MORTA BECKY BEHAR, TESTIMONE DI STRAGE NAZISTA DI MEINA
Data: Sabato, 17 gennaio 2009 ore 08:38:13 CET
Argomento: Comunicati



27 Gennaio: la "Giornata della Memoria", una data molto importante nella quale si ricorda l'olocausto di Aushwitz, gli eccidi, i pogrom, i campi di concentramento, il nazismo e le persecuzioni agli Ebrei fatte dai Tedeschi. Il creatore del nazismo è stato Adolf Hitler, che fece campi di concentramento dove venivano rinchiusi gli Ebrei e costretti ai lavori forzati, molti morivano di stenti, per i bambini c'era la camera a gas; con la scusa di fare la doccia li portavano a morire. Quando il nazismo ha avuto inizio, gli Ebrei vengono considerati nemici della Germania, e vengono promulgate leggi razziali nei confronti di questa popolazione, i bambini Ebrei non possono più frequentare le scuole pubbliche, ma le scuole fatte apposta per loro; inizia veramente una guerra contro queste persone, che avevano soltanto la colpa di essere nate Ebree.

Una persona in particolare di cui voglio parlare in questa Opinione, è Rebecca Behar, una bambina -una donna che ora ha la sua età-, scampata all'odio nazista. Becky Behar, era l'ultima di quattro fratelli, viveva in Italia, per la precisione a Milano, in una famiglia molto unita e felice. Non si può dire che le sue origini siano proprio Ebree, dato che ha origini spagnole e un passaporto turco. Becky ha deciso di girare nelle scuole accompagnata da suo marito, per testimoniare l'accaduto, e il 14 Gennaio è venuta anche da noi, a Castelletto Sopra Ticino, per raccontarci la sua storia. Come dicevo, viveva in questa famiglia, descrive suo padre come una persona molto bella, degna di ammirazione; nella sua introduzione dice anche che vorrebbe che la Giornata della Memoria sia tutti i giorni, perché le stragi che fecero i Tedeschi non vengano mai dimenticate, poiché qualcuno smentisce anche che nei campi di concentramento siano morte sei milioni di persone, e si dà sempre meno peso all'accaduto. Lei inizia a narrare la sua drammatica storia: dapprima andava come tutti i bambini in una scuola elementare, era solo in terza, quando iniziarono ad esserci i primi problemi, suo padre le diceva di non preoccuparsi, non avrebbe capito nel suo piccolo quello che accadeva, e lui preferiva non dir nulla e sperare che finisse tutto subito, ma forse, i suoi fratelli più grandi avevano già capito qualcosa, diceva. Finché un giorno suo padre le disse che lei e i suoi fratelli non avrebbero più potuto frequentare la scuola pubblica, ma tra un po' avrebbero iniziato a frequentare quella per Ebrei; lei era confusa, e non capiva perché doveva lasciare i suoi amici, ai quali nel corso degli anni si era affezionata molto, e la maestra che provava tenerezza e simpatia nei suoi confronti, e cercava di farle imparare nel migliore dei modi la lingua italiana, dato che Becky in casa parlava prevalentemente lo spagnolo, e dice che rivede ancora, come se fosse ieri, l'insegnante che l'abbraccia piangendo, e rassicurandola le dice che si rivedranno. Dopo un po' di tempo i Tedeschi si erano ormai insediati in ogni parte dell'Italia, e Rebecca fu costretta a scappare nell'Hotel che il padre aveva a Meina, e a rifugiarsi lì, prendendo lezioni private per la sua istruzione. Ma non erano soli, c'erano altri italiani e molti Ebrei, dice che tra uno di questi, c'era John Fernandez, un ragazzo che ha proprio voluto ricordare, che rivede ancora adesso, lei lo apprezzava per il suo ottimismo, e lo stimava molto, come amico e come persona. Una mattina, racconta, Becky venne svegliata dai carroarmati dei Tedeschi, andò subito nella camera dei genitori, dove era già radunata la famiglia, come prevedibile bussarono alla porta, era un tedesco, chiese al padre di Rebecca se era lui Alberto Behar. Lei dice di ricordarsi ancora quelle parole: "Tu sei Alberto Behar, tu sei Ebreo, tu sei nemico della "grande Germania", e da adesso questo Hotel non è più di tua proprietà". Dopo queste affermazioni, lo portarono via per sottoporlo ad un interrogatorio. Intanto, tutti gli Ebrei che abitavano l'Hotel vennero rinchiusi nell'ultima stanza dell'albergo, nella numero 520, Becky ricorda ancora quelle scene: chi stava per terra, chi sui materassi messi sul pavimento, chi pregava, soprattutto gli anziani, e i bambini nella vasca messa nel bagno; così stettero lì, per una settimana, tutti ammassati in un'unica stanza. In quei giorni lei e la sua famiglia avevano pregato tanto perché suo padre tornasse, e così fu: i Tedeschi non lo uccisero. Ogni tanto, venivano a portare in camera qualcosa da mangiare, o meglio, qualcosa di commestibile, spesso era pane raffermo e cose simili, in razioni ridotte. Becky ha ancora in mente quello che le disse un giorno un nazista, era entrato in camera, avrà avuto sì e no vent'anni, e rivolgendosi a lei disse: "Tu sei un'ebrea, da grande ti sposerai, e avrai altri figli Ebrei: altri nemici della Germania". Lei non capiva: "Che cosa abbiamo fatto di male noi?" pensava. Non avevano fatto niente, erano semplicemente Ebrei. Un giorno arrivarono i Tedeschi, presero tutti gli Ebrei adulti e li deportarono nei campi di concentramento. Probabilmente molti, sapevano che non li avrebbero più rivisti, gli anziani avevano già capito tutto, Becky qui ne approfitta ancora per ricordare l'amico John Fernandez e il suo ottimismo: anche se avevano portato via i suoi genitori, lui era fiducioso, e le diceva di star tranquilla perché sarebbero tornati tutti sani e salvi, che molto probabilmente li avevano soltanto sottoposti ad alcuni interrogatori; come avevan fatto con suo padre. Pochi giorni dopo, giravano delle voci che al lago erano tornati a galla dei cadaveri, Becky appena sentì la notizia, uscì di nascosto -dato che i Tedeschi avevano proibito agli Ebrei di allontanarsi dall'albergo- da una porticina che fino ad all'ora era sconosciuta anche ai nazisti, inforcò la bicicletta e raggiunse il lago; assistette ad uno spettacolo macabro e terrificante: i cadaveri di alcuni Ebrei che stavano nella stanza con lei e gli altri, ora erano lì, privi di vita nel lago, e tra questi anche i genitori di John... Quando tornò all'Hotel, la sera i Tedeschi fecero festa e si ubriacarono come se nulla fosse. Dice che erano così ubriachi che alla fine loro dovettero aiutarli a camminare per raggiungere le stanze. Se qualcuno piangeva doveva farlo di nascosto, perché i Tedeschi non tolleravano che gli Ebrei piangessero le loro vittime, e bisognava anche stare nella camera, soprattutto le ragazze, perché i nazisti in giro per l'albergo, se le vedevano ne approfittavano. Dopo questi terribili giorni di tortura e sofferenze, Rebecca, assieme alla sua famiglia, riuscì a fuggire in Svizzera sempre per mezzo di quella famosa porticina della quale solo loro erano a conoscenza; e finalmente l'incubo, in parte era finito. La sua famiglia si costituì parte civile, e nel 1968, a Osnabrück, in Germania ci fu il processo, dove c'erano cinque nazisti imputati, tre di loro furono condannati all'ergastolo, e gli altri due a tre anni di reclusione. A distanza di molti anni, -e ancora adesso a distanza di sessant'anni lo ricorda-, Becky riconobbe un tedesco, proprio perché zoppicava, lo accusò, ed effettivamente era proprio lui: lo fecero alzare e zoppicava veramente. Rebecca lo ricorda soprattutto, perché un giorno, mentre era affacciata alla finestra, lo vide prendere in malomodo il suo cane, al quale era molto affezionata e gettarlo nel lago; gli altri compagni di stanza le dissero che i cani sapevano nuotare, e che il suo sarebbe sopravvisuto, ma nemmeno quello rivide più.

