DIZIONARIO DEL CORPO: INTERVISTA ALLA FILOSOFA MICHELA MARZANO
Data: Mercoledì, 04 febbraio 2009 ore 00:05:00 CET
Argomento: Rassegna stampa


DIZIONARIO DEL CORPO:INTERVISTA ALLA FILOSOFA MICHELA MARZANO

Il corpo è la mistica della contemporaneità. Belli, in salute, infiniti, questo vorremmo essere. ‘Body is everything’, il corpo è tutto, è dappertutto. Nudo, fotografato, esposto. Un culto però da maneggiare e manipolare: bisturi per correggerlo, ginnastica per migliorarlo, medicine per guarirlo e fermarlo nel tempo. La controfigura dell’anima non può sfigurare. È un lessico complicato più che famigliare: lo usiamo, ma conoscerlo è un’altra cosa. Contraccezione, allattamento, obesità, handicap. Piercing, harem, webcam, stampa, sciamanesimo. Francis Bacon, Fellini, Barbie, Pinocchio. Il corpo ha parecchie parole per raccontarsi, in una società che ama mischiare e confondere i linguaggi. Michela Marzano, filosofa italiana che vive e lavora a Parigi, ha raccolto dalla A di astinenza alla X di xenotrapianto, le definizioni, le idee, le interpretazioni, i fatti attorno al corpo. Nel suo Dictionnaire du corps le parole per dirlo: 300 articoli, 200 autori tra filosofi, teologi, pubblicitari, storici, artisti, poeti. Un vocabolario tematico e interdisciplinare, oltre mille pagine, un chilo di peso. Taglia extralarge. Pubblicazione scientifica, che va in vetrina accanto alla fiction. E vende. In televisione fa audience.

A chi si rivolge un libro così?

“Ai tecnici, ma anche a tutti coloro che vogliono capire di che cosa si discute quando si ragiona di corpo. Un tema centrale di questa epoca, ma alla maggior parte di noi sfugge il senso. Sfogliamo le riviste, si parla di diete, botox, creme e cure. Il corpo è diventato un supermarket, una cattedrale e un monumento del nostro quotidiano. Dentro si mischiano pratiche e significati, commerci e simboli. Tutto quello che guardiamo e leggiamo, consumiamo e pensiamo ha a che fare con il corpo. Meglio: ha a che fare con la nostra volontà di controllarlo. Esibire un corpo più che gradevole è diventata la prova più evidente della nostra capacità di gestire la vita”.

Un corpo curato facilita il successo?

“È garanzia di successo, umano e professionale. Proteggerlo dai segni e mantenerlo attivo è un impegno e una missione centrali, l’obiettivo stesso dell’esistenza. È che in tutto questo alla fine sfugge l’oggetto sul quale ci si accanisce: il fitness, la chirurgia estetica, l’alimentazione, la moda non parlano del nostro essere incarnati, ma di un qualcosa di idealizzato e astratto”.

Un corpo icona?

“Sì. Che l’industria dello spettacolo, della bellezza, della scienza celebra come fine. La nostra società è condizionata da questi modelli, e si vede dai sintomi che abbiamo sviluppato, dalle nuove patologie dell’era dell’immagine: anoressia e bulimia, le varie addiction, i comportamenti compulsivi, ansia, depressione”.

Malattie dell’anima, prima di tutto.

“Della coscienza: anche se tutto sembra bello e possibile, rimane la consapevolezza che non si arriverà mai a coincidere con il corpo ideale. Quello da esposizione, senza tracce e senza storia, oliato, atletico. Il corpo prodotto, da stappare come una Coca Cola e cambiare come una t-shirt. Involucro, display, packaging dell’essere. Scultura del sé, magnifica. Un confronto per cui ci vuole il fisico, come si dice”.

Però inesistente, immaginario.

“Virtuale, per l’esattezza. È la ragione per cui va bene Second Life, il gioco on line in 3D dove ci si può costruire un alter ego, un avatar che specchi i nostri desideri, la nostra ambizione a essere altro. Più belli, più giovani, ricchi, altrove. Il corpo trasloca da un’altra parte, lontano e inaccessibile. In una doppia vita, appunto. La fotocopia tecnologica dell’idea di Platone: la vita vera è una vita senza corpo. Perché questo è il suo statuto oggi: un essere smaterializzato, che ha perso la sua coscienza carnale. Da qui nasce la schizofrenia del nostro quotidiano”.

