Acireale e nel nome di Obama
Data: Mercoledì, 07 gennaio 2009 ore 01:00:00 CET
Argomento: Istituzioni Scolastiche


Sono passati più di 150 anni dalla pubblicazione della “Democrazia in America” (1840) di ALEXIS De Tocqueville, un sociologo contemporaneo di Marx, che propone una lettura onnicomprensiva della società americana, in grado anche di formulare previsioni a medio e a lungo termine sullo sviluppo di quel sistema politico e dove l’autore riflette sui potenziali pericoli della “Democrazia” e per “la democrazia” analizzando le categorie del “dispotismo della maggioranza” e della “tirannia popolare”.

Da allora a oggi è passato molto tempo: la guerra di secessione tra gli stati del sud (liberista) e quelli del nord (protezionista), l’assassinio di A. Lincoln, repubblicano, l’imperialismo degli USA con i grandi trust e l’intervento voluto da Wilson nel ’17 nella prima guerra mondiale, l’America con il crollo del ’29 di Wall Strett e della grande recessione ed il successivo new-deal ispirato da Keynes e realizzato da Roosevelt, lo sbarco in Normandia e Hiroshima e Nagasaki, la guerra fredda e la politica della nuova frontiera di J.F.Kennedy, ildirigismo reaganiano e il crollo dei paesi a socialismo reale, l’edonismo con B.Clinton e gli USA di Bush Jr. con il crollo delle due torri e l’attacco al Pentagono.

Parte di questa storia, con l’elezione a Presidente di Barack Obama degli Stati Uniti d’America è ormai irreversibilmente alle nostre spalle, perché entrando nella casa bianca ha realizzato ciò che molti consideravano impossibile, quel patto incompiuto dei padri costituenti fondativi della nazione che doveva anche coniugare diritti, libertà e giustizia sociale.

Obama è riuscito a rivolgersi a tutti, convincendo la stragrande maggioranza degli americani, la scelta di un afro-americano come leader di questo paese è diventata l’ennesima prova della vitalità della democrazia americana e della sua capacità di sapersi rinnovare senza stravolgimenti. Con il suo carisma è diventato l’icona stessa del cambiamento, un uomo, che appena due anni fa, era quasi, uno sconosciuto nella politica americana in pochi mesi con un escalation rapidissima ed inaspettata ha prodotto una svolta epocale cambiando il suo paese ed il mondo.

Idealista del “self-made man” legatissimo alla famiglia, intellettuale ed attivista per le minoranze, questo “vir novus” ha saputo riscaldare i cuori degli americani con il suo “yes, we can” dimostrando che l’america è il luogo dove tutto è possibile, dove un nero può vincere le elezioni presidenziali aiutando così il proprio paese a liberarsi da tanti pregiudizi diventati vetusti.

Ha cercato di rivolgersi a tutti con un messaggio quasi ecumenico. Pper lui hanno votato gli ispano americani, gli evangelici, gli indipendenti, la classe media, l’intellighentia culturale e politica, le tute blu delle fabbriche di Detroit e perfino gli stessi repubblicani che gli hanno riconosciuto la leadership perché lui non è solo l’uomo del momento ma anche la nuova guida che aprirà gli USA e il mondo a nuove frontiere.

Obama, in questa vicenda elettorale, iniziata con le primarie avrebbe dovuto essere il naturale perdente inviso agli oligopoli, alla nomenclatura dell’alta burocrazia e all’apparato del suo stesso partito che ha però dimostrato che anche un outsider può arrivare alla Casa Bianca.

