IL GENIO VISIONARIO DEL ROMANTICISMO INGLESE
Data: Marted́, 14 aprile 2009 ore 21:12:46 CEST
Argomento: Rassegna stampa


La sua arte, attraverso una strettissima connessione organica fra poesia e visioni disegnate e incise, nasce da una sollecitazione intensa e esasperata della sua immaginazione nutrita da una vasta cultura letteraria e da un repertorio iconografico fondamentalmente neoclassico, ma anche dal mito di Michelangelo (in particolare il Giudizio Universale). La sua formazione come artista avviene prima nella bottega dell’incisore James Basire e poi alla Royal Academy di Londra, sua città natale. Di fondamentale importanza, anche per lo sviluppo del suo linguaggio, è l’amicizia con John Flaxman (raffinatissimo incisore al tratto e illustratore dell’Iliade e dell’Odissea e della Divina Commedia) e con il grande pittore fantastico di origine svizzera Heinrich Füssli (Henry Fuseli). E sarebbe stato utile, in questa mostra al Petit Palais di Parigi, proporre in una sala un confronto con alcune opere di questi due amici. In ogni caso l’esposizione, che mette in scena con corretto rigore filologico circa centocinquanta lavori tra disegni, incisioni, «miniature», libri e acquerelli e tempere, è un’occasione unica per vedere il corpus quasi completo della produzione dell’artista, che in massima parte si trova sparsa in vari musei britannici, e che per la sua delicatezza e fragilità non è quasi mai esposta.

È innanzitutto, non solo per il grande pubblico, l’occasione di vedere dal vero due mitiche immagini, quelle che ormai fanno parte dell’immaginario collettivo: Newton (1795) e Urizen, The Ancient of the Days (1794) che sono per molti versi collegate. Quest'ultima, che è il frontespizio del celebre e apocalittico poema figurato Europe, a Prophecy, è un’incisione in rilievo che ci mostra, immerso in uno spazio di nuvole nere e fiammeggianti, un grande vecchio nudo con la barba al vento che inginocchiato sta prendendo le misure dell’universo con un grande compasso. È un essere mitico, un «anti-dio» istigatore del male e della guerra, che però ha un assoluto potere d’attrazione (anche per l’artista). Quello che colpisce di più è la incredibile energia immaginifica che emana, ancora oggi, questa piccolissima opera di appena ventitré centimetri per diciassette. Altrettanto affascinante è il ritratto idealizzato di Newton, nudo come un eroe greco e seduto su una roccia, che sta tracciando con un compasso delle linee su un rotolo di carta. In queste due opere c’è in tutta la sua intensità e enigmaticità il grande mistero spazio-temporale del Cosmo.

Se i due poemi profetici dedicati all’Europa e all’America sono la punta estrema della visione mistica e apocalittica di Blake, al polo opposto si può mettere l’incantevole raccolta di immagini e poesie per l’infanzia dei Songs of Innocence (1789), di piccolissimo formato, tra cui The Tyger è la più nota, studiata a scuola da tutti i bambini inglesi. Oltre a quelle citate, le serie di incisioni acquerellate più notevoli sono da un lato le illustrazioni della Divina Commedia, del Paradiso Perduto di Milton, e della Bibbia (in particolare del libro di Giobbe), e dall’altro le grandi stampe anch’esse colorate tra cui la meravigliosa allegoria The Pity (1805) con una fanciulla sdraiata morta la cui anima è raccolta e portata in cielo, un’immagine che sembra l’Ofelia dipinta mezzo secolo dopo Millais, esponente di quel gruppo preraffaellita che aveva elevato Blake a proprio nume tutelare.

Nell'ultima sala della mostra sono proposti alcuni esempi di opere contemporanee ispirate a Blake tra cui il film di Jarmusch Dead Man, il cui protagonista si chiama come l’artista, e un drammatico ritratto realizzato da Francis Bacon, nel 1953 (purtroppo c’è solo la litografia) a partire dal calco della testa che Blake si era fatto fare nel 1823, presente anch’esso in mostra in una vetrina con altri ritratti disegnati da amici artisti. È un volto dai tratti squadrati, arcigno, con gli occhi chiusi, tutto rivolto verso l’interno, verso l’inferno e il paradiso del suo immaginario.






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