LA CRISI DELLA NARRATIVA ITALIANA
Data: Lunedì, 23 marzo 2009 ore 00:00:00 CET
Argomento: Rassegna stampa


La crisi della narrativa italiana

di Roberto Carnero*

A trent'anni di distanza dalla nascita della 'giovane narrativa italiana', questa categoria critica ed editoriale è entrata in crisi. Insomma, sembra essere finito il tempo del giovane scrittore. Come dimostra un convegno organizzato dal Premio Mondello.

C'erano una volta i 'giovani scrittori'. Una moda editoriale che comincia in Italia negli anni Ottanta, con autori come Pier Vittorio Tondelli, Enrico Palandri, Aldo Busi, Andrea De Carlo. Poi, nel decennio successivo, sarà la volta di scrittori come Silvia Ballestra, Giuseppe Culicchia, Enrico Brizzi. Romanzieri giovani che raccontavano storie di ragazzi e adolescenti.

Si tratta di un tipo di romanzi che il più delle volte riscuote presso i ragazzi un alto indice di gradimento, sia perché l'età anagrafica dei protagonisti è vicina a quella dei lettori (i primi sono infatti adolescenti o comunque giovani) e ciò favorisce un certo qual grado di identificazione, sia perché – come spiega Vittorio Spinazzola – in termini più ampi "l'interesse per la lettura di un romanzo nasce quando ci si sente coinvolti emotivamente nelle vicende di un protagonista sospeso fra la norma e l'antinorma, sia che affronti i casi della vita con spavalderia sia che li subisca con smarrimento, su sfondi ambientali familiari o esotici, in un clima di drammaticità incalzante o di allegria infrenabile". Un altro elemento che risulta accattivante è lo stile, spesso immediato, colloquiale, volutamente antiletterario e anticonvenzionale.

Fine del giovane scrittore

E oggi questo filone narrativo è ancora attuale? "La giovane narrativa non esiste più". Ne è convinto un critico che in questi anni è stato particolarmente attento al fenomeno, Filippo La Porta: "La giovinezza come 'classe sociale' si afferma in Occidente a partire dagli anni Cinquanta del Novecento, con la società del benessere, del tempo libero, degli studi prolungati. Il giovane diventa un soggetto con caratteristiche specifiche: rivoluzionario, ribelle o comunque antagonista. Dagli anni Ottanta, con il famigerato 'riflusso', assistiamo invece a una mutazione antropologica che continua tutt'oggi. La giovinezza in senso specifico tende a sparire, perché è tutta l'esistenza, anche quella degli adulti, ad acquistare le caratteristiche che prima erano tipiche della giovinezza: fluidità, flessibilità, continua capacità di adattamento". E la letteratura? "È venuta meno anche qui la centralità della categoria 'giovane' o 'giovanilistica'. In un caso come quello di Paolo Giordano, vincitore dello Strega con il romanzo La solitudine dei numeri primi (Mondadori, 2008), il fatto che l'autore sia giovane non è così significativo; nel caso di Federico Moccia (Scusa ma ti chiamo amore, Rizzoli, 2007), invece, l'autore non è giovane, anche se gioca a fare il giovane".

Non è del tutto d'accordo lo scrittore Antonio Scurati, che pone alcuni distinguo: "Se è vero che la giovinezza è un'invenzione romantica e oggi stiamo assistendo a una mutazione di paradigma generale, nel senso che ci sentiamo nella fase declinante di quella cultura, è altrettanto vero che, in fondo, siamo ancora degli epigoni del Romanticismo e viviamo ancora l'idea della giovinezza come mito fondativo della modernità. Siamo cioè immersi in un contesto culturale in cui il mito della giovinezza, o del giovanilismo, è tuttora molto forte. C'è un vero e proprio culto del presente, con la quotidiana prevalenza della cronaca sulla storia, del presente sul passato, cioè del giovane sull'adulto".

Ragazzi che non vogliono crescere

Ma in cosa consiste la peculiarità di questi 'giovani romanzi' rispetto alle classiche narrazioni di formazione (dal giovane Werther al giovane Holden)? Giovanni Rosa individua la peculiarità di questi romanzi di formazione degli ultimi anni, rispetto al paradigma tradizionale novecentesco del genere, nella mancanza, da parte dei protagonisti, di quella volontà di 'diventare grandi' che animava, per esempio, l'Agostino di Moravia o l'Arturo della Morante. Allora, spiega la studiosa, "il cammino intrapreso presupponeva come meta l'inserimento nell'universo collettivo che si apriva al di là di Procida o delle vacanze versiliane. Ora gli adulti annaspano peggio degli adolescenti, nessun progetto di vita può essere ricavato dai loro comportamenti miopi e arroganti". E non è certo un caso: la letteratura è sempre segno dei tempi.

La crisi della categoria della 'giovane letteratura' interessa anche il versante delle case editrici. Marco Cassini, direttore editoriale di Minimum Fax (uno dei marchi più attenti alla produzione 'di tendenza'), confessa di non essere minimamente interessato, nella sua ricerca di nuovi testi da pubblicare, all'età degli autori: "È passata questa moda, per fortuna. Il rischio altrimenti è quello di pubblicare quella letteratura giovanilistica che ha ormai segnato il passo. Per me la giovane età di chi scrive non è affatto un valore aggiunto".

Anche Nicola Lagioia, scrittore e consulente editoriale della casa diretta da Cassini, sostiene che ormai quella del 'giovane scrittore' non è molto di più che una categoria sociologica e caso mai commerciale, nulla avendo a che vedere con la dimensione letteraria e con la qualità stilistica delle opere in oggetto: "Perciò parlerei piuttosto di 'scrittori giovani' che di 'giovani scrittori': nel primo caso l'aggettivo 'giovane' è un dato accidentale e accessorio, mentre nel secondo è l'aspetto fondamentale, a scapito della reale tenuta e consistenza delle opere di cui si tratta".

Così, per amor di paradosso, lo scrittore Tiziano Scarpa afferma che il suo 'giovane scrittore' preferito è il poeta latino Catullo, morto più di duemila anni fa: "I suoi carmi sono una specie di 'blog' sulla Roma della prima metà del I secolo a. C., in cui c'è un po' di tutto: gli amori, le invidie, le gelosie, le depressioni, i pettegolezzi. Morto a trent'anni, Catullo è davvero uno scrittore giovane. Come lo sono stati Ugo Foscolo, Giacomo Leopardi, Pier Paolo Pasolini, all'età dei loro capolavori". Come a dire: i veri giovani sono i classici, cioè quei libri che continuano a parlare con voce fresca e nuova anche dopo molti secoli dall'epoca in cui sono stati scritti.

*Docente di Letteratura italiana contemporanea all'Università degli Studi di Milano.







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