CHE COSA SI INTENDE CON ''GRAVI PATOLOGIE'' IN CASO DI ASSENZA PER MALATTIA?
Data: Giovedì, 26 febbraio 2009 ore 00:05:00 CET
Argomento: Redazione


Gravi patologie : Bruna Omettere

Domanda

Nelle ultime circolari ministeriali relative alle gravi patologie si parla solamente di terapie salvavita e non più, come prima, di terapie temporaneamente invalidanti. Faccio un esempio concreto: a causa della riacutizzazione di una malattia cronica per la quale la commissione USL ha riconosciuto un'invalidità superiore ai due terzi, vengo sottoposta quando sto male a ossigenoterapia. E' ovvio che non posso andare in giro attaccata ad una bombola di ossigeno, anche perchè quando sto così non riesco nemmeno a muovermi e tantomeno a parlare. V'è da dire però che (per mia fortuna) senza ossigeno starei molto male, ma probabilmente non morirei. Ho diritto ai benefici previsti dal contratto (non computo dei giorni di assenza e nessuna trattenuta) oppure è da considerare "normale" malattia?

Risposta

L’assenza in parola, pur appartenendo in via generale allo schema legale dell’assenza tipica per malattia, sembrerebbe rientrare nel sottotipo, tassativamente enucleato e regolato, delle assenze per gravi patologie che richiedono terapie temporaneamente e/o parzialmente invalidanti. Terapie volte a consentire al paziente di evitare l’insorgenza di complicazioni che potrebbero ingenerare anche un eventuale decesso (c.d. terapie salvavita). La sostanza ontologica di tale sottotipo è inferibile, oltre che nel contratto (articolo 17, comma 9) anche nell’articolo 71, comma 1, del decreto legge 112/2008. Non vi è chi non veda, peraltro, che il soggetto portatore di grave patologia, in quanto tale, è maggiormente esposto all’alea del decesso rispetto al soggetto non portatore. Ed è proprio l’aumento del rischio di decesso che qualifica la grave patologia come tale e che induce il paziente ad accettare la possibilità di sottoporsi a terapie invalidati (in modo permanente o parziale) al fine di ridurre il numero delle probabilità che sopraggiunga la propria morte. Appare di lapalissiana evidenza, dunque, che sebbene la norma contrattuale e la norma di legge utilizzino espressioni lessicalmente diverse, non possano che fare riferimento alla medesima fattispecie. A nulla rilevando, evidentemente, la maggiore o minore quantità del livello di probabilità di decesso del portatore di grave patologia in assenza della terapia. Diversamente opinando si introdurrebbe una sorta di gerarchia, illogica quanto inopportuna, tra malati gravi, che subirebbero uno svantaggio economico per il solo fatto di trovarsi in una situazione patologica che non implica la certezza della morte in assenza di terapia. Certezza che, peraltro, non sussiste in senso assoluto, nemmeno per i malati terminali affetti da patologie irreversibili. L’elemento essenziale di natura oggettiva, dunque, non va individuato nell’effetto della terapia, quanto, invece, nella sussitenza della grave patologia associata alla condizione soggettiva di portatore di grave patologia. Condizione che può essere accertata solo ed esclusivamente dalla struttura sanitaria pubblica o, in alternativa, dal medico convenzionato con il servizio sanitario nazionale, il quale riveste la qualifica di pubblico ufficiale "in quanto svolge la sua attività, indipendentemente dal rapporto fiduciario esistente con il paziente per mezzo di poteri pubblicistici di certificazione" (Cassazione, VI sezione penale, n. 35836/2007).






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