Università, proviamo ad abolire i concorsi
Data: Sabato, 22 novembre 2008 ore 00:00:00 CET
Argomento: Redazione


di Silvio Garattini
ROMA (21 novembre) -
Tuttavia se si vuole seriamente pensare ad inserire dei cambiamenti sostanziali bisogna coinvolgere nella formulazione anche persone estranee all’Università. Alcuni suggerimenti sono già stati espressi, ma in sostanza bisogna ricorrere a ricercatori, industriali, uomini di cultura, managers che abbiano conoscenze e credibilità per indicare la via da percorrere.

Poche cose possono essere fatte nel breve termine, ma alcune linee di tendenza possono essere identificate. Vi sono in Italia troppe Università e troppe localizzazioni. Sembra logico redigere una serie minima di requisiti per giustificare l’esistenza di un’Università: quelle che non si adeguano devono essere chiuse, perché non è giusto illudere gli studenti che le frequentano. Il sistema dei concorsi pubblici – con tutta la conseguente burocrazia – va definitivamente abolito; si risparmieranno in questo modo soldi e polemiche. Devono essere le singole Università a scegliere i professori e devono essere i professori – entro certi limiti – a scegliere i loro più diretti collaboratori.

Abbiamo oggi nelle Università un esercito fatto più di generali che di soldati: una situazione paradossale. Gli insulti al merito degli attuali concorsi non continueranno nell’Università futura se si porranno due semplici provvedimenti: l’abolizione del valore legale della laurea e il finanziamento pubblico sulla base dei risultati. I risultati in questo modo non saranno il numero degli studenti presenti o promossi, ma la percentuale degli studenti che otterrà una validazione degli studi effettuati attraverso un esame di Stato. Dopo qualche anno diverrà chiaro quali siano le Università o le facoltà universitarie che hanno realizzato la migliore formazione.

Bisogna creare all’interno dell’Università una struttura che non riproponga clientelismi e impossibilità di governare. I Consigli d’Amministrazione devono essere l’organo primario; i professori esprimono terne di preferenza fra cui è il Consiglio d’Amministrazione che sceglie il Rettore e i Presidi di Facoltà. Questa impostazione avrebbe il vantaggio di evitare che i “controllati” divengano anche i “controllori” di chi li deve governare.

Occorre anche stabilire un iter ben definito per la carriera dei giovani, in modo da evitare l’obbligo di assunzione dei cosiddetti “precari”. Dopo un certo numero di anni chi non ottiene una posizione di professore ordinario o associato deve uscire dal sistema per permettere un salutare ricambio. Si deve evitare la moltiplicazione delle cattedre che in medicina ha raggiunto il suo livello massimo: le cattedre disciplinari o multidisciplinari devono essere poche, ma devono essere in grado di organizzare gli insegnamenti. Ad esempio una sola cattedra per ogni facoltà, ma molti “associati” per l’insegnamento a piccoli gruppi di studenti.

Le Università devono essere autonome – con alcuni limiti – in modo da poter utilizzare nel modo migliore le risorse economiche messe a disposizione dal Ministero competente ed eventualmente dai privati. All’autonomia deve però corrispondere un controllo fatto da un’organizzazione esterna, possibilmente internazionale che giudichi il lavoro svolto dalle Università e dia un giudizio: non si tratta di realizzare una classifica a punteggio, ma di raggruppare le Università sulla base delle performance effettuate, una classifica che ovviamente può cambiare nel tempo.

Un ultimo commento riguarda la definizione del ruolo dell’Università. Non vi è dubbio che il ruolo principale sia quello dell’insegnamento avanzato per la formazione della classe dirigente del Paese, intendendo per dirigenti non solo i responsabili d’azienda, ma tutti coloro che concorrono a rappresentare nei vari aspetti culturali, economici e professionali il “motore” di un Paese. L’insegnamento è oggi spesso una “sine cura”, invece deve essere continuamente ripensato – non solo dai singoli professori, ma dalle facoltà – in rapporto con i progressi delle conoscenze. Occorre abbandonare il sistema delle lezioni frontali per puntare sullo studio autonomo, fornendo seminari e consulenze; quando pertinente è importante far sì che lo studio teorico sia accompagnato dalla possibilità di esercitazioni individuali, una carenza quasi globale dell’Università italiana, specialmente, ma non solo, per le facoltà scientifiche. In questo senso il 3 del “3 + 2” va trasferito dall’Università ad altre strutture più adatte alla formazione professionale di breve termine.

Per compiere una funzione didattica approfondita ed aggiornata va sostenuta la ricerca, purché non sia un’attività dissociata dalle finalità universitarie che sono primariamente di tipo formativo. In altre parole occorre evitare che una riforma universitaria si identifichi anche con una soluzione dei problemi della ricerca scientifica. I problemi della ricerca coinvolgono l’Università, ma non riguardano solo l’Università, dato che ormai nel nostro Paese sono numerose le strutture pubbliche, private non-profit e industriali che attendono ormai da troppo tempo un’adeguata attenzione e sufficienti risorse per essere alla base del progresso culturale ed economico.

Sono quindi molte le cose da fare, ma bisogna iniziare il cammino con idee chiare senza dar troppo ascolto alla “piazza”, che spesso tende a difendere magari inconsciamente interessi corporativi

Da il Messaggero







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