Il pensiero di Charles Larmore
Data: Giovedì, 12 marzo 2009 ore 00:00:00 CET
Argomento: Rassegna stampa


Ci può essere politica senza filosofia politica? Può esistere una società priva di morale ed etica? In sintesi: ci può essere una civiltà senza filosofia? Forse ai ragazzi che sotto casa giocano a pallone tutto ciò può sembrare insulso, tuttavia senza il ragionare pallido e assorto dei filosofi la società -anche calcistica- non va da nessuna parte. Si prenda il Partito Democratico: la causa della sua crisi non consiste forse nella mancanza di un sistema culturale di riferimento, dopo il trasmutare in polvere del marx-leninismo e della Teologia della Liberazione? Il pensiero di Charles Larmore rappresenta il trait d’union tra liberalismo classico e la società liberal obamiana, pertanto le sue idee interessano una larga parte della politica e della cultura. La scuola di Alta formazione filosofica di Torino, diretta da Ugo Perone, ha ospitato Larmore in uno dei suoi seminari. Il testo di quelle conversazioni è ora in libreria, insieme al saggio “Metafisica e Modernità”, di Dieter Henrich. Larmore insegna alla Brown university, è discepolo di Quine e alcuni suoi libri sono stati tradotti in italiano per i tipi di Feltrinelli. Tuttavia questo testo sembra più vivo e utile di altri, per merito dell’autore e perché è scaturito dal tentativo di ricostituire l’unico serio modo di studiare e creare il sapere, quello praticato nell’Accademia e nel Liceo di Atene. Il titolo testimonia la matrice liberale: “Dare ragioni”, significa che la ragione non è un monolite imperturbabile di fronte alla storia e agli individui. Questa concezione ha segnato il tramonto della grande Ratio, al cui posto è sorta la Luna nera dell’irrazionalismo e dell’ignoranza. La strada delineata da Larmore è -come scrive Ugo Perone- “una via alternativa, al tempo stesso, all’assolutismo e al relativismo della verità”. In Larmore non c’è spazio nemmeno per lo scetticismo (laicista?) che “pretende per sé quella verità di cui nega in generale l’esistenza”.

Larmore non chiude le porte alla metafisica: “Io non credo che la metafisica sia morta. Non l’ho mai creduto, a dispetto di Heidegger, Carnap e altri, e penso che se la metafisica è morta allora anche la filosofia è morta” (p. 20). Nel pensiero politico non ci si dovrebbe basare su “tutta la verità”, ma piuttosto su una moralità “essenziale”. Weber aveva ragione nel pensare che la politica si regge sui rapporti di forza, ma ci si dovrebbe chiedere: “Quali sono le norme morali che dovrebbero regolare l’uso legittimo della forza?”. Si tratta di rifondare la tradizione liberale di J.S. Mill “distinguendola dalle aspirazioni morali piuttosto ambiziose che vi erano associate”. Riformulare il liberalismo in una forma più modesta, con John Rawls, non significa però affrancarlo in toto dalla morale. Talete ha detto due cose importanti, secondo Larmore. La prima consiste nel proporre un mondo naturale che non fa appello alla presenza e all’azione degli dei. Questa proposizione è ammissibile. La seconda affermazione di Talete è che il mondo deriva da un’unica sostanza, l’acqua. Questo assioma è sbagliato, ma ritorna costantemente in ogni teoria e azione umana, anche se al posto dell’acqua si mettono altri elementi o princìpi. Il punto di vista morale sull’azione politica “consiste nel vedere nel bene di un’altra persona una ragione per agire” (p. 28). Il secondo passaggio di questo atteggiamento morale tuttavia è “volere che ciascun altro agisca egualmente in base ad essa [la legge del bene]”. Si tratta cioè di obbligare gli altri a commettere il bene. È una visione tipica degli autoritarismi, degli stati fondati su religioni integraliste, e dei “partiti etici”. Larmore parte da un richiamo all’etica della responsabilità di Max Weber e al Kant del “test di universalizzabilità”. Ci dovremmo cioè chiedere se “potremmo volere che ciascuno agisca in base alla nostra massima, con tutto ciò che questo comporta”. Si passa poi al famoso dibattito tra Kant e Benjamin Constant, incentrato sul tema della politica e le bugie.

Secondo Kant non dovremmo mai dire bugie, perché se tutti dicessero bugie non ci sarebbe società. Se non c’è un modo univoco di ragionare moralmente non c’è più nemmeno un imperativo morale assoluto. Oggi la società cerca un’ancora di salvezza nella giurisprudenza, ma Kafka ha mostrato i limiti della Legge, dopo che questa è diventata talmente astratta da non poter più essere interpretata e umanizzata: è al di sopra di tutti, non uguale per tutti. E’ così come è descritta nel romanzo Il Processo, quando K viene schiacciato dai soffitti bassi e opprimenti del Tribunale. Dare ragioni significa che “Verità” può solo significare “corrispondenza” (p. 45), cioè che ogni Principio deve corrispondere con la realtà che ci circonda. L’opposto della cattiva politica. Larmore critica la morale hobbesiana del “vantaggio reciproco”, rappresentata come Tit-for-tat (colpo su colpo) dallo psicologo R. Axelrod in “The evolution of cooperation”. Si tratta di cooperare solo a certe condizioni, aspettando di vedere cosa fa l’altra persona: se coopera anche tu cooperi; se non collabora o reagisce in maniera aggressiva, allora si prendono contromisure.

Per Charles Larmore una filosofia sociale basata sull’utilitarismo reciproco è inadeguata, perché non coglie “i doveri che abbiamo nei confronti di coloro che non possono recarci vantaggio in alcun modo”. … Chiamo queste persone i Deboli. Questa concezione della morale non ammette i doveri nei confronti dei deboli e degli “estranei” e pertanto ha dei limiti“. Questo passaggio ”liberal“ è debole: non è infatti vero che aiutare i ”deboli“ e gli ”estranei“ non produca benefici. Si pensi al mondo cooperativistico, nel quale i deboli diventano fonte di reddito. Si pensi ai benefici psicologici ottenuti con la moderna caritas; si ricordino i benefici di immagine ottenuti dai partiti che si propongono come ”difensori degli oppressi“. Il tit for tat ha avuto infinite applicazioni, a partire dalle trincee della Prima guerra mondiale, quando francesi e tedeschi applicarono il tacito accordo di non sparare più per colpirsi… Da qui si delinea il discorso successivo di Larmore, dedicato al liberalismo politico e al rapporto tra storia e verità. ”Dare ragioni“ è una chiave moderna utile ad avere successo nella difficile carriera del vivere.

Paolo Della Sala

da www.l'opinione.it







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