"LA CASA DI OLGIATE'', INEDITI DI MONTALE ( 1978-1980)
Data: Luned́, 23 marzo 2009 ore 07:34:05 CET
Argomento: Rassegna stampa


"In quel tempo era ancora vivo

il piccolo Tonino nella casa

alta sul cavalcavia.

Io la vedevo, la casa, dall’autostrada,

ignorando te e lui:non mi balzava

il cuore come adesso. L’ignoranza

mia occultava l’avvenire, il fil –

di – ferro del domani, là giunti, si troncava.



V’entrai molti anni dopo

( il bimbo era morto da tanto,

sussurrando “ mi duole per te, mamma” ),

conobbi l’orto, il giardiniere, il tuo

boudoir di diciottenne, disammobiliato,

l’impronta appena visibile di un cerchio sul muro – lo specchio -,

e non potevo parlare. Tra quelle stanze

una parte alitante di te mi bastava.



Il trillo del tuo cardellino più tardi si spense

all’ombra del giglio rosso da me lasciato.

Famelico delle tue tracce mia affaccio su rettangoli

di verze, su cespugli di dalie impolverate,

e il vecchio custode mi segue, più inebetito di me

nei corridoi, nel solaio mentre dal basso giunge

un crepitare isocrono di macchine,

ma non bava d’aria nell’afa.



Così i destini s’annodano, mia tigre, e intanto tu

dietro le lenti affumicate spii

nugoli pigri e sull’Olona putrido

l’efflorescenza dei disinfestanti.

Si snodano i destini. Mai da me intraveduto,

la tua casa friulana ora s’allarga

nel desiderio, l’aia dove incontro al futuro

il ruppe la tua infanzia, e già volava."

Una nuova sorpresa, del tutto inaspettata e dunque ancora più gradita, ci viene da Eugenio Montale: cinquantasei testi inediti composti dopo il 1963 (ma soprattutto dal 1978 al 1980) e conservati presso il Fondo Manoscritti dell'Università di Pavia, dov'erano approdati nel 2004 insieme ad altre carte e volumi del poeta, dono prezioso di Gina Tiossi.

Si tratta di versi che in buona parte vanno a integrare la produzione dell'ultimo Montale, quella più decisamente diaristica ed epigrammatica, di cui possiedono lo stile e la disinvolta, accattivante arguzia. Come è scritto nell'introduzione, ci presentano un Montale "ancora dotato di un vigore inestinguibile nel seguitare a raccordare le parole alle cose, a tener dietro con distaccata saggezza e persino allegro disincanto al registro delle vicende quotidiane della cronaca e della storia, a dialogare, come è stato detto, con la fine del mondo".

Sia come sia, ecco un libro che forse non aggiunge niente alla statura di Montale, se lo si guarda freddamente, ma che riesce comunque a dare una speciale emozione, a cominciare da quelle pagine di quaderno riprodotte nel libro, segnate da una calligrafia che denuncia "la fatica di una scrittura oramai prossima al traguardo, sempre piu' rastremata, compendiaria, compromessa dalla estenuazione e dalla debilitazione dell'eta' e della malattia" (R.Cremante, nell'introduzione), per arrivare al testo che da' il titolo alla raccolta, e che forse da solo vale la spesa del libro, la cospicua "Casa di Olgiate", in cui ritroviamo Montale al suo meglio. Non e' un caso pero' che questo testo, misteriosamente sfuggito a tutte le sillogi precedenti, risalga al 1963, ovvero a un periodo antecedente alla "svolta" dei "Diari" e del "Quaderno", e quindi forse per questo risalti nella sua lontananza dalle altre poesie del libro. Un testo che andra' indagato in maniera piu' approfondita, oltre le difficolta' ermeneutiche cui accenna Cremante anche nei riferimenti biografici e cronologici, ma di cui, come semplice lettore, posso almeno sottolineare l'ampio respiro, l'excursus temporale segnatamente narrativo, la sonorita', la felicita' dei giustamente famosi correlativi oggettivi montaliani.
Anche tra gli altri testi, spesso punteggiati da nere croci cimiteriali dove il logos si e' perso nell'incertezza della scrittura a mano e che segnalano la drammatica illeggibilita' di una parola, la sua perdita forse per sempre, e insieme il penoso sforzo del lettore di indovinare, anche qui dicevo ritroviamo bagliori improvvisi dell'ironia di Montale, della sua capacita' epigrammatica e di "riduzione", del suo laicismo irredento, ma anche una difficolta', una specie di "esaurimento" di fondo che e' impossibile non intravedere. Non e' facile capire se esso dipenda da una ispirazione sempre piu' legata allo stretto quotidiano e quindi in qualche modo ripetitiva, specie sui grandi temi, o dal fatto che questi brani debbano essere considerati come "ipotesti", come si suggerisce nell'introduzione, cioe' qualcosa suscettibile di "sviluppi talora imprevedibili" o abbozzi che nel gioco infinito delle varianti montaliane ha forse potuto (o avrebbe potuto) condurre a esiti tanto distanti da essere irriconoscibili. In tutto cio' il libro ha un valore documentale di grande rilievo, che a mio avviso pero' non aggiunge niente a Montale, ne' a quell'enorme deja-vu che e' il montalismo, il persistente e potente influsso che l'opera di Montale ha avuto sulla produzione poetica del Novecento (e oltre). Raramente nella storia della letteratura, non solo italiana, un autore ha avuto un tale peso sul lavoro degli altri poeti piu' o meno coetanei (la lista potrebbe essere lunga, Sereni, Fortini, Zanzotto, Saba, in misura piu' o meno rilevante). Ma si puo' anche dire che era impossibile che succedesse altrimenti, vista la statura del poeta. Che poi questo sia stato un bene e' tutto da discutere, se si accetta il pensiero che "togliendo il montalismo a quasi tutti i poeti del Novecento, resterebbe qualche briciola e qualche pietra preziosa. Con Montale resta un'intera miniera" (Guglielmin in un recente commento sul suo blog). Naturalmente non e' proprio cosi', se non altro perche' il montalismo non e' solo una questione di stile e di modi poetici, ma anche e forse soprattutto di "modelli" di interpretazione del reale, della modernita', di ricerca di risposte a domande importanti, modelli che si sono rivelati non solo anticipatori rispetto al lavoro di altri, ma anche particolarmente efficaci. Come tutti i modelli, anche quelli montaliani hanno avuto una vita proporzionale alla loro capacita' di resistere alla confutazione, fino a diventare parte della tradizione lettararia italiana. Come sappiamo, questa influenza e' stata massicciamente indagata dalla critica montaliana, che ha assunto a sua volta, nel tempo, una sua classicita'. I nomi sono molti, possiamo citare Solmi, Mengaldo e la lunga frequentazione di Contini. Vorrei qui ricordare, tra i molti anche recenti, il lavoro di particolare interesse di Guido Mazzoni "Forma e solitudine", in cui il critico affronta, oltre a Montale e in relazione a lui, anche le figure di Sereni e Fortini, grandi interpreti ma anche innovatori di una linea poetica che forse andrebbe sottratta alla gabbia degli "ismi" per essere riconsegnata a una tradizione in cui, eliotianamente, possa irrompere il nuovo.
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