LINEE GUIDA DEL GOVERNO PER L’UNIVERSITÀ VARATE DAL CONSIGLIO DEI MINISTRI
Data: Sabato, 22 novembre 2008 ore 18:23:28 CET
Argomento: Normativa Utile


Autonomia, responsabilità, merito

L’Europa, attraverso la strategia di Lisbona, ha posto il traguardo di una società basata sulla conoscenza. L’Italia ha come principale risorsa il suo capitale umano. Il Governo sin dalle dichiarazioni programmatiche del Presidente del Consiglio ha indicato come obiettivi strategici per il Paese l’equilibrio di bilancio, l’implementazione dell’Agenda di Lisbona, il recupero del gap di competitività nei confronti dei principali partners europei. Queste linee guida per l’università sono la proposta aperta per realizzare la strategia di governo della legislatura.
L’università e la ricerca sono una ricchezza fondamentale per l’Italia. Per tornare ad essere uno strumento davvero efficace di crescita e di promozione sociale e personale in un Paese avanzato, l’università deve cogliere con coraggio la richiesta di rinnovarsi, rendersi trasparente nella condotta e nei risultati, dimostrare con la forza dei fatti di saper progettare un futuro ambizioso.
Le difficoltà della congiuntura economica impongono anche a noi, come a tutti i settori dello Stato, uno sforzo per raggiungere in tempi rapidi l’equilibrio di bilancio, ma questo sforzo rappresenta anche una sfida a migliorare un sistema che accanto a punti di forza innegabili presenta molti aspetti di criticità: non si può continuare a credere che la via delle riforme e dei miglioramenti passi sempre e solo da un aumento delle risorse.
È anzi vero l’opposto: la strada per eventuali maggiori risorse passa obbligatoriamente attraverso riforme coraggiose e profonde, che sappiamo impostare su basi più adeguate lo sviluppo di un
segmento essenziale per la competitività del Paese.

La gestione responsabile e la sostenibilità economica sono infatti condizioni essenziali dell’autonomia di cui le università giustamente godono. Bisogna prima di tutto spendere bene le risorse disponibili e per questo dobbiamo promuovere insieme una dialettica virtuosa tra Ministero ed atenei, fondata su una limpida distinzione di compiti: il primo deve accreditare, valutare, incentivare e soprattutto garantire il rispetto degli standard qualitativi; i secondi devono assicurare alla comunità nazionale e internazionale, in riferimento a parametri qualitativi ed economici concordati e verificati, educazione di qualità, ricerca di alto livello,
gestione efficiente delle risorse, contributo efficace allo sviluppo economico
e tecnologico del Paese.

Autonomia e responsabilità, quindi, ma anche, soprattutto, il merito come criterio costante di scelta: nell’allocazione delle risorse, nella valutazione dei corsi e delle sedi, nella scelta e nella remunerazione dei docenti, nella promozione della ricerca. Esistono certamente punti di forza indubbia nelle nostre università, ma stiamo perdendo terreno rispetto ad altri Paesi. Le classifiche internazionali, che pure non sono esenti da difetti, presentano anno dopo anno un quadro per noi sconfortante. Dobbiamo migliorare il posizionamento complessivo dei nostri atenei e creare allo stesso tempo maggiori opportunità perché i migliori sviluppino a fondo il loro potenziale competitivo.
Il Governo si impegna a dare al Paese un’università più libera, più moderna, più forte e chiede al Parlamento, ai protagonisti dell’università, al mondo del lavoro e delle imprese di prendere parte ad una sfida nazionale per proiettare il nostro sistema universitario verso i migliori standard internazionali.

