Passione, Giustizia, Libertà : essere siciliani oggi
Data: Martedì, 06 gennaio 2009 ore 01:00:00 CET
Argomento: Istituzioni Scolastiche


Mi arrabbio moltissimo quando i miei tigli mi riferiscono che, al momento del visto sui loro passaporti, qualcuno commenta la loro cittadinanza con un: "Siciliani?Mafia!". Mi arrabbio ancor di pù quando sempre quel qualcuno, disposto magari a dare credito alla simpatia del mio carattere, sbotta in un :"Lei è siciliano? Non si direbbe". E penso alIora a Leonardo Sciascia che, consapevole di questa storia, riannodava la comune vicenda di noi siciliani alI'esperienza di quei persiani protagonisti delle "Lettres persianes" di Montesquieu ai quali, appunto, bastava cambiarsi d'abito ed assumere un atteggiamento più alla moda per passare inosservati, da persiani, nella medesima Parigi. Quasi che la difficoltà di essere siciliani e di vivere con difficoltà in quest'’isola benedetta paradossalmente alimenti ancor di più i pregiudizi ed i luoghi comuni. In queste circostanze, ancora una volta, recito i mea culpa per le tante responsabilità storiche dei siciliani, per le tanti inettitudini, e cerco anche le mie colpe personali. Poi ..... poi dico: basta! Perché l'indignazione e l' insofferenza per le altrui insensibilità prendono il sopravvento e mi costringono a ricapitolare anche le responsabilità degli altri, l'abbandono ed i tradimenti. E con questo stato d'animo passo in rassegna le fotografie della Sicilia, della realtà palermitana di questi ultimi decenni, realizzate da Letizia Battaglia; ed anch' io sono travolto dalla sua passione, dal desiderio di giustizia, dalla totale rivendicazione di libertà. Ma di cosa parlano, a me siciliano, le immagini di questa fotografa "pasionaria" nonché editrice, consigliere comunale, parlamentare regionale, ecologista, difensore dei diritti delle donne? Cosa ci raccontano queste fotografie che alternano fresche visioni di gioia a macabri e bestiali reportage di quotidiana sofferenza, dove la mafia si svela con i suoi devastanti effetti predatori soffocando ogni cosa, anche la memoria? Personalmente mi dicono, "mi ordinano", di vivere la mia sicilianità non come un privilegio ma come una grande occasione politica e spirituale di riscatto, e l’affermazione della propria identità culturale, della qualità sana delle nostre radici perché non è vero che nel DNA dei siciliani c'è un anello che si chiama mafia. Si può nascere in tutte le parti del mondo ma occorre sempre prendere coscienza dello spazio e del tempo che ci è stato assegnato ed umanamente viverlo. Ripeto: umanamente viverlo. Perché gli istanti catturati dallo strumento fotografico di Letizia Battaglia parlano solo di umanità che si fa attenzione e rivoluzione con le donne di Palermo, che si fa coscienza civile dentro il Consiglio Comunale, che si fa compassione, compartecipazione e crescita negli ospedali psichiatrici e nei campi degli zingari, che fa si cronaca di ricchezze e miserie, di luce e di misteri, che si fa testimone che denuncia con la semplicità emblematica dell’immagine, che si fa memoria certa, inoppugnabile, davanti alle coscienze di coloro che non vogliono vedere. Ed ancora: che si fa eco del pianto e della ribellione, della presa di coscienza e della denuncia, della rabbia e della viltà, del coraggio e del piacere di riconoscercelo insieme; e che si fa forza della legalità. A Letizia Battaglia, per la sua attività di fotografa, sono stati conferiti il "W.Eugene Smith Award", New York, 1986, Achievement for life Award, San Francisco,1999, il Premio Aci e Galatea di Acireale ed altri ancora; premi conferiti alle sue immagini e non ai suoi libri. Questi ultimi verranno dopo quando la funzione di notizia e di testimonianza abbandonerà la trincea deI giornalismo e si incamminerà nella storia e nella riflessione politica e sociale. Oggi però, mostre e libri, continuano a testimoniare del suo impegno politico nella campagna antimatìa per ridestare le coscienze sopite, per ridare ai palermitani quelle parole, come famiglia ed onore (ma anche "cannoli"), che erano state rubate dalla mafia. Sono fotografie, dice Simona Mafai, come dichiarazioni d’'amore e atto politico; in ogni caso sono clic responsabili che ad un certo punto le impongono di dire baste alle fotografie dei morti ammazzati perché lo stomaco e la coscienza, insieme, si rifiutano di continuare in questo mestiere. Ancor meglio, allora, portare lo sguardo nelle manifestazioni di protesta, dentro il Consiglio comunale, insieme al coraggio di chi vuole liberarsi di questo cancro. Meglio ancora dare un volto agli assassini e non solo alle vittime indifese ed abbandonate. Alexander Stille, Roberto Scarpi¬nato, Renate Siebert, Melissa Harris, Claudio Fava, Giovanna Calvenzi testimoniano, intervenendo nei suoi libri, l'impegno e la lotta della nostra fotografa; ci raccontano soprattutto come hanno vinto la ritrosia della fotografa a pubblicare le sue immagini in contesti differenti da quelli per cui erano nate. Ma era necessario, davvero, ritornar su questi volti che della mafia, carnefici o vittime, sono stati espressione. Era necessario se non altro "per dare corpo, vita, nell'assenza dei colpevoli, nel vuoto aperto dalle assoluzioni, nella tragica evidenza delle vittime, a chi esponeva un lenzuolo, a chi usciva fuori e guardava in faccia e parlava là dove regnava il silenzio o le persiane stavano accostate e lo sguardo sii volgeva altrove" (L.Leonelli). Ed il pensiero va appunto a quella rivoluzione silenziosa, fatta di lenzuola appesi e di decaloghi di disobbedienza morale al costume mafioso. Fatta di immagini, espressioni "vere" emerse dopo lunghe battaglie del popolo siciliano (Rosaria, la vedova di Vito Schifani, uomo della scorta di Falcone che tra il lutto e la luce grida "non c’è amore qui"), oppure accidentalmente sorprese sulla pelle dell’ennesima vittima (il volto di Cristo tatuato e scoperto sotto una maglietta), od affiorate dopo la stampa (il ritratto ripreso una bambina dapprima stupita, e poi, nella stampa finale, di una donna i n s u l t a t a ) . Donne, quindi, come Letizia, come sua figlia Shoba, anche lei fotografa, come tante donne che tra le sue immagini sanno parlare oltre che di speranza anche di gioia, che hanno capito sempre, per prime, a volte tragicamente. Donne come Rita Atria, sorpresa e sconvolta dal rigore morale di Borsellino, che si getta nel vuoto dopo la notizia della strage e, poco prima, annota nel suo diario "prima di combattere la mafia devi farti un autoesame di coscienza e poi, dopo avere sconfitto la mafia dentro di te, puoi combattere la mafia che c’è nel giro dei tuoi amici; la mafia siamo noi ed il nostro modo di comportarci". Leoluca Orlando, l’amico nemico che non smette mai di tentare, racchiude in una poetica immagine la gratitudine che sente per questa donna, sua concittadina, che ha rotto le ipocrisie di certe legalità ed il perbenismo dei luoghi comuni in nome della verità e della dignità: nella luna morta vi era una lepre viva. Oggi anche la luna è viva. Era il tempo della sopravvivenza a Palermo, oggi a Palermo è il tempo della vita".

Pippo Pappalardo da AKIS







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