Negro latte dell'alba noi ti beviamo la notte
noi ti beviamo al mattino come al meriggio ti beviamo la sera
noi beviamo e beviamo.
Nella casa vive un uomo che gioca colle serpi che scrive
che scrive in Germania quando abbuia i tuoi capelli d'oro.
Margarete i tuoi capelli di cenere Sulamith noi scaviamo una tomba
nell'aria chi vi giace non sta stretto
Egli grida puntate più fondo nel cuor della terra e voialtri cantate e suonate
egli trae dalla cintola il ferro lo brandisce i suoi occhi sono azzurri
voi puntate più fondo le zappe e voi ancora suonate
perché si deve ballare.
Negro latte dell'alba noi ti beviamo la notte
noi ti beviamo al meriggio come al mattino ti beviamo la sera
noi beviamo e beviamo
nella casa vive un uomo i tuoi capelli d'oro Margarete
i tuoi capelli di cenere Sulamith egli gioca colle serpi.
Egli grida suonate più dolce la morte la morte è un Mastro di Germania
grida cavate ai violini suono più oscuro così andrete come fumo nell'aria
così avrete nelle nubi una tomba chi vi giace non sta stretto.
Negro latte dell'alba noi ti beviamo la notte
noi ti beviamo al meriggio la morte è un Mastro di Germania
noi ti beviamo la sera come al mattino noi beviamo e beviamo
la morte è un Mastro di Germania il suo occhio è azzurro
egli ti coglie col piombo ti coglie con mira precisa
nella casa vive un uomo i tuoi capelli d'oro Margarete
egli aizza i mastini su di noi ci fa dono di una tomba nell'aria
egli gioca colle serpi e sogna la morte è un Mastro di Germania.
I tuoi capelli d'oro Margarete,
i tuoi capelli di cenere Sulamith.
Teniamo presente che per tutta la durata della sua vita Celan tentò di stabilire, attraverso la sua scrittura, un dialogo con sua madre, che era stata annientata nella Shoah (la biografia ci potrebbe raccontare che, per un'incomprensione di cui non sappiamo poi molto, anche se Celan aveva approntato un rifugio segreto per far scampare sé e la sua famiglia alle retate naziste, i suoi genitori non vollero nascondersi, lui si nascose, si salvò e loro furono annientati, tutta la vita cercò in forme diverse, con percorsi diversissimi, attraverso la sua poesia, quasi di ripristinare un contatto). Di fronte a questa accusa di complicità con la barbarie per avere scritto le sue poesie su Auschwitz, Celan scrive così:
Madre, madre
Strappata dall'aria
Strappata dalla terra.
Giù
Su
trascinata.
Ai coltelli ti consegnano scrivendo,
con abile mano sciolta, da nibelunghi della sinistra, con
il pennarello, sui tavoli di teck, anti-
restaurativi, protocollari, precisi, in nome della inumanità da distribuire
di nuovo e giustamente,
da maestro tedesco,
un garbuglio, non
a - bisso ma
a - dorno
scrivendo,
i reci-divi,
consegnano
te
ai
coltelli.
" Io non faccio “letteratura”. La mia vita, la nostra vita, quella di mia moglie e di mio figlio Eric, che adesso ha sei anni e mezzo, è stata davvero sconvolta dai Signori Tedeschi, che sono rimasti proprio gli stessi."
Aharon Appelfeld, scrittore israeliano di origine rumena, sopravvissuto ai campi, trae spunto proprio dagli stessi versi della poesia di Celan, rispondendo ad una domanda rivoltagli da Philip Roth. Dice, parlando dei sopravvissuti, dei superstiti, che “il sopravvissuto … ha ingoiato l’Olocausto tutto intero, e procede nella vita con l’Olocausto in tutte le sue membra. Beve il “latte nero” del poeta Celan, mattino, pomeriggio e sera. Non ha alcun vantaggio su nessun altro, ma non ha ancora perduto il suo volto umano”.
