AL TEATRO VASCELLO "DIALOGHI CON LEUCO'"di Cesare Pavese
Data: Sabato, 28 marzo 2009 ore 07:38:56 CET
Argomento: Rassegna stampa


L’amore, la morte, la poesia dell’istante, la natura degli dèi e l’origine degli uomini: queste le tematiche affrontate da Cesare Pavese in “Dialoghi con Leucò”, opera lungamente maturata e pubblicata nel 1947, che Pavese riteneva la sua più importante e duratura.

Una voce rimanda le parole di Pavese mentre sul bianco accecante che ricopre le superfici della scena scorrono, ora lente ora fuggevoli, le scure ombre di uomini e donne ; si espandono e contraggono e pulsando, in questo mutare continuo di forme, sembrano parlare di forza e impotenza, della condizione umana. L’uomo e le sue paure e gli esorcismi contro di esse, dal volto soprannaturale e divino ; l’uomo e le sue proiezioni sulle cose, l’ansia del destino e del nome, che protegge e rende umano, che innalza le cose dal loro informe essere, e le rende divinità ; il mortale e l’immortale, tutto ciò di cui parla Pavese in quest’opera che avrebbe inizialmente voluto chiamare Uomini e dei, si fronteggiano attraverso i personaggi del mito greco, che ne sono solo i mirabili exempla, validi per tutti e a tutti noti, territorio in cui cercare quel “segreto di qualcosa che tutti ricordano, tutti ammirano un po’ straccamente e ci sbadigliano un sorriso”
Manuela Kustermann e la Fabbrica dell’attore di questo corpus di 27 dialoghi, ne hanno selezionati sette interamente riproposti (I ciechi, Il fiore, Schiuma d’onda, L’inconsolabile, L’isola, La vigna, Il mistero) più un frammento della conclusione de Le streghe, dialogo tra Circe e la Leucotea che dà titolo all’opera : poche, bellissime parole, in cui vengono toccati tutti i nodi che compongono i Dialoghi, poi ripresi secondo diversi punti di vista e varie argomentazioni : la vita e il tempo e il destino, il nome e il ricordo.
Tutto è parola, parola sopra ogni cosa e lo spettacolo sembra svolgersi soprattutto nella caverna della mente, aperta alla riflessione, all’analisi del se stesso che ogni lettore-spettatore ritrova allo specchio nei personaggi del mito. La forte schiettezza della parola di Pavese è tale che non dispiacerebbe abbandonarsi ad essa sola, chiudendo gli occhi e immaginando il proprio spettacolo interiore. Per fortuna il condizionale rimane lo specchio di un’ipotesi sfiorata, perché la Kustermann, pur con una regia essenziale e silenziosa, e forse soprattutto per questo, ci permetti di cogliere e meditare il senso, creando un’atmosfera più che un mondo di immagini, creando una culla per lo spettacolo dei sensi a venire : spettacolo di cui ci rimane l’impressione di colori che riflettono sulla bianca atmosfera, lieve fragore di oggetti spostati, flussi e riflussi di tonfi, di corpi che cadono, che vivono, ancora e ancora. Essenziale ed elegante spettacolo che ha il merito di riproporci un tuffo nel genio di Pavese, un tuffo in un mondo di uomini e dei che ci guardano e ci riguardano, che a volte è spiacevole confessare, che a volte è necessario riconoscere.







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