Lo studente al centro dell’università
L’investimento più importante che il Paese può fare è quello sul capitale umano, sui giovani che ne rappresentano il futuro e per questo gli studenti, le loro esigenze e le loro aspirazioni, vanno rimessi al centro della nostra missione.
L’università è stata in tempi non remoti uno strumento straordinario di mobilità sociale: perché torni ad esserlo dobbiamo concentrare i nostri sforzi sulla qualità dell’offerta e dei servizi.
Corsi di laurea dequalificati danneggiano soprattutto gli studenti che provengono da situazioni meno privilegiate, perché offrono un surrogato spesso inutile di una vera e propria educazione universitaria.
Il numero troppo alto di abbandoni di studenti iscritti ma inattivi, di non frequentanti, è indice di una patologia grave, troppo spesso accettata come inevitabile: il 20% degli studenti lascia dopo il primo anno e solo il 50% degli immatricolati completa gli studi conseguendo il titolo.
Non meno ingiustificato è il fatto che la laurea triennale sia spesso considerata solo una prima tappa incompleta e la gran parte dei laureati senta di doversi iscrivere immediatamente alla laurea magistrale.
Dobbiamo essere certi che le università immettano nel mondo del lavoro una nuova leva di laureati triennali ben preparati ed è quindi indispensabile da parte degli atenei una maggiore consapevolezza della propria missione e delle proprie responsabilità. Le nuove norme previste dal DM 270 offrono l’occasione di riformulare secondo criteri più rigorosi l’offerta formativa: il Governo intende accelerare l’applicazione dei requisiti previsti e correggere alcuni aspetti che si prestano ad un miglioramento.
Si impone una revisione dei meccanismi di spesa per potenziare il finanziamento della domanda di educazione rispetto a quello dell’offerta il diritto allo studio non si realizza con la moltiplicazione di microsedi sotto casa, ma mettendo in grado gli studenti di perseguire le loro aspirazioni.

L’offerta formativa
Il miglioramento dell’offerta formativa e il risanamento del sistema sono strettamente connessi, perché diseconomie e mancanza di progetti ben definiti incidono negativamente su entrambi. A una laurea triennale solida, seria e a spettro ragionevolmente ampio si devono affiancare una laurea magistrale di effettiva specializzazione e un dottorato di ricerca di livello pari alle migliori esperienze internazionali.
Queste le azioni prioritarie:


A.1 razionalizzare e ridurre gli insegnamenti, 120.000 nel 2002-03, ma ora
180.000, affidati per il 40% a docenti esterni (spesso giovani sottopagati);
A.2 razionalizzare i corsi di studio, proliferati ormai oltre ogni ragionevolezza senza vere motivazioni scientifiche. In 8 anni si è passati da circa 2.500 corsi di laurea e di diploma ad oltre 5.500 corsi di primo e secondo livello, spesso ulteriormente divisi in curricula.Il Governo auspica che le università procedano ad una netta riduzione da subito, anche prima che siano emanati i necessari provvedimenti ministeriali;
A.3 rafforzare la laurea magistrale che non deve essere complemento quasi
obbligato alla triennale, ma percorso formativo specialistico da intraprendere anche in fasi diverse della crescita professionale ed umana;
A.4 combattere la dispersione degli studenti, soprattutto dopo il primo anno: sono troppo numerosi gli iscritti che non si laureano e vanno quindi rafforzate le azioni di orientamento degli studenti nel delicato passaggio tra scuola superiore ed università. È inoltre essenziale dare impulso alla formazione integrativa per offrire più ampia libertà di scelta agli studenti;
A.5 incentivare i corsi di laurea e in particolare di laurea specialistica con
insegnamenti in lingua straniera, anche in partenariato con istituzioni
estere, sia per attrarre studenti da altri Paesi, sia per preparare i nostri alle sfide del mondo globale;
A.6 modificare le procedure di accesso ai corsi a numero programmato
per renderle più affidabili ed omogenee agli standard internazionali;
A.7 sperimentare nuovi modelli di percorsi di studio a ciclo unico in
presenza di specifiche esigenze di carattere scientifico e didattico;
A.8 avviare, in linea con gli impegni assunti in sede europea, le procedure di
accreditamento dei corsi e delle sedi sulla base della qualità e della
sostenibilità;
A.9 analizzare e valutare le sedi decentrate degli atenei, oggi troppo
numerose (oltre 300) e non sempre provviste dei necessari requisiti strutturali e qualitativi e verificare contestualmente la loro sostenibilità finanziaria;
A.10 proseguire e rafforzare le azioni intraprese per incentivare l’educazione
tecnico-scientifica.