Più ironico e solare, Primo Levi, scrittore non “professionista”, autore del capolavoro Se questo è un uomo, nel suo libro Se non ora quando?, dedicato agli ebrei dell’Europa orientale, propende per un percorso narrativo più lieve. In questo libro, il cui titolo è tratto da un antico insegnamento rabbinico, Levi confessa che voleva “raccontare una storia piena di speranza, a tratti allegra, benché proiettata su uno scenario sanguinoso. Volevo combattere un luogo comune ancora prevalente in Italia: un ebreo è una persona mite, uno studioso, inadatto alla guerra, umiliato che ha sopportato secoli di persecuzione senza mai reagire. Mi sembrava doveroso rendere omaggio a quegli ebrei che, in condizioni disperate, trovarono il coraggio e la capacità di resistere”.
I diversi registri stilistici e narrativi con cui ebrei e non ebrei hanno espresso l’esperienza traumatica del fascismo, del nazismo, delle persecuzioni e della guerra vi vengono presentati in un percorso di letture.
Abbiamo deciso di ricordare attraverso i brani letterari, poesie , riflessioni teoriche e filosofiche di coloro che hanno vissuto questo momento storico. Ci si chiede spesso se non sia venuto il momento di dimenticare il passato. A volte, nemmeno ce lo si chiede: più semplicemente si sopporta con malcelata insofferenza la “ritualistica” della memoria (compresa la “giornata della memoria”!) perché –si dice- i giovani non dovrebbero essere afflitti dai fantasmi del passato e, soprattutto, un paese, una comunità, una nazione, ha bisogno di pacificazione.
Un modo per guardare a questi problemi da un punto di vista decisamente formativo è l’analisi della riflessione di due grandi filosofi. Vladimir Jankélévitch – divenuto professore di Filosofia alla Sorbona dopo aver partecipato alla Resistenza – nel 1971, intervenendo nella polemica scoppiata in Francia sulla prescrizione dei crimini hitleriani, ha scritto una riflessione dal titolo emblematico: Perdonare?. La risposta negativa di Jankélévitch è disperata e argomentata al tempo stesso. A distanza di più di trent’anni, spente ormai le feroci polemiche generate da questa pubblicazione, gli ha replicato Jacques Derrida, certo uno dei più grandi pensatori del Novecento: l’unico perdono possibile è il perdono impossibile, perché solo l’imperdonabile può essere davvero perdonato (Perdonare).
Due poderose riflessioni sulla colpa, la responsabilità, la punizione, il perdono, la memoria e l’oblio: categorie centrali che lavorano, spesso inconsapevolmente, anche nella coscienza morale e intellettuale dei giovani studenti.
Abbiamo scelto le parole di autori noti e meno noti.
La pietà ingiusta
Mi prendono da parte, mi catechizzano:
il faut
faire attention, vous savez.
Et surtout si l’affaire
doit marcher jusqu’au bout,
ne causez pas de ces choses bien passées. 5
Il paraît qu’il en fut un, un SS
qu’il a été même dans l’armée
quoique pas allemand…
Ecco in che cosa erano
forza e calma sospette 10
l’abnegazione nel lavoro, la
cura del particolare, la serietà
a ogni costo, fino in fondo…
Intorno c’è aria di niente, mani
sulla tavola, armi (chi le avesse) 15
al guardaroba: solo adesso
si comincia a capire – e l’affare un pretesto
il pranzo un trucco, una messinscena
benché non esistano dubbi sulle portate
benché non ci siano orripilanti cataste sulla tavola né sotto 20
- ma in cucina, chi può dirlo?
ah le dotte manipolazioni di cui furono capaci,
matasse, matassine innocue, oro a scaglie
da coprirne un deserto di sale, nubi d’anime
esulanti-esulanti da camini 25
con la piena dolcezza degli stormi d’autunno
altre anche meno visibili spazzate da una raffica in un’ora di notte –
è una questione d’occhi fermi sul cammello che passa
e ripassa per la cruna in piena libertà –
e con tocchi di porpora una città 30
d’inverno, una città di cenere si propaga
dentro una lente di mitezza.
Solo adesso si comincia a capire.
Incredibile – dirò più tardi – le visioni
immotivate che si hanno a volte 35
(e pazienza per queste
ma esserne coinvolti al di là del giudizio
fino al tenero, fino all’indebita pietà…):
le giubbe sbottonate della disfatta, un elmo
ruzzolante tra i crateri, sugli argini maciullati 40
facce su facce lungo un canale a ridosso di un muro
un reparto in sfacelo che si sbarca, se ne fotte
della resa con dignità, ma su tutte
quella faccia d’infortunio, di gioventù in malora
con la sua vampa di dispetto di bocciato 45
di espulso dal futuro
nell’ora già densa della campagna
verso l’estate che verrà…
Tra poco sparecchieranno, porteranno
le cartelle per la firma. Si firmerà. 50
Si firmerà la pace barattandola con la nostra pietà –
e lui rimesso in sesto, risarcito di vent’anni d’amaro
bene potus et pransus arbitro dell’affare.
