Un'altra riforma colpo decisivo ai nostri atenei
Data: Sabato, 08 novembre 2008 ore 00:00:00 CET
Argomento: Redazione


Enrico Iachello
Capisco che queste affermazioni nell'immemore clima attuale possano sembrare arbitrarie, ma se solo si riflette con serenità sulle vicende italiane non si potrà non riconoscere che la parte migliore dell'élite politica e la stragrande maggioranza dei quadri (dagli insegnanti ai dirigenti - anche di aziende private - ai funzionari) della nostra società si sono formati grazie all'Università (irrisoria la percentuale ascrivibile a quelle private), non fuori o contro di essa. Lo stesso discorso vale per i traguardi più significativi e prestigiosi della ricerca.
Come tutte le istituzioni anch'essa oggi ha bisogno di ripensare il suo ruolo nel precipitare di trasformazioni non sempre previste né controllate e purtroppo spesso non sempre positive. Ma è paradossale che un Paese in difficoltà azzeri una sua storica risorsa. E veniamo ad alcuni aspetti di merito. I laureati italiani sono di gran lunga inferiori di numero a quelli del resto dei Paesi europei più progrediti. E' da questa considerazione che sono partite le cosiddette riforme che da più di un decennio hanno martoriato l'Università. Dico martoriato perché esse si sono rivelate del tutto inutili e hanno peggiorato la situazione. Il cosiddetto tre più due, in sé non sbagliato, è stato attuato non solo senza alcun confronto serio con il mondo accademico, ma neanche con il mondo del lavoro (sia esso privato o pubblico). Qualche esempio di cui ho diretta esperienza: un laureato triennale in Scienze dei Beni Culturali non è previsto in nessuna delle istituzioni che si occupano di beni culturali; per i laureati in Lettere (cito l'ultima tabella ministeriale) gli "sbocchi occupazionali e attività professionali previsti dai corsi di laurea sono in enti pubblici e privati, nel campo dell'editoria e nelle istituzioni che organizzano attività culturali o operano nel campo della conservazione e della fruizione dei beni culturali". Mettendo da parte le indicazioni generiche iniziali e finali (che ho omesso per brevità) per ognuno dei settori indicati sono previste altre apposite lauree triennali. Il laureato triennale in Lettere diventa così un vuoto a perdere. Potrei allungare questo elenco di "follie" ministeriali. Ma quel che mi preme sottolineare è che da queste incoerenze nasce la "fantasia" delle Università costrette a inventare letteralmente sbocchi e corsi per attrarre studenti. Si, perché uno dei criteri "premiali" per i finanziamenti ministeriali è il numero di iscritti. Insomma si è lanciata (e non ad opera dei "baroni") l'università in un binario morto e poi la si accusa per l'inevitabile deragliamento. E nessuno dice che la moltiplicazione dei corsi di laurea era insita nelle scelte ministeriali, che comunque prevedevano almeno il raddoppio (due al posto di uno, cioè la laurea triennale e quella biennale).
Ma c'è un altro punto dolente e che inchioderebbe i baroni alle loro colpe: i concorsi truccati. Così si definisce ora la tradizionale cooptazione. Questa è tuttavia prassi normale (e non per forza deleteria) a tutti i livelli alti di un'istituzione. Lascio perdere le cooptazioni della classe politica (che pur imperano ovunque ci sia da piazzare un dirigente), ma esse sono presenti anche nelle aziende (giornali inclusi) . Nell'Università esse si legano all'esistenza delle "scuole", cioè acquisizioni di competenze e saperi che giustamente si desidera continuare e sviluppare pena la vanificazione stessa di anni di ricerca. Già, ma in alcuni settori (in genere quelli professionalmente più remunerativi) si "cooptano" con molta facilità i "parenti". Vero.
Come se ne esce? Non certo col carnevale inscenato dai giornali che incollano maschere grottesche sui volti dei professori universitari (baroni, somari, etc.), né inventando nuove macchinose e dispendiose normative, né soprattutto con tagli generalizzati e privi di un progetto che non sia far quadrare i conti (che certo è problema reale e drammatico).
La soluzione? Signora ministro la prego, si fermi e rifletta un attimo, non ci faccia piovere addosso un'altra riforma che farebbe solo stramazzare definitivamente il povero ciuco (contenti Giuseppe Testa - che non perde occasione per distribuire patenti di asinità ai docenti universitari - e Salvatore Scalia - che ha definito un furto la cultura universitaria?). Non pretendo di avere la risposta decisiva, ma mi viene in mente un'antica idea di Luigi Einaudi: abolire il valore legale del titolo di studio con quel che ne segue. Fossi in lei, Signora ministro, un pensierino in questa direzione lo farei.

da La Sicilia







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