Questa è a grandi linee la biografia di Becky Behar, e se volete c'è anche il suo libro: Il diario di Becky Behar, che considero molto interessante da leggere.
Rebecca, narra questi episodi trattenendo le lacrime, perché dice che, ogni volta che va nelle scuole a raccontarli è come se le rivivesse un'altra volta, ed è anche per questo che bisogna ammirarla. Lei lo fà perché queste vicende non vengano dimenticate, perché non vengano rimosse con un colpo di spugna o messe sempre più in secondo piano. Sono veramente cose orribili, ci si commuove anche ad ascoltarla, questa è veramente la prova della bestia, della malvagità umana, di quello che un essere umano può arrivare a fare su altri, il razzismo. I Tedeschi nazisti, son stati veramente disumani, loro non parlavano, urlavano, anche tra loro, e Becky dice che molte notti, sognava ancora quei giorni, e molte volte, sentiva ancora quelle urla dure, vedeva quegli occhi pieni d'odio e freddi come il ghiaccio. Sono avvenimenti veramente vergognosi, sui quali bisogna riflettere, ragionare anche sulle condizioni nelle quali siamo messi, sulle persone che mettono in gabbia altre, che torturano, che uccidono, che usano come cavie per esperimenti, che umiliano, perché giudicate da un pazzo come inferiori e spregevoli... Quindi io dico come Becky Behar: la Giornata della Memoria dovrebbe essere ogni giorno, per non dimenticare mai...









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