bimba uccisa,gli incolpevoli genitori dell’assassino, sopraffatti da una tragedia più grande di loro, i fratellini più grandi di Iduzza (Benedetto, Alfio, Carmelo e Lucia), le vicine di casa, due parroci (uno di Fiumefreddo e l’altro di Giarre), il segretario della Casa del Fascio, la maestra Rosina (responsabile delle donne fasciste), i carabinieri e i giudici della Corte d’Assise, i cui cognomi altisonanti fanno pensare alla loro appartenenza alla classe privilegiata. Le statistiche dei condannati in Corte d’Assise, viceversa, indicano braccianti, disoccupati,o persone di “piccolo censo” (così testualmente). E non ultimo personaggio (perché non si tratta solo di un fondale di teatro,ma di un vero personaggio) è il paese di Fiumefreddo, luogo reale della geografia isolana e del delitto,con la sua parlata nella variabile dialettale che Marinella Fiume ci trasmette con genialità letteraria e narrativa. Il territorio di Fiumefreddo, al tempo in cui avvenne il delitto, era caratterizzato anche dall’economia agricola e dai rapporti sociali oltreché dalla peculiare cultura dell’alimentazione, parca e preziosa, per la quale leggiamo :
“la pasta con la minestra,la verdura di campagna”
“forchettata di minestra”
il “formaggino” di cioccolato, mezzo nero e mezzo bianco”
“la minestra aspetta fredda” (viene personificata)
“una tazza di caffè d’orzo macchiato col succo di mezzo limone” (per l’avvinazzato Giovannino)
(per colazione, al mattino, dato che Giovannino pernottava, ormai per abitudine, a casa della suocera) “il caffè d’orzo per Giovannino e la zuppa per i bambini”
“un po’ d’erba che cresce spontanea in campagna”
“il vassoio con i bicchierini di rosolio”, a casa dei genitori di Scandurra, a Giarre
“un goccino di rosolio”
“quei biscotti che hanno preparato in casa e tengono per le occasioni”
“cudduredde” (ripetuto per quattro volte)
“minestra” (ripetuto tre volte) e “verdura maritata :cosce di vecchia, cannatella, coda di gatto, cardella e caccia lepre, cicoria amara e un filo di finocchietto rizzo profumato”
“come potete pensare a mangiare?”
“caffè d’orzo”.
E non manca la tristissime consuetudine del “cunsòlu”.
Marinella Fiume riporta le filastrocche , che rileggiamo sempre con piacere,scoprendo ogni volta significati e riferimenti nuovi. Concludo con un’idea di speranza e di verità. Ne ho bisogno io, forse ne abbiamo bisogno tutti. I bambini di oggi sono, nella gran maggioranza,più fortunati della povera Iduzza, la “Celeste Aida” del libro. Un gran numero di negozi ha articoli dedicati solo a loro,i genitori sono più attenti e meno fatalisti,molti padri non si vergognano,a differenza dei padri del passato, di accudirli nel quotidiano. I bambini sono diventati arbitri nelle contese genitoriali e per loro si formulano teorie psicologicamente all’avanguardia. Tra tutte voglio ricordare la teoria dell’”alone”. Di che cosa si tratta? Quando il comportamento di un figlio, nel contesto del conflitto genitoriale , diventa ipercritico e denigratore nei confronti di uno dei genitori perché l’altro lo ha influenzato in questo senso,indottrinandolo,anche subdolamente,col dire e non dire,alcuni psicologi parlano di “bambini programmati”, ai quali è stato effettuato il lavaggio del cervello ( brainwashed children).Si parla in questi casi di sindrome di alienazione genitoriale o “alone”. Plaudiamo a questa maggiore, e migliore,attenzione ai bambini ed all’affetto che ci lega a loro. E ci rallegriamo, senza ascoltare le prefiche stonate ed i laudatores temporis acti, di non essere più al tempo di Medea e di Giàsone, almeno per la maggior parte di quei “piccoli bipedi coraggiosi” (così Desmond Morris) che percorrono oggi le strade del mondo.


Anna Ruggieri







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