HEGEL E LA LEGGE CONFLITTUALE DELLA REALTA'
Data: Giovedì, 27 novembre 2008 ore 00:05:00 CET
Argomento: Rassegna stampa


Hegel e la legge conflittuale della realtà

di Roberto Lolli*
 
Parlare di guerra agli studenti è una cosa fin troppo banale: ne è piena la storia sin dagli antichi, ne sono ricolme le letterature italiane e straniere, infinite sono le implicazioni belliche delle scoperte scientifiche e il progresso tecnologico spesso è stato orientato dall’impulso ad aumentare il potenziale distruttivo delle armi. Nessun discorso più della guerra giunge alle menti degli studenti, persino nella scuola di uno stato che all’art. 11 della propria Costituzione recita “l’Italia ripudia la guerra quale strumento di risoluzione delle controversie tra i popoli”. Figuriamoci cosa può accadere – e cosa è accaduto – nei periodi nei quali la scuola si è prestata a essere il primo ufficio di arruolamento, esaltando i miti dei guerrieri e degli eroi e prospettando ai giovani l’elogio della 'bella morte'.

 
Motivare un percorso
 Molte voci, tuttavia, hanno parlato contro la guerra – da Erasmo da Rotterdam al Mahatma Gandhi - e i tempi sono maturi per la costruzione di un discorso educativo centrato sulla pace e sulla risoluzione e il superamento dei conflitti. Perché ciò si possa fondare è in ogni caso necessario comprendere la logica della guerra, se si vuole contrapporre a essa la logica della pace. Ma sarebbe un cattivo servizio all’educazione alla pace identificare questa in una sorta di atteggiamento di serafica indifferenza e di accettazione. Creare la pace, lo insegnavano Gandhi e Martin Luther King, significa combattere per essa e nessuna pace è veramente tale dove siano calpestati i diritti. E quando i diritti sono calpestati occorre mobilitarsi, facendo guerra alla guerra.
 In quest’ottica, è imprescindibile l’analisi della concezione hegeliana della guerra. Opportunamente guidato, lo studente potrà distinguere gli aspetti puramente distruttivi del conflitto da quelli fecondi e costruttivi. Almeno, si spera.

"Ciò che è razionale è reale, ciò che è reale è razionale"
Il punto di partenza è la stessa legge dialettica della realtà: i tre momenti della Tesi, dell’Antitesi e della Sintesi sono fondati sull’articolarsi di un processo che è intrinsecamente imperniato sul conflitto. Questo, anziché essere esecrato e rimosso, viene a rappresentare un passaggio essenziale, che obbliga l’astratta tesi a diventare concreta, a confrontarsi con la sua contraddizione, a fare esperienza proprio tramite la sua negazione. Solo attraversando il contrasto e il conflitto, il movimento dialettico può approdare alla conciliazione pacificatrice della sintesi e fare sì che l’essenza astratta della tesi divenga finalmente reale. Lo stesso Hegel sentì la necessità di rappresentare tramite esempi l’importanza fondamentale del conflitto e di certo quello più illuminante è dato dalla figura 'Signoria-Servitù', ripresa in seguito da Marx. Qui Hegel hobbesianamente pone in evidenza che il primigenio incontro tra gli individui crea le loro autocoscienze, ma solo partendo da una costitutiva dimensione di lotta per la vita e per la morte che cessa solo quando uno dei due esseri soccombe e accetta, in cambio della sopravvivenza, la sottomissione al vincitore. Successivamente, il servo nel lavorare per il padrone apprende a trasformare la Natura e ciò pone le premesse per il rovesciamento della situazione: venendo meno i vincoli storico-giuridici che lo legano al padrone, sarà il servo a dominare e il suo signore a soccombere, perché il servo è diventato a sua volta padrone della Natura e il signore no.
 Un altro esempio della necessità logica del conflitto Hegel lo fornisce allontanandosi dall’interpretazione che i suoi contemporanei – Burke, Haller, De Maistre – davano della Rivoluzione Francese: essa ha fallito nell’assolutizzare la libertà e sanguinosamente è sfociata nel Terrore, ma ha avuto il merito di spazzare via sistemi politici sopravvissuti alla loro funzione storica, corpi che non si sono accorti di essere morti.

La dottrina hegeliana della guerra
Così, quando nei Lineamenti della Filosofia del Diritto Hegel afferma che la guerra "preserva i popoli dalla putredine cui sarebbero ridotti da una pace duratura o addirittura perpetua" [§ 324] sarà opportuno fornire agli studenti una serie di chiavi interpretative di cui tenere conto:

    •     In primo luogo, Hegel non attribuisce alla filosofia il compito di costruire un mondo nuovo, ma quello di descriverne la struttura razionale: conseguentemente, se la guerra c’è sempre stata e c’è ergo deve esserci.
 Nonostante questo, per quanto detto sulla Rivoluzione Francese, qualcosa di ciò che è in atto non merita di conservarsi e deve essere superato, così come è accaduto nel passato, quando la storia ha mostrato che grandi e civili imperi sono stati rovesciati dai cosiddetti 'eroi cosmo-storici' – uno per tutti, Napoleone – i quali, pur perseguendo i propri fini, hanno contribuito a realizzare il piano generale dello Spirito; insomma, i tiranni o i governanti incapaci sappiano che c’è sempre una possibilità che il loro potere non sorretto da razionalità venga rovesciato.

    •     In tal senso, la guerra, interna o esterna, è il supremo cimento che mette alla prova la vitalità di uno stato e la 'realtà effettuale' della vittoria stabilisce anche chi esprime il livello maggiore di razionalità in una data epoca: la Storia del Mondo è, pertanto, anche Tribunale del Mondo [§ 341], per cui chi vince un conflitto non 'ha' ragione, 'è' la Ragione stessa che si dispiega.

 
    •     Non va, infine, trascurata l’avversione di Hegel per il pensiero contrattualista e giusnaturalista che da Hobbes e Grozio approdava fino a Kant: egli, infatti, ritiene che lo stato non sia una costruzione convenzionale, ma l’incarnazione storica della Ragione e, perciò, non ipotizza nessun livello di fondazione del diritto su altro che non sia l’autorità dello stato stesso. Ne deriva che la risoluzione delle controversie non può essere, secondo Hegel, affidata a nessun organismo sovrastatale ma debba essere risolta attraverso la guerra.

 
Una delle cose più difficili, nell’insegnamento della filosofia, è far amare Hegel agli studenti. Forse è chiedere troppo. Ma se gli studenti impareranno a esaminare con attenzione il pensiero del filosofo di Stoccarda e a riconoscerne l’importanza e la complessità indiscutibilmente sarà un passo avanti nella costruzione di un fronte dell’intelligenza, unico esercito che la scuola possa e debba arruolare.

 *Insegna Filosofia e storia presso il Liceo scientifico 'A. Roiti' di Ferrara. Ha curato con P. Salandini l'opera di storia della filosofia Filosofie nel Tempo, diretta da Giorgio Penzo, 4 voll., Roma, SpazioTre, 2000-2006.

 Pubblicato il 25/11/2008







Questo Articolo proviene da AetnaNet
http://www.aetnanet.org

L'URL per questa storia è:
http://www.aetnanet.org/scuola-news-13114.html