A.1 razionalizzare e ridurre gli insegnamenti, 120.000 nel 2002-03, ma ora180.000, affidati per il 40% a docenti esterni (spesso giovani sottopagati);A.2 razionalizzare i corsi di studio, proliferati ormai oltre ogni ragionevolezza senza vere motivazioni scientifiche. In 8 anni si è passati da circa 2.500 corsi di laurea e di diploma ad oltre 5.500 corsi di primo e secondo livello, spesso ulteriormente divisi in curricula.Il Governo auspica che le università procedano ad una netta riduzione da subito, anche prima che siano emanati i necessari provvedimenti ministeriali;A.3 rafforzare la laurea magistrale che non deve essere complemento quasiobbligato alla triennale, ma percorso formativo specialistico da intraprendere anche in fasi diverse della crescita professionale ed umana;A.4 combattere la dispersione degli studenti, soprattutto dopo il primo anno: sono troppo numerosi gli iscritti che non si laureano e vanno quindi rafforzate le azioni di orientamento degli studenti nel delicato passaggio tra scuola superiore ed università. È inoltre essenziale dare impulso alla formazione integrativa per offrire più ampia libertà di scelta agli studenti;A.5 incentivare i corsi di laurea e in particolare di laurea specialistica coninsegnamenti in lingua straniera, anche in partenariato con istituzioniestere, sia per attrarre studenti da altri Paesi, sia per preparare i nostri alle sfide del mondo globale;A.6 modificare le procedure di accesso ai corsi a numero programmatoper renderle più affidabili ed omogenee agli standard internazionali;A.7 sperimentare nuovi modelli di percorsi di studio a ciclo unico inpresenza di specifiche esigenze di carattere scientifico e didattico;A.8 avviare, in linea con gli impegni assunti in sede europea, le procedure diaccreditamento dei corsi e delle sedi sulla base della qualità e dellasostenibilità;A.9 analizzare e valutare le sedi decentrate degli atenei, oggi tropponumerose (oltre 300) e non sempre provviste dei necessari requisiti strutturali e qualitativi e verificare contestualmente la loro sostenibilità finanziaria;A.10 proseguire e rafforzare le azioni intraprese per incentivare l’educazionetecnico-scientifica.

Il diritto allo studio
Vanno aggiornate le norme sul diritto allo studio, che devono essere rese più efficaci e aderenti ai bisogni degli studenti e va dato un forte impulso alla diffusione dei prestiti d’onore. Il diritto allo studio è facilitare l’accesso ad una università qualitativamente rigorosa, capace di fornire strumenti di crescita professionale e personale. Un elemento chiave di questa strategia consiste nel portare lo studente verso le sedi universitarie e non viceversa.
L’Italia sconta un ritardo storico nella costruzione di alloggi per studenti, con poco più di 54.000 posti letto disponibili nel sistema a fronte di circa 660.000 studenti fuori sede.
13.1 rivedere le norme sul diritto allo studio contenute nel DPCM, da tempo
scaduto, per renderle più efficaci e aderenti ai bisogni degli studenti; potenziare, in collaborazione con le Regioni, gli Enti locali, le Agenzie per il diritto allo studio e altri soggetti, pubblici e privati, le risorse destinate alla costruzione di residenze universitarie, al fine di incentivare la mobilità interna ed internazionale degli studenti;
13.2 rafforzare, in collaborazione con il sistema bancario, la disponibilità dei
prestiti d’onore;
13.3 incrementare i corsi universitari in orario serale per far fronte alle
esigenze degli studenti che lavorano, anche al fine di ridurre il fenomeno del fuori corso e dei non frequentanti;
13.4 favorire lo sviluppo della formazione continua lungo l’arco della vita,
funzione indispensabile in un’economia avanzata e in rapida trasformazione.

Il merito e la valutazione
L’allocazione delle risorse sulla base della qualità (della ricerca, dell’insegnamento e dei suoi risultati, dei servizi e delle strutture) è per il Governo il criterio fondante di un nuovo sistema universitario più libero e più responsabile, sia a livello centrale che nei singoli atenei. Già nel 2009 il 7% di tutti i fondi di finanziamento alle università sarà erogato su base valutativa e la percentuale è destinata a crescere rapidamente negli anni successivi per allinearci alla migliore prassi internazionale. L’obiettivo è infatti quello raggiungere entro la legislatura il 30%.


Le azioni prioritarie:
C.1 accelerare l’entrata in funzione dell’Agenzia della valutazione con
piena trasparenza ed autonomia, a seguito delle modifiche regolamentari necessarie per renderla più efficiente ed incisiva;
C.2 predisporre, sulla base dell’esperienza già acquisita dal CIVR, un
modello di valutazione delle strutture di ricerca, universitarie e non, che prenda in considerazione l’attività scientifica di ogni dipartimento nel suo insieme e consenta quindi un’allocazione delle risorse su base qualitativa dipartimento per dipartimento;
C.3 attribuire da subito ai risultati della valutazione della ricerca un peso
significativo nell’attribuzione delle risorse e nell’allocazione delle borse di dottorato e di nuovi posti da ricercatore;
C.4 assicurare al CIVR e al CNVSU le risorse necessarie per proseguire la
loro attività in attesa dell’entrata in funzione dell’Agenzia e, specificamente, consentire al CIVR di avviare il secondo esercizio di Valutazione triennale della ricerca e concluderlo entro il 2009.


