Sulla femminilizzazione della scuola (da Pueblounido)
Data: Giovedì, 01 gennaio 2009 ore 17:33:15 CET
Argomento: Opinioni


E’ assolutamente innegabile come in tutti gli ambiti lavorativi e sociali i maschi detengano e proteggano a denti stretti le posizioni di maggior prestigio, privilegio e potere. La discriminazione diventa un dato ancora più evidente quando ci si addentra nel campo della politica, ma soprattutto ai vertici del potere politico. Infatti, tranne rare eccezioni, i vari “boss” dei partiti politici più diffusi ed egemoni in Italia sono quasi tutti elementi maschili(sti).
Ciò è purtroppo vero anche per gli ambienti della cosiddetta “sinistra radicale”, compresa Rifondazione (ex)comunista, i cui quadri dirigenti sono stabilmente in mano agli uomini.

Nel contempo, laddove esiste una netta prevalenza femminile, ad esempio nel settore della scuola, il rapporto di potere è inevitabilmente rovesciato: infatti, sono in crescente aumento i dirigenti scolastici donna.  Mi riferisco alla realtà della scuola italiana, soprattutto a livello dei primi ordini di scolarità: scuola dell’infanzia, scuola primaria e secondaria di I grado.
In tale contesto la femminilizzazione è un dato dominante, quasi assoluto. Si pensi alle scuole materne, laddove gli elementi maschili sono completamente assenti, oppure alle scuole elementari, dove i maestri costituiscono una nettissima minoranza. 
Uno tra i principali problemi della scuola italiana (non l’unico, è ovvio) sia rappresentato proprio dall’eccessiva femminilizzazione.

Altrove, ad esempio in Francia o in altri stati nord-europei (in modo particolare nei paesi scandinavi) la presenza maschile è senza dubbio più consistente e, in alcuni casi (si pensi ad esempio alla Norvegia), addirittura massiccia.
La ragione si intuisce e si spiega abbastanza facilmente. In tali paesi gli emolumenti assegnati agli insegnanti sono indubbiamente più convenienti ed appetibili, per cui gli uomini aspirano in maggior numero ai posti di insegnamento, a differenza del nostro paese, dove gli stipendi retribuiti alla classe magistrale sono a dir poco indecenti e miserabili.
Ebbene, lo scarso valore (anche e soprattutto economico) riconosciuto alla professione docente in Italia, deriva (almeno in parte) proprio dalla eccessiva femminilizzazione presente nella scuola.

Infatti, le donne che insegnano sono nella quasi totalità madri e donne sposate, ossia impegnate ad attendere alle faccende domestiche e ad accudire la prole, relegate dunque in ruoli marginali e secondari rispetto ai coniugi, che magari svolgono funzioni più “importanti” e più remunerative sul piano economico-professionale.
Pertanto, le insegnanti che sono anche mogli e madri non hanno molto tempo, né voglia per dedicarsi ad attività sindacali e sociali, e tanto meno per occuparsi di politica. Per le medesime ragioni, quando si tratta di lottare, di scioperare e rivendicare i propri sacrosanti diritti sindacali, per ottenere miglioramenti nella propria condizione economico-lavorativa, le insegnanti (in gran parte mogli e madri) tendono a sottrarsi e a disimpegnarsi in modo determinante, per cui il potere contrattuale e sindacale della categoria si è ridotto progressivamente.
Non a caso le adesioni agli scioperi nel comparto scuola sono sempre molto più basse rispetto ad altri settori lavorativi, laddove la presenza maschile è nettamente più elevata.
Si pensi ad esempio alle industrie metalmeccaniche o ad altri ambienti di lavoro.

Ridestare le coscienze assopite, o distratte da troppi impegni (familiari e di altra natura), delle donne, siano esse insegnanti, madri e mogli, siano esse single, perché la liberazione della società passa anche e soprattutto attraverso l’emancipazione crescente ed effettiva delle donne dalla condizione di marginalità e subalternità a cui ancora sembrano essere costrette in gran parte della società italiana, nei vari ambiti lavorativi e professionali, ma ancor più sul versante del potere politico-decisionale.  Da Pueblounido 






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