''SE QUESTO E' UN UOMO'' di PRIMO LEVI
Data: Marted́, 27 gennaio 2009 ore 00:05:00 CET
Argomento: Rassegna stampa


SE QUESTO E' UN UOMO

 

Voi che vivete sicuri

Nelle vostre tiepide case,

Voi che trovate tornando a sera

Il cibo caldo e visi amici:

Considerate se questo è un uomo

Che lavora nel fango

Che non conosce pace

Che lotta per mezzo pane

Che muore per un si o per un no.

Considerate se questa è una donna,

Senza capelli e senza nome

Senza più forza di ricordare

Vuoti gli occhi e freddo il grembo

Come una rana d'inverno.

Meditate che questo è stato:

Vi comando queste parole.

Scolpitele nel vostro cuore

Stando in casa andando per via,

Coricandovi alzandovi;

Ripetetele ai vostri figli.

O vi si sfaccia la casa,

 La malattia vi impedisca,

I vostri nati torcano il viso da voi.

PRIMO LEVI

 

 

Se questo è un uomo di Primo Levi


"Ogni uomo civile è tenuto a sapere che Auschwitz è esistito, e che cosa vi è stato perpetrato: se comprendere è impossibile, conoscere è necessario". Nel Giorno della Memoria, omaggio al grande scrittore ebreo Primo Levi, testimone dell’orrore dei lager nazisti e autore del capolavoro mondiale Se questo è un uomo.
 

 Quando la mattina del 27 gennaio 1945 le truppe dell’Armata Rossa raggiungono Auschwitz, in Polonia, trovano davanti ai loro occhi la follia e la morte. Il campo di concentramento di Auschwitz è stato scoperto, i suoi cancelli abbattuti e per la prima volta si rivela l’orrore del genocidio nazista: lo sterminio sistematico del popolo Ebreo.

Tra i superstiti che si aggirano tra le rovine del campo c’è anche il prigioniero numero 174517. Tatuato sul braccio sinistro e segno inconfondibile dell’appartenenza ai campi di concentramento, questo anonimo numero di matricola sostituirà, per due lunghi e terribili inverni, il nome e l’identità di questo prigioniero: Primo Levi.

Testimone dell’orrore dei lager nazisti e autore del capolavoro mondiale Se questo è un uomo, Primo Levi, chimico torinese nato nel 1919, è uno degli scrittori più noti e più importanti della nostra letteratura italiana del Novecento.

Raccontare e tramandare alle future generazioni la follia dei campi di sterminio è un dovere e una necessità: la preziosa testimonianza di Primo Levi ne è un esempio. La memoria è e rimane infatti uno strumento potentissimo.

E’ il 13 dicembre del 1943 quando Primo Levi, appena ventiquattrenne, partigiano ed ebreo, viene catturato dalla milizia fascista e trasferito nel campo di Fossoli. Consegnato ai nazisti, da qui partirà per essere deportato ad Auschwitz dove arriverà il 22 febbraio 1944, data che segnerà per sempre la sua vita. E’ la data d’inizio del suo inferno.

 Levi viene deportato nel campo di Monowitz, un lager satellite dello sterminato complesso di Auschwitz dove aveva sede l’impianto Buna-Werke, una fabbrica di gomma, proprietà della I.G.Farben. I campi di concentramento infatti oltre ad essere fabbriche di morte erano anche il cuore dell’industria bellica tedesca, perché ad essi e alla loro manodopera strettamente legata.

Per una serie di circostanze fortunate Levi riuscirà a sopravvivere al Lager. Il 1944 infatti è l’anno in cui il governo tedesco, per mancanza di manodopera, sospenderà le uccisioni arbitrarie allungando la vita media dei prigionieri. A questo si aggiungerà la sua laurea in chimica, fondamentale per il lavoro all’interno della fabbrica.

Al suo ritorno, dopo un lungo viaggio attraverso l’Europa dell’Est, Levi sente il bisogno di raccontare il suo dolore e tutto quello che i suoi occhi hanno visto, in una sorta di liberazione interiore. Nasce così Se questo è un uomo, pubblicato nel 1947, un libro che ha alle spalle una sofferenza personale profonda e milioni di morti.

 Nella narrativa di memoria sulla Shoah, che nella nostra letteratura ha un posto a sé, Se questo è un uomo è contemporaneamente un documento storico, perché testimonianza sul periodo più buio della storia mondiale, e un documento letterario, perché ricostruisce la degradazione umana, l’offesa e l’umiliazione di un popolo con compostezza e poesia.

Levi non si pone domande, semplicemente sollecita continuamente il lettore con le sue riflessioni. E’ questa la sua potenza, intatta nonostante gli anni, ed è questo che fa del romanzo di Levi un vero capolavoro.

Non c’è vendetta in questo libro. Piuttosto, come ci dice lo stesso autore, il libro si configura come una raccolta di materiali “per uno studio pacato di alcuni aspetti dell’animo umano”. Dunque l’opera di Levi non è soltanto un libro di memorie, che certo non mancano, ma le stesse memorie costituiscono la base per esercitare un’attenta meditazione e riflessione su quello che la Storia ci ha tramandato.

Levi non ha nessuna intenzione di scrivere sugli orrori del Lager, non si sofferma sulle crudeli procedure delle camere a gas e dei forni crematori. Levi preferisce indagare le condizioni psicologiche e i problemi morali. La sua memoria è lucida, la sua riflessione acuta, il suo valore morale altissimo.

Il grande filosofo Adorno diceva:”Dopo Auschwitz non si può più scrivere poesia”. Del resto non é semplice trovare le parole adatte per una materia così bruciante e dolorosa ma Levi ha avuto il coraggio di raccontare l’episodio più nero nella storia dell’umanità.

E’ riuscito a donarci poesia, nonostante il suo dolore. Un dolore che lo ha accompagnato per tutta la vita perché Levi, e come lui tutti gli altri sopravvissuti, non è mai uscito fuori dal filo spinato del campo di concentramento. Il suo suicidio, nel 1987, è una prova.

E come recita un verso della poesia che fa da epigrafe al volume diciamo:”Meditate che questo è stato”. (DA AGORA)







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