Sulla sua strada si è trovato tra l’altro H.Clinton, una donna, altra novità, che sembrava una predestinata, considerata dagli addetti la regista occulta della politica USA durante i due mandati del marito, una personalità forte ed indipendente, con dote di statista e di grande fascino nell’immaginario collettivo. È stato con H.Clinton un duello all’ultimo voto, una sfida da cui lui è uscito arricchito, rafforzando la sua tempra politica, la bontà delle idee e del suo programma indicandogli la via che doveva percorrere. Con il tempo è riuscito a trasformare le tante difficoltà, l’età, l’anonimato, il programma per molti un po’ troppo liberale, da punti di debolezza a punti di forza. La grande politica che negli Stati Uniti era stata per decenni appannaggio di alcune famiglie Kennedy, Buch, Rockfeller e Bloomberg e dei potendati finanziari delle multinazionali con lui viene riconsegnata all’americano medio quello su cui si regge la forza di questo paese.

Con Obama ha trionfato la gioventù contro la vecchiaia, il futuro rispetto al passato la forza degli studi rispetto alla forze delle armi, le speranze nel meticciato delle culture rispetto al riconoscimento di una specifica tradizione storica.

Quest’insegnamento che emerge da questa pagina di storia non va considerato fine a se stesso ma va metabolizzato, perché è vero ma fino ad un certo punto che la giovinezza è migliore della vecchiaia, che il futuro è migliore del passato che la forza dello studio è migliore delle armi, che il meticciato è migliore della tradizione nazionale di un paese, questi sono solo simboli di per sé inerti che vanno accettati, rivitalizzanti, ritualizzati e soprattutto dilaetticizzati e in questo Obama è stato migliore rispetto a Mc Cain, da qui la sua vittoria.

Con il tempo, in questo paese che nel 1968 dopo l’assassinio di M. L.King aveva visto la sua capitale Washington difesa dalla guardia nazionale difesa dall’assalto dei neri del ghetto in armi, tutto si è trasformato in un piano inclinato.

A spianargli la strada la guerra in Iraq e in Afghanistan, la gestione del Pil che lo porta a proporre una nuova politica della distribuzione dei redditi, la crisi economica e finanziaria causata dai mutui sub-prime, la più devastante da decenni, che lo spinge ad un approccio bi-partizan pur di difendere gli interessi nazionali del popolo americano.

Per lui hanno importanza, come grida nel suo discorso del sei novembre, anche i gay e i disabili ai quali offre opportunità e speranza. Obama ha il senso del futuro che traguarda, però, guidato da un saggio pragmatismo.

Sa che l’aspetta un compito difficile, che la strada che egli ha di fronte è in salita e che gli occorrerà forse più di un mandato per risolvere tutti i problemi che ha davanti. Dall’enorme deficit dello stato alla svalutazione del dollaro, dalla disoccupazione presente nelle industrie manifatturiere alla caduta della domanda interna per quanto riguarda i consumi, dal ritiro dall’Iraq per una politica avventuristica alla fine dell’uniteralismo bushiano. Per risolvere questi problemi, lo sa non basta il carisma perché la gravità della situazione è tale che esige anche il disincanto di un sano realismo. Obama sarà all’altezza di questi compiti? Solo il tempo ci darà la risposta.

PS: questa è “ LA DEMOCRAZIA IN AMERICA”. Per quanto riguarda, cambiando pagina la DEMOCRAZIA AD ACIREALE, fatte le debite proporzioni ci sarebbe molto da dire o da ridire, ma cercherò di farlo in qualche altro momento. Qui desidero solo ricordare che da qualche settimana il centro-destra ha ufficializzato la candidatura del sindaco uscente Avv. Garozzo per le prossime comunali, dimostrando di sapere fare il proprio mestiere muovendosi per tempo e con una precisa strategia. Che cosa aspetta, a questo punto il centro-sinistra a fare altrettanto? Indirà le primarie per unirsi o per dividersi? Il partito democratico si ostinerà ancora ad “andare da solo” o cercherà l’alleanza con la società civile e i partiti della sinistra storica e i verdi e IdV?

La sinistra storica resterà ancora divisa tra rifondazione, PCDI e sinistra democratica? Chi sceglierà come candidato alla carica di Sindaco? Che si capisca che un certo tempo è passato e che si deve fare di NECESSITÀ VIRTÙ.

Filippo Laganà da AKIS







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