NOSSIDE DI LOCRI DI MARIA ALLO
Data: Sabato, 14 febbraio 2009 ore 18:50:25 CET
Argomento: Rassegna stampa


(ANT. PALAT. LIBRO V - 170)

Nulla è più dolce d’amore; ed ogni altra gioia
viene dopo di lui: dalla bocca sputo anche il miele.
Così dice Nosside: e chi Cipride non amò,
non sa quali rose siano i fiori di lei.

Nosside afferma che l'unico significato della vita è nell'Amore; quanto la poetessa sostiene è così lapidario nella sua formulazione che sembra dettato apposta, in sintonia con l'originaria destinazione del genere epigrammatico, per essere scolpito nello spazio ristretto di una pietra. Osserva il Cazzaniga : "E' un precetto, una affermazione etica, un preannuncio, un messaggio come spiritualmente ed artisticamente riferito ad un 'qualcosa'". Da qui l'ipotesi dello stesso studioso che il componimento "apparisse come premesso all'inizio del volumen delle liriche
d'amore di Nosside" . Anche se suggestiva, l'ipotesi non pare accettabile; si direbbe piuttosto che è tratto distintivo dell'arte della poetessa cogliere con forza espressiva nel breve giro del "suo" epigramma, talvolta addirittura in un verso soltanto, come meglio diremo, un momento di vita, uno stato d'animo. Qui dichiara con efficacia incisiva il suo modo di sentire ; una dichiarazione che sollecita subito nell'animo del lettore il ricordo di Saffo - paradigmatico l'accenno alle rose - e Nosside forse vuoi già significare nel preambolo agli epigrammi la sua totale adesione al personaggio poetico e umano di altri tempi e di altra terra cui vuoi legare in eterno il proprio nome. Più apertamente Nosside lega il suo nome a quello della grande Saffo nell'epilogo del suo canzoniere.
L'epigramma (VII 718) ha tutti i tratti caratteristici dell'epitimbio. La poetessa, chiusa nella sua tomba, apostrofa un navigante che veleggia diretto a Mitilene: "... riferisci che io fui cara alle Muse ... nata da donna locrese ... il mio nome è Nosside". Risulta riprodotto, come si vede, lo schema canonico dell'epigramma funerario. Ma il componimento, uno del più belli della silloge, chiaro nella sua esterna cornice, ha sempre sollevato gravi difficoltà di interpretazione, insite nel fondo dei contenuti, specialmente perché, sempre più manomesso via via nel corso dei secoli, è giunto a noi sovraccarico di congetture diverse e contrastanti. Recentemente, due nostri studiosi sono riusciti a risolvere quasi tutte le incertezze esegetiche riconducendo il testo nell'alveo della sua originaria lezione. Eliminate le inutili incrostazioni specialmente dei primi due versi, produttive fra l'altro di assurde ipotesi (sarebbero state due le poetesse con lo stesso nome, una Nosside contemporanea di Saffo, un'altra recenziore) il senso corre ormai chiaro. Nosside, a chiusura del suo libro, avverte il bisogno di lasciare un documento della sua sconfinata ammirazione nei confronti della incomparabile personalità poetica di Saffo. L'ammirazione si stempera, nel breve giro di un distico, in un commosso saluto dove in filigrana sotto sotto è da leggere anche un giudizio acutissimo sulle singolari qualità poetiche della grande Saffo. Un saluto immaginariamente scolpito sulla pietra a ricordo di sé (anche Nosside fu amica delle Muse), ma specialmente a ricordo della maestra amata e sognata che qualche secolo prima aveva con diverso vigore fantastico esaltato nel suo canto immortale il medesimo ideale di vita: il primato di Amore su ogni altro bene. Ma Nosside non pretende - come a torto qualcuno ha interpretato - di proclamarsi uguale a Saffo; sa bene di non poter reggere al confronto. Avverte soltanto l'orgoglio della sua, quale che sia, dimensione di poetessa nell'ambito del genere epigrammatico. Altre cose sono le qualità della poesia: qui Saffo non ha rivali. Non risiedono infatti nelle qualità poetiche le tangenze che la poetessa di Locri avverte quando unisce il suo nome a quello di Saffo; il punto d'incontro che Nosside sente nel profondo di sé risiede, semmai, nella sua condizione esistenziale vissuta a Locri sul ritmo di momenti e aspetti di vita in qualche modo affini a quelli di Saffo.
Dicevamo del giudizio sulla poesia di Saffo che traluce anche nel messaggio affidato al navigante. A Mitilene, dove è diretto, egli "potrà infiammarsi al fiore delle grazie poetiche di Saffo" . Una poesia che infiamma ed incanta: la singolarità del canto della grande poetessa è colta in un solo verso con sorprendente acutezza. Più tardi Plutarco, forse ricordando il pensiero di Nosside, scriverà: "Saffo dice parole veramente mescolate col fuoco e con le sue parole manifesta l'ardore del suo animo"; e ancora: "Non vedi quanta grazia hanno i carmi di Saffo che incantano e ammaliano gli uditori?" . Plutarco s'attarda a descrivere minuziosamente (e ricorrendo anche ad una immagine grottesca: il paragone con Caco che getta fuoco dalla bocca!) quanto invece Nosside con singolare forza espressiva riesce a disegnare in un verso soltanto. Disegnare infatti (non descrivere) nel breve giro di due distici (una misura ereditata da Anite?) e, talvolta, in un solo verso (le armi che stanno nei templi a cantare la gloria del Locresi, la poesia di Saffo che infiamma ...) un momento di vita, uno stato d'animo, l'intima essenza di una situazione, la spiritualità di una figura, questo è forse l'aspetto più indicativo della personalità artistica di Nosside.
Nosside nel gruppo degli epigrammi votivi (tutti composti per donne, ad eccezione di VI 132) evoca l'immagine di un vivere aristocratico ed elegante trascorso nella cerchia di poche amiche fra oggetti raffinati, ricami, ornamenti, profumi. Il velo di bisso tessuto da madre e figlia ed offerto ad Era Lacinia, l'indumento artisticamente ricamato, donato da Sàmita ad Afrodite, tolto alla propria chioma e che profuma dello stesso unguento adoperato dalla dea per aspergere Adone (VI 275), la statuetta di legno rifinita in oro, raffigurante Afrodite, che l'etera Poliarchide donò appunto alla dea (IX 332), mandano fino a noi una eco soltanto - tenue e sfumata - dell'ambiente aristocratico di Locri dove la donna, sulla linea anche di tradizioni arcaiche di vita non ancora del tutto scomparse (il matriarcato di cui è cenno al verso 4 di VI 265), si configura in una sua particolare dimensione umana e sociale. Di quattro di queste donne, amiche della poetessa, tutte dame dell'aristocrazia locrese (i nomi sono tutti aristocratici),

Straniero, se navigando ti recherai a Mitilene dai bei cori,
per cogliervi il fior fiore delle grazie di Saffo,
dì che fui cara alle Muse, e la terra Locrese mi generò.
Il mio nome, ricordalo, è Nosside. Ora va’!

(ANT. PALAT. LIBRO IX - 332)









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