Non si vede più niente. Se non – per un incauto
pensiero, per quel momento di pietà – quella mano 55
quel mozzicone di mano sulla parete.
Ci conta ci pesa ci divide. Firma.
E tutti quanti come niente – come la notte
ci dimentica.
Wislawa Szymborska Vestiario (da Gente sul ponte)
Ti togli, ci togliamo, vi togliete
cappotti, giacche, gilè, camicette
di lana, di cotone, di terital,
gonne, calzoni, calze, biamcheria,
posando, appendendo, gettando su
schienali di sedie, ante di paraventi;
per adesso, dice il medico, nulla di serio
si rivesta, riposi, faccia un viaggio,
prenda nel caso, dopo pranzo, la sera,
torni fra tre mesi, sei, un anno,
vedi, e tu pensavi, e noi temevamo,
e voi supponevate, e lui sospettava;
è già ora di allacciare con mani ancora tremanti
stringhe, automatici, cerniere, fibbie,
cinture, bottoni, cravatte, colletti
e da maniche, borsette, tasche, tirar fuori
-sgualcita, a pois, a righe, a fiori, a scacchi- la sciarpa
riutilizzabile per protratta scadenza.
Se questo è un uomo
Voi che vivete sicuri
Nelle vostre tiepide case
Voi che trovate tornando a sera
Il cibo caldo e visi amici:
Considerate se questo è un uomo
Che lavora nel fango
Che non conosce pace
Che lotta per mezzo pane
Che muore per un sì o per un no.
Considerate se questa è una donna,
Senza capelli e senza nome
Senza più forza di ricordare
Vuoti gli occhi e freddo il grembo
Come una rana d'inverno.
Meditate che questo è stato:
Vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
Stando in casa andando per la via,
Coricandovi alzandovi;
Ripetetele ai vostri figli.
O vi si sfaccia la casa,
La malattia vi impedisca,
I vostri nati torcano il viso da voi.
Primo Levi
Da Se questo è un uomo (Einaudi,1947)
Ma abbiamo voluto ricordare anche Primo Levi, con la sua poesia, non solo perché interpreta perfettamente lo spirito della Giornata della Memoria, cioè la necessità di non dimenticare, ma anche perché si è ucciso, alla fine di una vita sommersa dai tremendi fantasmi, egli stesso vittima a distanza di quella primigenia violenza che aveva segnato, devastato, la sua esistenza e che è stata all'origine della sua scrittura. Ha tentato di ricostruirsi, di ricostruire, di fare qualcosa di utile per l'umanità, scrivendo quattro romanzi uno più bello dell'altro, uno più "dimostrativo" dell'altro (Oltre al libro citato, La tregua, La chiave a stella, Se non ora, quando?) e inoltre la raccolta di poesie Ad ora incerta.
La memoria, restituita dai brani che presentiamo, non passa solo attraverso i versi lirici che fissano e restituiscono l’esperienza del trauma e della perdita, ma è fatta anche delle voci speranzose di coloro che invitano ad una riflessione sul dovere dell’azione e del ricordo, ma incitano anche alla speranza irrinunciabile di un mondo migliore .
In visita ad Auschwitz (Agosto 2008)“Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario”
PER UN FILO DI SOLE di MARIA ALLO
Contro fredda caterva
Di ignari pali
Sbattono code informi
Di acrobatici pensieri
Resterebbe un non so che
D' illeso
Se per sbaglio
Un filo un misero filo
Di sole
Sfiorasse
Intralciando
La corsa affannosa
Delle nubi svagate
Ah chi non soffre
Deciso scoiattola
Misterioso
Ti degna di uno sguardo
Oppure si trincera
Dietro un "non ricordo"
Con impercettibile sussurro
Ed è un supplizio
Sognare di mescere
Chiarori in lontananza
Carezzando
Bagliori inesistenti
Ed è così che si muore
Per un esile filo di sole
Che non è
Che non vuole
Che non nasce
Ma muore