Il reclutamento e lo stato giuridico dei docenti
I docenti sono il cuore e la mente dell’università. Purtroppo negli anni alcune esigenze corporative sono state anteposte a quelle degli studenti e dei giovani studiosi, con risultati che, paradossalmente, hanno fatto aumentare i costi della docenza e allo stesso tempo escluso molti giovani meritevoli dal mondo della ricerca. Nel 1998, prima della riforma dei concorsi, i docenti universitari di ruolo erano meno di 50.000, oggi sono oltre 62.000: a fronte di una crescita del 7% della popolazione studentesca i docenti sono aumentati complessivamente del 24%, ma gli ordinari addirittura del 46%. Gli ordinari sono più degli associati e poco meno dei ricercatori e l’età media di ingresso in tutti e tre i ruoli è troppo alta (più di 50 anni per gli ordinari, di 44 per gli associati, di 36 per i ricercatori): si tratta di una situazione abnorme e insostenibile.
Il Governo ritiene indispensabile rompere il circolo vizioso in cui spesso si creano nuovi corsi per creare nuovi posti. La stretta sul turnover è in questo senso una misura di emergenza necessaria, soprattutto alla luce del fatto che saranno espletati nei prossimi mesi concorsi per l’attribuzione di oltre 3.700 idoneità da associato ed ordinario.
Come prima misura urgente il Governo ha rimodulato il turnover per favorire al massimo il ricambio generazionale tramite l’assunzione di un numero elevato di giovani ricercatori e ha rivisto in via transitoria le regole per il reclutamento di docenti e ricercatori al fine di modificare un sistema criticato da ogni parte.
E’ peraltro urgente una riforma organica dei meccanismi di reclutamento e dello stato giuridico basata sul riconoscimento del merito e allineata con la prassi internazionale. Il meccanismo delle idoneità multiple si è rivelato negli anni fonte di deresponsabilizzazione e va quindi eliminato.
In questa materia così delicata il Governo auspica un’ampia condivisione di obiettivi e di metodo con tutte le forze parlamentari.


Le azioni prioritarie:
D.1 rivedere il meccanismo degli automatismi stipendiali, che non
necessariamente premia la qualità della ricerca e l’impegno nella didattica, sostituendolo gradualmente con valutazioni periodiche dell’attività
svolta;
D.2 elaborare parametri condivisi di qualificazione scientifica per
l’accesso ai diversi ruoli della docenza, anche con l’utilizzo, ove possibile, di indicatori di qualità scientifica internazionalmente riconosciuti (impact factor; citation index): il CUN è già al lavoro in questo senso;
D.3 dare priorità ad un nuovo meccanismo di reclutamento dei giovani
ricercatori ispirato ai principi della Carta europea dei ricercatori e
basato sulla valutazione del merito. La modifica già proposta in via transitoria dal Governo assicura da subito un maggior coinvolgimento della comunità scientifica nazionale ed elimina le prove scritte ed orali;
D.4 riformare i meccanismi di selezione dei professori associati ed ordinari distinguendo tra reclutamento e promozione ed assicurando che entrambi avvengano sulla base del merito;
D.5 incentivare l’internazionalizzazione del corpo docente, condizione
indispensabile per introdurre più innovazione nei nostri atenei ed attrarre studenti dall’estero;
D.6 ridefinire e ridurre in tempi rapidi i settori scientifico-disciplinari, oggi
troppo numerosi e frammentati, fonte di rigidità del sistema universitario e disincentivo alla ricerca interdisciplinare e innovativa;
D.7 incentivare gli atenei che assumono giovani ricercatori che hanno
conseguito il dottorato in altri atenei.


