IL DRAMMA DI UN PERSONAGGIO SENZA IDENTITA'
Data: Luned́, 05 gennaio 2009 ore 10:46:33 CET
Argomento: Rassegna stampa


“Fumare ormai non può più farmi male, visto che sono morto tre giorni fa. Schiattato, passato nel regno dei più.” Con questo intrigante inizio si avvia l’ultimo romanzo di Gugliemo Pispisa (La terza metà, Marsilio, pp. 259, € 16,50), un trhriller che si snoda lungo trent’anni di storia italiana, in una spy story  atipica, di cui è protagonista uno strano personaggio di nome Hieronimus, o più semplicemente Hiero.
Figlio di una raeliana che ora vive in una comune in Canada con il nome di Oona, e di uno studente di filosofia finito tra le maglie della lotta armata nell’Italia degli anni di piombo, si presenta al lettore proprio nel giorno del suo funerale: è morto tra fuoco, pioggia di cristalli e lamiere contorte in un incidente d’auto all’imbocco di un tornante e si prepara a rinascere con documenti nuovi, aiutato da Aristotele Gheorghiu, pezzo grosso dei Servizi.
Insomma il romanzo inizia con la fine di una vita picaresca e, pirandellianamente, l’inizio di un’altra ancora più drammatica: nuovi documenti, nuova identità, con un passato pieno di nodi irrisolti. E, sullo sfondo, gli eventi italiani tra il vecchio ed il nuovo terrorismo politico: Hiero, infiltrato nel nuovo brigatismo rosso al soldo dei Servizi, insegue un concetto di giustizia che poco ha a che fare con le regole, e un passato fatto di ombre che ha ogni intenzione di svelare. E’ un anti eroe nella tradizione del migliore romanzo del Novecento europeo, questo di Pispisa: un uomo sempre solo, sempre in fuga, un essere che vola via dalla sua vita per rituffarsi spesso in emozioni antiche.
Il centro della storia è sempre e solo Hiero: che ama i luoghi di transito e dare le dimissioni da sé stesso. E’ la storia di una vacanza di identità, questo romanzo potente, dove Hiero duetta con un altro enigmatico personaggio, nei bassifondi di Parigi, tra vecchi e nuovissimi fantasmi, un uomo che si fa chiamare il Magister fa i conti con la sua coscienza e lotta ancora per squarciare la fitta rete di complotti che, dal passato, pesa sul suo presente.
Il tutto condito da una scrittura quasi cattiva, crudele: “Volto le spalle e cammino verso l’uscita orientale del camposanto, pestando foglie, terra smossa e forse un paio di tibie.”, scrittura acuta, intermezzata da semplici haiku, fiori di poesia giapponese che in un attimo sintetizzano una scena, una situazione, uno stato d’animo. “Vento d’autunno:/ a quale inferno/ sono diretto?” 
Toccherà ai lettori scoprire la meta di questo viaggio diabolico.

SILVANA LA PORTA
  






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