'Viaggiatori stranieri in Sicilia nella seconda metà dell'800"
Data: Giovedì, 09 aprile 2009 ore 02:00:00 CEST
Argomento: Istituzioni Scolastiche


La Sicilia è stata sempre appellata, sin dai tempi più remoti, come la terra della mafia e del banditismo. All’estero,

quando si parla di mafia, ci si riferisce spesso ai delitti commessi contro Falcone e Borsellino, ma che cos’è la mafia

e quali sono le sue origini? E il banditismo quale ruolo ha avuto in Sicilia? Se è difficile per un siciliano capire l’essenza

di questi due fenomeni, figuriamoci a metà Ottocento cosa potevano captare e come, i viaggiatori stranieri

che arrivavano in questa terra aspra e selvaggia, fatta di sequestri di persona e morti violente! Essi appartenevano

sempre alla cultura del Grand Tour, cioè il viaggiare per allargare i propri orizzonti del sapere, ma in loro, c’era

anche il desiderio di capire cosa stava succedendo in Sicilia. D’altra parte il "Times" di Londra aveva già parlato di

banditismo e mafia. Comunque è assai interessante scoprire come questi turisti più o meno sfaccendati, percorressero

le nostre strade e guardassero con curiosità quello che noi non riusciamo a vedere per abitudine, o ad

apprezzare. Questi i temi affrontati dalla Dott.ssa Maria Laura Pennisi (foto), dottoranda

del dipartimento Scienze della cultura, dell’uomo e del territorio, della Facoltà

di Lingue e Letterature Straniere di Catania presieduta dal Professore Nunzio

Famoso, alla Conferenza Annuale dell’ISHA tenutasi alla National University di

Maynooth in Irlanda, il 6 e il 7 marzo. Il convegno internazionale dell’ ISHA (Irish

Student History Association), organizzato dalla Irish Committee for Historical

Sciences, è il più importante incontro tra gli studiosi (tra ricercatori, professori, studenti

) di storia in Irlanda. Partecipano non solo le università irlandesi, ma anche

americane, inglesi, italiane ecc. Quest’anno hanno partecipato 55 studiosi provenienti

dal St. Antony’s College di Oxford, dal Mary Immaculate College di Limerick,

dalla National University di Galway, dal Trinity College di Dublino, dalla Queen’s

University di Belfast, dalla Northumbria University, dalla European University

Institute Florence, e, per la prima volta, dall’Università di Catania. I viaggiatori analizzati

dalla dottoressa Pennisi sono stati principalmente 3: Frances Elliot, Rene

Bazin e Gaston Vuillier, e tutti, sia per estrazione sociale, sia per elevazione culturale

differente, hanno dato una diversa interpretazione dei fenomeni su citati. E’

sicuramente interessante vedere come René Bazin, arrivato in Sicilia nel 1891, veda

la mafia dandone una doppia figurazione, aneddotica e sociologica. Per lui il brigantaggio siciliano è ormai inesistente,

e dimostra come una delle cause della sua nascita e sviluppo era stata la mala gestione del Regno borbonico.

Dunque uno straniero aveva saputo fare una giusta analisi della situazione, cosa non facile per un osservatore

momentaneo. La cosa però ci stupisce non in particolar modo, in quanto Bazin è figlio del suo tempo, l’epoca

naturalista, in cui fine di ogni studioso, era quello di "fotografare" la realtà, cioè di descriverla in maniera assolutamente

oggettiva. Quindi non può fare altro che giudicare ciò che vede: un mondo dove la gente è costretta a chiedere

alla mafia, il permesso per fare qualsiasi cosa ; un mondo dove la gente vede il mafioso come un vero signore

che bisogna rispettare; un mondo dove la legge vigente è l’omertà, di cui anche i bambini, sin da piccoli hanno

coscienza. E anche nei processi vige l’omertà: non si riesce, di solito, mai a scoprire chi sia l’assassino. Più attento

al problema mafia - brigantaggio, è invece G. Vuillier, giunto in Sicilia nel 1893, il quale, osservando le idee di N.

Colajanni, dà una lettura storicistica e sociologica del fenomeno

mafioso, da lui considerato un fatto nato nel Medioevo, come

forza organizzata che, continuamente oppressa dalla tirannide,

sfidava la giustizia e che non si era trasformata nel tempo e

sopravviveva ancora. Quindi è un qualcosa "che è nel sangue e,

si può dire nei costumi". Attinge anche alla letteratura locale. Parla

anche dell’omertà, tenendo conto certamente delle chiose di

Giuseppe Pitrè. La nostra Milady, Frances Elliot, invece, arrivata

in Sicilia nel 1879, sembra essere una donna molto dura e snob;

certamente è cresciuta in una realtà molto diversa da quella siciliana

per capirne realmente i problemi. Le sue affermazioni sono

quindi prive di ogni riscontro obiettivo, a differenza di quelle di

Bazin e, in fondo, ella non ha alcun interesse a capire il comportamento

dei siciliani! Lei è in Sicilia per diletto, per svago, sta

facendo un viaggio, a più di cinquanta anni, per mettere a confronto

ciò che ha studiato sui libri e la realtà che le si presenta

davanti. La sua grande fame di conoscenza arriva fino ad occuparsi

del problema mafia, di cui ha capito il codice e il potere. Per

Frances, la mafia è segno di un distacco dei siciliani dai popoli

civili. Infatti i siciliani sono da lei chiamati "pirati, squali, briganti,

bugiardi, bestie", tutti indistintamente, e sono quindi catalogati

come tali, come se non ci fosse alcuna speranza per loro e per la

loro terra. Attraverso questi stranieri che hanno visitato nella

seconda metà dell’Ottocento la nostra isola, dunque, possiamo

riscontrare quattro diversi archetipi di viaggiatore: un attento

osservatore della realtà sociale, Bazin; un profondo conoscitore -

grazie anche alla sua amicizia con G. Pitrè - della situazione isolana,

Vuillier; ed infine una nobildonna abituata a guardare dall’alto

in basso la gente del luogo, perché infarcita di preconcetti e

prevenzioni, F. Elliot. Tutto ciò è servito a far comprendere come,

in fondo, viaggi simili, possano provocare sensazioni assai differenti

in tipi umani caratterizzati da indoli diverse. Cambiano i

tempi, ma gli uomini no!

Corrado Patti da AKIS







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