A scuola senza limiti di... rumori
Data: Giovedì, 12 febbraio 2009 ore 12:43:15 CET
Argomento: Comunicati


Piluccando tra i campi di internet alla ricerca di prezzemolo scolastico, ci colpisce la lettera di una professoressa del nord pubblicata dentro un importante sito e così intitolata: a scuola di… peti. Titolo rigoglioso, come si vede, e che abbiamo subito voluto cogliere per offrirlo, con qualche commento, ad altri lettori: “Nel mio istituto”, inizia la docente, “un professionale alberghiero di buona tradizione, non è raro che i ragazzi si cimentino in una competizione di sicuro successo che, se non erro, risulta essere abbastanza in uso nelle istituzioni carcerarie: la gara dei peti. Partita da un iniziale solista di sesso maschile, contagia presto i vicini (di banco, ovviamente) fino a sfociare in una vera e propria gara. Non chiedetemi come il peto possa essere indotto. Pare che la cosa sia possibile e che esistano in materia dei veri e propri specialisti. O, meglio, per restare nell’ambito scolastico, allievi che hanno raggiunto le abilità e le competenze sufficienti per condurre questo singolare concerto.” E poi la docente aggiunge con raccapriccio: “Quello che sconcerta è che non si tratta di una sfida, di una manifestazione di dissenso verso qualcosa o qualcuno, di una provocazione. Collocato in un ambito di contestazione, il peto avrebbe una sua ragione, certamente non poetica, ma quanto meno comprensibile. Nulla di tutto questo. Il peto, esattamente come il ruminare in classe o quant’altro, non appare poi come esternazione tanto strana. Non esiste ora nella scuola soltanto una anormalità vistosa, truculenta e spesso violenta, ma anche una normalità anormale che si potrebbe tacciare di semplice maleducazione, ponendo in capo alla famiglie l’intera responsabilità, se non riuscisse comunque difficile pensare che tali minimi elementi di comportamento non fossero stati trasmessi anche nella più umile delle famiglie.” E in effetti in nessuna famiglia, in presenza, nel più delicato dei casi, di un ospite, nessuno dei suoi componenti si sognerebbe di mettersi a scoreggiare e men che mai a fare gara fra chi li spara più rumorosi; invece in classe tale pratica pare non offenda le orecchie di nessuno dei ragazzi, anzi, ci diceva una collega, a lei è capitato di essere accolta proprio con un concertino di tale disgustosa natura e che a intermittenza si accendeva a seconda dei momenti. Difficile in questa caso capire se fossero segnali di protesta o di disistima nei suoi confronti o se manifestassero invece naturali espressioni di linguaggio per affermare la propria presenza in classe e la partecipazione al dialogo educativo. Sicuramente il non addetto ai lavori per questa patologia avrà una risolutiva ricetta e ne avrà anche altre per chi vuole tenere il berretto in classe, non si alza quando l’insegnate entra, non viene alle interrogazioni, va in bagno senza permesso, ventila insulti o scartabella male parole, ma senza chiedersi se tutto ciò rientri in quel normale anormale di cui oggi la scuola è infarcita. Ma anche mangiare durante la lezione, giocare a carte nei momenti più impensati, filtrare senza pudore o intrufolarsi nelle altre classi per il semplice piacere di disturbare altri insegnanti fa parte del costume in diffusione negli istituti. Dove sta il problema allora? Dov’è l’inghippo? Il tappo che ingorga la scuola? Lo chiediamo con modestia a chi tuona contro i professori, accusandoli di essere inefficaci nello loro azione educativa, permissivi, compromessi, deboli e pure strafottenti. Tranne che non si impongano ai docenti test attitudinali, sul tipo di quelli in uso nella polizia, perché pare che questa china stia prendendo la nobile professione di Socrate: quella del detective. Nella gara dei peti tuttavia, si potrebbero richiedere invece test attitudinali sul tipo in voga con gli aspiranti arbitri o con chi si candida per dirigere un’orchestra, al di là degli strumenti usati.

 

PASQUALE ALMIRANTE







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