Il dottorato di ricerca
Nel contesto di un approccio rinnovato alla docenza e al reclutamento assume un’importanza particolare un ripensamento del dottorato di ricerca e del post- dottorato. È importante che il valore scientifico del dottorato sia alto e internazionalmente riconosciuto come tale. Il dottorato costituisce infatti il grado più alto di specializzazione offerto dall’università, sia per chi intende dedicarsi alla ricerca, sia per chi desidera entrare nel mondo produttivo dotato di credenziali scientifiche di particolare peso. La situazione attuale presenta alcune evidenti criticità. I corsi di dottorato sono oltre 2.200, con una media di appena 5,6 iscritti per corso: si tratta di una frammentazione davvero eccessiva, che non consente di creare quella comunità di giovani studiosi impegnati in uno specifico ambito di ricerca che costituisce la vera forza dei dottorato.
Il dottorato deve inoltre acquisire una dimensione sempre più internazionale e favorire la mobilità dei giovani. Oggi meno del 5% dei dottorandi attivi in Italia proviene dall’estero. E’ necessario intervenire su questo fronte e recepire prontamente le indicazioni che ci provengono dall’Europa in vista della creazione di una European Research Area volta a facilitare la libera circolazione degli studiosi.

Le azioni prioritarie:
E.1 razionalizzare e riorganizzare i dottorati di ricerca, sia attraverso la
riduzione del numero dei corsi attivato, sia attraverso il rafforzamento di
scuole dottorali di ateneo dotate di massa critica, adeguate strutture per la ricerca e elevati livelli di qualità e produttività scientifica;
E.2 collegare l’attivazione dei corsi di dottorato a precisi ed elevati requisiti,
relativi sia alla qualità e alle dimensioni delle strutture e delle attrezzature di ricerca, sia alla qualità della ricerca prodotta, come valutata dal CIVR;
E.3 predisporre nuove modalità di ammissione allineate con la prassi
internazionale;
E.4 ripensare la struttura e la durata del dottorato, che dovrebbe essere
vincolata al raggiungimento di risultati scientifici;
E.5 incentivare, sia nella struttura che nelle procedure di ammissione, la
dimensione internazionale dei programmi di dottorato e la mobilità tra sedi;
E.6 aumentare la quota di insegnamento strutturato all’interno dei
programmi di dottorato;
E.7 promuovere la residenzialità dei dottorandi;
E.8 facilitare lo sviluppo di progetti di ricerca di altissima qualità,
selezionati secondo i più avanzati standard internazionali, da parte di giovani studiosi che abbiano conseguito il dottorato. A tal fine il Ministero ha già stanziato per il 2009 un fondo di 50 milioni di euro.


La governance
I tempi sono maturi per una modifica delle forme di governo degli atenei che rafforzi autonomia, democrazia e bilanciamento dei poteri, responsabilità chiare, valutazione dei risultati ed efficacia gestionale. L’attuale sistema, sedimentatosi in tempi molto diversi dagli attuali, implica evidenti difficoltà sia di indirizzo che di gestione e controllo.
È anche opportuno riflettere sui modelli organizzativi e istituzionali adatti a un sistema universitario maturo e complesso, che include università di antichissima e recentissima istituzione, grandi e piccole, specialistiche e generalistiche, e in cui anche le università non statali dovranno garantire un’alta qualità del servizio formativo erogato e della ricerca scientifica in esse effettuata, secondo gli standard che verranno fissati dall’organo nazionale di valutazione.
All’interno di un quadro di riferimento comune ogni ateneo dovrebbe riflettere liberamente su quale assetto sia più rispondente alla sua identità e ai suoi progetti.

