TROPPO CORREGGIO PUO' FAR MALE
Data: Marted́, 30 dicembre 2008 ore 13:02:13 CET
Argomento: Rassegna stampa


Dopo una mostra di obiettivi più limitati, ma funzionali, come quella romana, in Villa Borghese, a studiare il suo confronto pastoso e pacioso, non ansioso, con l’antico e il substrato archeologico romano: lui che proveniva, comunque, sia pure in modo flou e stemperato, dalle ossessioni antichiste di Mantegna, a Mantova. E come parlano al proposito i suoi radi disegni, da non confrontare però con quelli magistrali di Parmigianino. Piuttosto qui è molto interessante e nuovo il capitolo del suo non peregrino rapporto con con l’architettura, studiato da un esperto come Bruno Adorni.

Nella mostra parmigiana è in gioco piuttosto la padanità, tutta verzura e latticini, né toscana né veneta, che pure colpì l’esigente Vasari, che parlò dell’artista, che si firmava Antonius Laetus, con gran stima e rispetto. E dunque il confronto vis a vis è con artisti bonari come il Francia e Lorenzo Costa, o più sulfurei, come il Garofalo e Dosso. Che sono gli stessi che stanno in mostra a Bologna, nella retrospettiva Aspertini, che funziona più a scatto: ma forse è più facile raccontare un eccentrico trascurato come Amico, che non un grande riconosciuto, ma perennemente imprendibile, in lieta fuga con se stesso, come il butirroso Correggio, dalla «fisionomia assolutamente autonoma e inafferrabile», lo ammettono gli stessi curatori. Ma allora la domanda è questa: è possibile proporre una retrospettiva così ambiziosa senza rischiare un effetto Stendhal, a rovescio. L’incomprensione per eccesso? Interessante, per esempio, vedere gli stessi quadri, da Roma e Parma, reagire in modo diversissimo, in diversi contesti: è come ritrovare un volto conosciuto, in un ambiente imprevisto. Il nostro cosciente incomincia ad ondeggiare, privo subito di punti cardinali. E qui, forse, di punti di riferimento ne sono offerti, legittimamente, fin troppi: dalla ceramica coeva agli strappi d’affresco, dalla terracotta, alla stampa, alla miniatura. Correggio, lo sfuggente, il metamorfico Laetus, lievemente sans souci (eppure maestro nel rendere il patetico, l’affettato morbido del tragico religioso) pare resistere a tutto quest’assalto, richiudendosi come una mimosa vulnerata, offesa. Nutrito del deliqui di Stendhal, ma anche vaccinato dai sarcasmi di Gadda, Arbasino, in un sapiente cammeo Electa, pare implorare tregua, a questo spezzatino di commenti: «Correggio lezioso... sdolcinato... smanceroso. Parmigiano, culatello, affettato?» Come il fiore giapponese di Proust, che si dilata nell’acqua: basta invece affrontare i ponteggi del Duomo o di San Giovanni per riempirsi i polmoni di luce, d’aria, di libertà. Anche maliziosa: con quei putti che mostrano sfrontati le vergogne e s’inseguono birichini, circolando tra le carni vizze e pruriginose di vecchi santi malvisutti, dentro quella visione, in soggettiva sottinsù e techicolor, da Patmos, dell'Assunzione-Apocalisse. Che a seconda di dove ti poni cangia completamente di senso e di sesso.





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