Eppure negli spot la salute è prorompente. C’è immanenza, sessualità, carnalità. Dove si interrompe il benessere?

“Nel punto in cui non ammettiamo più i limiti, la finitezza. Persino l’idea che si debba morire svanisce. La sofferenza, il malessere, la tristezza non sono più permesse nella nostra cultura terapeutica, qualsiasi ruga della vita viene anestetizzata col Prozac. Invecchiare è impossibile, il bisturi corregge l’errore della natura. E appunto la morte, tutto sommato, non esiste, il corpo divino non crepa mai. Le ‘isteriche’ di Freud erano donne che non avevano possibilità di accedere al desiderio, la società puritana in cui vivevano non lo permetteva. Oggi la saturazione del desiderio ha spazzato via l’isteria, e portato nuove patologie, tutte connesse alla disperata ricerca di un’impossibile sazietà”.

L’insistenza sulla perfezione ha molte conseguenze. Le modelle muoiono di anoressia, ora anche gli uomini. Ha una spiegazione per questa ossessione?

“Le femministe americane ce l’hanno. Dicono che è politica la manìa della bellezza: le diete, il fitness a tutti i costi, la felicità patinata non sono altro che modi per togliere energie e concentrazione alle donne, che così non ne hanno di residue per affermarsi realmente. Tutto questo ha anche conseguenze economiche: le donne sono consumatrici asservite. La pubblicità ha campo libero, la chirurgia estetica arricchisce, la scienza spera.

Mamme a 67 anni, ma c’è da sbizzarrirsi nel bricolage della procreazione medicalizzata. Adolescenti che si attrezzano prima che il tempo le sciupi, il ritocco lo fanno intorno ai 20. Uomini depilati, addolciti, asessuati. Donne bambine, Lolite, Barbie, giocattolo che non si rompe però stanca, e allora via avanti un’altra. Manipolazione, manutenzione, plastificazione. Affermarsi è sorpassare la realtà biologica, e questa è l’illusione che si vuole vendere”.

Il corpo come strumento anche politico?

“Il doping non sveltisce soltanto i muscoli, droga la realtà. I tailleurs bianchi ed eleganti non sono tutta Ségolène (anche se per molti sì). I trapianti di capelli di Berlusconi non sono solo estetici, sono un programma: giovinezza, durata, forza. Gli interventi sul corpo sono messaggi e informazione, spesso per cambiare discorso o non dire la verità. La questione filosofica che c’è dietro è complessa: da una parte è un oggetto del mondo che ha un suo spazio ed evolve, dall’altra e nello stesso tempo è un oggetto che noi siamo. È in questa dialettica che sta la persona. È in questo delicato equilibrio tra l’avere ed essere corpo che l’individuo emerge. È con il corpo che noi incontriamo gli altri e diventiamo. Oggi la sacralizzazione dell’immagine sta pregiudicando la stessa evoluzione: non abbiamo più corpi che sentono e soffrono e sono soggetti alla storia, ma strumenti che non attraversano più l’esperienza. Il paradosso insolvibile è che da una parte il corpo è carne da trattare, dall’altra assoluta impalpabilità, volatilità. L’arte contemporanea è spirituale, immateriale, il corpo è il grande assente. La body art e l’arte biotech lo trasformano in opera. Il corpo che abbiamo e siamo non c’è più, è l’oggetto dimenticato del nostro tempo”.

Tranne che alla voce pornografia.

“Pornografia e violenza fioriscono perché i corpi sono finti, non vivi. C’è stata un’evoluzione dagli anni ‘70 a oggi dell’immagine pornografica: dal mostrare quello che è negato alla violenza cruda e materica. Su Internet si sente questa riduzione al corpo-cosa: il linguaggio è reificante, i verbi sono cacciare, smontare, fare esplodere. La donna è un pezzo di carne da riempire, ma anche gli uomini sono ridotti al loro sesso strumento”.

Vedere alla voce P del dizionario, Pasolini.

“Ci sono molte profezie nelle sue parole, come quelle del convegno del 1973 a Bologna su ‘Erotismo, eversione, merce’. Lì disse che ‘anche la realtà dei corpi innocenti è stata violata, manipolata, manomessa dal potere consumistico; anzi, tale violenza sui corpi è diventato il dato più macroscopico della nuova epoca umana’.

Una visione davvero lungimirante. Che ci consiglia di sfogliare indietro, alla A come amore, voce artigianale e un po’ rétro. Eppure noi ci salviamo lì”.







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