Le azioni prioritarie:
F.1 richiedere agli atenei di adottare entro sei mesi un codice etico che
individui tra l’altro in modo puntuale i casi di incompatibilità e di conflitto di interesse;
F.2 completare la messa a punto delle norme che consentono alle università,
a seguito di autonoma deliberazione, di assumere la forma giuridica di fondazioni, prevedendo in ogni caso che resti regolata per legge ai livelli attuali la contribuzione degli studenti;
F.3 sviluppare negli atenei la cultura della accountability verso l’esterno,
incentrata sulla comunicazione trasparente dei risultati ottenuti nelle attività di ricerca, di formazione e di trasferimento tecnologico e dei finanziamenti esterni acquisiti; sulla riflessione sui costi, sulla sostenibilità di medio-lungo periodo delle iniziative, sul valore patrimoniale degli atenei e sulle reali situazioni debitorie e creditorie;
F.4 distinguere in modo netto tra le funzioni del Senato Accademico e del
Consiglio di Amministrazione, riservando al primo il compito di
rappresentare le istanze scientifiche e accademiche, al secondo quello di definire le linee di indirizzo per la pianificazione strategica dell’ateneo nel suo complesso e di assicurare una corretta e prudente gestione ispirata agli interessi generali, che devono quindi in esso prevalere;
F.5 eliminare la duplicazione di organi spesso pletorici e snellire i processi
decisionali e, in particolare, integrare maggiormente la gestione della didattica e della ricerca attraverso processi di riorganizzazione dell’articolazione interna all’ateneo. L’attuale ripartizione di compiti tra Facoltà, Dipartimenti e Corsi di Laurea è causa di inefficienza e confusione;
F.6 ridefinire il ruolo del rettore, creando le condizioni affinché questi possa
realmente assumere la piena responsabilità delle sue decisioni (chiaramente delineate nel programma elettorale) e porre in atto la difficile sintesi tra esigenze interne ed esterne spesso contrastanti, incanalandole in una strategia generale per l’eccellenza della ricerca, la qualità della didattica e l’innovazione amministrativa;
F.7 limitare a non più di due mandati e comunque un massimo di 6 e 8 anni
rispettivamente, la permanenza in carica di presidi e rettori e prevedere che anche per questi ultimi il mandato non possa estendersi oltre la data di collocamento a riposo;
F.8 rafforzare la leadership istituzionale attraverso specifiche attività di
formazione dei docenti interessati ad assumere incarichi direttivi;
F.9 rafforzare la funzione gestionale delle università, ponendo attenzione
alla professionalizzazione di coloro cui competono responsabilità finanziarie, tecniche ed amministrative;
F.10 favorire i processi di aggregazione e riorganizzazione federale degli atenei su base regionale o macroregionale per offrire agli studenti un’educazione di qualità, a partire dalla condivisione di iniziative didattiche, di ricerca e di servizi.
Il valore legale del titolo di studio
Il Governo ritiene indispensabile affrontare il tema del valore legale del titolo di studio. Si tratta infatti di un istituto le cui ragion d’essere, oggi, sembrano ad alcuni superate da una realtà in cui conta soprattutto poter fornire agli studenti, alle famiglie, ai datori di lavoro, dati certi sulla qualità dei corsi e delle strutture. La prospettiva, l’accreditamento, deve quindi farsi carico di garantire il valore sostanziale dei titoli rilasciati dagli atenei, superando una concezione formalistica che è anche causa non ultima di alcune degenerazioni del sistema.


La responsabilità finanziaria
La preoccupazione, più che comprensibile, legata al tema delle risorse, non deve distogliere dalla necessità di elaborare riforme in profondità. Negli ultimi dieci anni l’università ha vissuto una crescita tumultuosa e, quali che fossero le intenzioni di partenza, il risultato è un sistema che assorbe per gli stipendi quasi tutte le risorse che lo Stato gli affida ogni anno. Un cambiamento di rotta è urgente.

Le azioni prioritarie:
G.1 incentivare l’adozione della contabilità economico-patrimoniale.
Questa è infatti uno strumento conoscitivo essenziale per gli atenei, i loro interlocutori esterni e il Ministero e consente l’individuazione di costi standard correlati al raggiungimento di precisi parametri qualitativi;
G.2 ridurre gradualmente l’incidenza della spesa per il personale al fine di
liberare le risorse necessarie per le missioni fondamentali delle università;
G.3 rendere più restrittivo il vincolo da indebitamento;
G.4 non consentire la messa a bando di nuovi posti agli atenei che hanno
superato il limite di legge nel rapporto tra assegni fissi e FFO;
G.5 aggiornare l’attuale modello di finanziamento per assegnare un peso maggiore alla qualità della didattica e della ricerca, accertate con la valutazione;
G.6 imporre agli atenei con bilanci in deficit, o che non rispettano gli attuali
vincoli di legge, un piano concreto e rapido di rientro nella norma e predisporne il commissariamento in caso di inadempienza;
G.7 rivedere il rapporto tra le facoltà mediche, gli atenei e il sistema
sanitario, al fine di raggiungere un equilibrio tra funzioni e costi.
Queste linee guida, insieme alle altre proposte che emergeranno dal confronto parlamentare e dalla discussione pubblica, saranno tradotte in disegni di legge, nella convinzione che le istituzioni della Repubblica sapranno essere al servizio del Paese e del suo futuro







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