Anche il Consiglio nazionale della pubblica istruzione ha invitato
la ministra Gelmini a fare un passo indietro sul maestro
unico e a coinvolgere, per scelte così delicate, esperti anche di
opposta formazione politica e culturale. Invito che però sembra
ormai più un luogo comune che una vera e propria esigenza
per dare vigore alla scuola, soprattutto in tempi di crisi e
quando le intelligenze e il sapere servono per trovare nuova
possibilità di sviluppo. Ma anche sulle classi ponte, quelle
che dovrebbero ospitare i bambini immigrati prima di ammetterli,
dopo un esame, nelle classi regolari, non si ascoltano le
voci di coloro che hanno studiato nell’intimità il problema e
che pongono forti incertezze sulla scelta.
Con ogni probabilità
il decisionismo abita luoghi distanti dal dubbio che vive invece
dentro il crogiolo del dialogo: la parola che interroga sé stessa
per ritrovarsi. Strana decisione che il premier definisce
"un’innovazione di buon senso da buon padre di famiglia", ma
senza crederci, perché allora da buon papà dimostrerebbe di
non sapere che l’integrazione, come per i bambini svantaggiati,
passa attraverso l’emulazione e il confronto coi coetanei e
che una classe con tanti linguaggi, dove questi bambini confluirebbero,
allontana perfino l’uso di una sola lingua di riferimento. E non solo, ma lascerebbe capire al resto del mondo la loro
diversità speciosa ed etnica che col tempo potrebbe rischiare
di fare partire reazioni pericolose.
La pedagogia ha già affrontato la questione negli anni in cui
esistevano le classi differenziali, accanto alle quali gli altri
alunni si soffermavano o per curiosità morbosa nei confronti
dei diversi o per fuggirne per paura. C’è anche un elemento costituzionale,
evidenziato da studiosi del fenomeno migratorio,
che si riferisce alla «posizione di ogni persona nella società e alla
distribuzione delle opportunità», le quali così verrebbero limitate
mentre si alzerebbe un discrimine, una barriera che già
evoca parole perniciose come razzismo. Il riconoscimento
dell’uguaglianza dei diritti e dei doveri degli esseri umani
imporrebbe inoltre di non attribuire agli immigrati, in quanto
stranieri e per lo più poveri, marchi tassonomici autoritari
in modo che siano individuabili, classificabili e quindi pure evitabili
come accadde ai terroni nelle grandi città del nord.
PASQUALE ALMIRANTE (da www.lasicilia.it)