ATTENZIONE AI PRECARI
Data: Sabato, 10 gennaio 2009 ore 10:38:26 CET
Argomento: Comunicati


Un recente comunicato della Cgia di Mestre (Associazione Artigiani e Piccole Imprese) avverte che i precari alla fine del mese di settembre 2008 (dipendenti a tempo determinato, lavoratori assunti con collaborazioni coordinate e continuative a progetto, nonché prestatori d’opera occasi onali) hanno raggiunto la quota di 2.812.700, che rappresenta il 12% del totale degli occupati in Italia.
Quanti di questi precari sono insegnanti, tenuto conto dell’uso che si è fatto in questi anni della scuola come serbatoio occupazionale?
La Fondazione Agnelli nello scorso mese di dicembre ha anticipato con un lancio di agenzia il Rapporto 2009 (uscirà a febbraio) che contien e la risposta alla domanda e molti altri spunti meritevoli di attenzione.
Posto che i docenti della scuola italiana nel complesso, tra settore statale e non statale, sono oltre 1 milione e che di questi nell’anno scolastico 2007-08 circa 840.000 erano dipendenti dello Stato, lo studio precisa che il numero di coloro che erano assunti a tempo indeterminato (di ruolo) ammontava a circa 700.000.
Dei restanti 142.000, circa 22.000 erano assunti a tempo determinato annuale (ossia con un contratto da settembre a fine agosto successivo), mentre 120. 000 lo erano a tempo determinato “fino al termine delle attività didattiche” (con un contratto da settembre a giugno). Considerando anche i 100.000 impegnati in supplenze brevi, il totale dei docenti precari che nel 2007-08 hanno lavorato nella scuola pubblica supera le 240.000 persone.
Come si è giunti a questo numero?
L’elaborazione della Fondazione mostra che quando con l’inizio degli anni Ottanta del secolo scorso il numero complessivo degli alunni ha cominciato a declinare, gli insegnanti hanno invece continuato a crescere fino ai numeri attuali, complice evidentemente una certa politica sindacale che ha inteso la scuola come bacino di occupazione (in questo senso per nulla ostacolata dai governi che si sono succeduti in quegli anni: l’introduzione del modulo con i tre maestri su due classi nella scuola elementare, aggiungiamo noi, è frutto di quella ottica particolare in fin dei conti poco lungimirante).
Cosa ci si deve aspettare dai prossimi anni, tenuto conto degli aggiustamenti di tipo amministrativo (è stato detto che n on si tratta di “riforma”) del ministro Gelmini (chiusura del modello modulare e delle compresenze nella scuola elementare; riduzione delle ore di insegnamento e degli indirizzi di studio nella scuola secondaria di primo e secondo grado)?
Dal 2000 ad oggi, fa notare lo studio, le dimensioni del corpo docente della scuola statale italiana sono rimaste stabili, poiché le cessazioni sono state compensate da nuove immissioni in ruolo di precari: dal 2000-01 al 2008-09 sono stati immessi in ruolo in media circa 22.600 insegnanti all’anno, per un totale di circa 203.000 neoassunti. Nello stesso periodo le cessazioni del rapporto di lavoro (per dimissioni, pensionamento o d ecesso) sono state complessivamente 200.000.
A giudizio della Fondazione Agnelli tale equilibrio non è destinato a durare, a causa, da un lato, dell’applicazione del Piano programmatico del ministero della Pubblica Istruzione che dovrebbe portare nell’arco di un triennio a una “cura dimagrante” di 87.400 posizioni; dall’altro, a causa degli stessi docenti in servizio dai quali si prospetta una fuoriuscita copiosa per raggiunti requisiti pensionistici (il loro maggior numero si addensa infatti nella fascia dai 53 ai 57 anni).
In particolare, quanti decideranno di lasciare la scuola nei prossimi anni? Lo studio ipotizza una media ragionevole di 28.000-30.000 docenti all’anno per il prossimo quinquennio: nel complesso circa 300.000 uscite nel prossimo decennio.
Si presentano come ovvie due conclusioni.
La prima: l’obiettivo del governo di portare a valori europei il rapporto inse gnanti/alunni (da 10-11 docenti per 100 studenti a 9-10 circa) potrà essere ottenuto semplicemente non sostituendo i docenti dimissionari. Una scelta foriera di limitate tensioni sociali che potrebbe portare, tuttavia, al rallentamento o alla sospensione dell’immissione in ruolo dei precari, che dal 2001 ad oggi è stata pari a oltre 200.000 unità.
La seconda: si prospettano tempi duri per chi intende accedere nel prossimo futuro alla professione docente, date le restrizioni in essere.
Lo studio della Fondazione termina es primendo a fronte di questa realtà una preoccupazione condivisibile. Aggiungiamo che è comunque una sfida da affrontare senza ricorrere a scelte ideologiche, ma rispondendo a tutte le domande che essa implica.

da DIESSE







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